22 febbraio 2009

60° dello Scoutismo Materano & Giornata del Pensiero 2009: Insieme si fa!


Beh, anche quest'anno è andata!
E' appena passato un week end scout che mi ha caricato di entusiasmo.
Vabbé, mi ha anche caricato di freddo e stress, ma perché sottilizzare?
Il Sabato pomeriggio è stato dedicato alla presentazione del libro di Raffaele Natale sulla Storia dello Scoutismo Materano. In un affollato convegno presso l'Auditorium francescano di Cristo Re, è stata ripercorsa parte della gloriosa storia scoutistica cittadina. Spinto da Bagheera, ho fatto anche io un picciol intervento di ringraziamento. E, se in quella sede non ho saputo ringraziare anche chi sopporta tutte le seccature che la nostra sett.. ehm Associazione Scout riversa spesso e volentieri su i congiunti dei capi, posso tranquillamente farlo ora:

GRAZIE AMORE!!!

Ci vuole davvero tanta pazienza....
E non ho potuto neppure ringraziare degnamente la mia Comunità Capi per evitare di uscire dal clima politically correct di questi tempi confusi... Insomma, chi ha orecchie, intenda :-).
Ovviamente, ringrazio davvero di cuore tutti i partecipanti: pure i fratelli del Potenza 3 si sono sciroppati i 200 Km che ci separano pur di essere con noi: se questo non vuol dir nulla non so cosa possa avere significato...
Il libro è già sul comodino prossimo in lista d'attesa per la lettura.
Ma non è finita qui: il giorno dopo sveglia alle 07:00, giro di raccolta di rover e scolte in cronico ritardo e, sotto un cielo che prometteva pioggia e ha mantenuto neve, ci siamo immersi nella Giornata del Pensiero 2009.
Non credo abbia molto senso fare la telecronaca della giornata.
Ho partecipato all'organizzazione dell'attività R/S: Matera 1, Matera2 e Bernalda 1 dell'Agesci, Matera 1 e Pomarico 1 del CNGEI si sono lanciati in una giornata di scoperta ed informazione su problematiche in cui l'informazione è il 90% della soluzione, ossia la sensibilizzazione e l'informazione relative alla diffusione delle malattie infettive. Ora, non credo sia il caso in questa sede affliggere i miei lettori su varie filippiche sull'accesso ai farmaci e quant'altro. Ma voglio lasciarvi un paio di foto degli spot realizzati in condizioni non proprio ideali ( sotto la pioggerella nevischiella ) dai ragazzi divisi in pattuglie/ronde di formazione:


E poi uno spiacevole dato di fatto: abbiamo distribuito ai ragazzi questo brano, vi prego di leggerlo prima di andare oltre:


No, non è la cronaca della situazione in Darfour, ma un pezzo della descrizione che la sorella di Carlo Levi, in "Cristo si è fermato ad Eboli" fa delle terribili condizioni di vita a Matera nel 1936. Nessuno dei ragazzi ha pensato che quel brano potesse descrivere la propria città, tutti hanno attribuito quella descrizione "al terzo mondo".... E un po' di stupore nell'apprendere che quel brano descrive i loro nonni l'hanno provato...
Credo che qualcuno di loro un po' di domande se le starà ponendo a riguardo...
Io mi sono divertito molto, sia nella preparazione che nella realizzazione della Giornata. Certo, il freddo non ha aiutato, ma è inverno e poi non esiste bello o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento!Mi ha fatto piacere incontrare vecchi amici e riprendere la sana abitudine delle attività comuni con altri gruppi e/o associazioni.
E' innegabile che ci siano delle differenze evidenti tra AGESCI e CNGEI, ma mi piace lasciare ad altri la volontà di indagare a riguardo. Io, ieri non me ne sono accorto. Ho vissuto quello che ci unisce, ci salda, ci rende uno. Lo scoutismo. Abbiamo cantato, riso, pensato e giocato assieme, cosa si può chiedere di più?
E' scontato auspicare nuove iniziative, nuovi incontri, altre attività. Ma, a meno di una istituzionalizzazione del famoso scoutedì, so bene che sarà difficile conciliare tutti i nostri impegni. Eppure, una mini route sul Pollino...
Insomma, rimbocchiamoci le maniche, insieme si fa!
In attesa, rimetto l'uniforme in armadio per qualche settimana...

17 febbraio 2009

Vivere e Morire secondo il Vangelo

Dato che ho scelto di Testimoniare, continuo a farlo come posso, perchè l'onda di piena ci sommerge, l'Inverno ci opprime ma la Primaverà verrà...


Vivere e Morire secondo il Vangelo

testo dell'articolo integrale

La Stampa, 15 febbraio 2009

“C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare” ammoniva Qohelet, così come “c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...”. Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana – prima ancora che biblica – è parsa dimenticata: anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Soprattutto si è avuto l’impressione che l’insieme della nostra società non avesse certezze condivise sulla scansione dei diversi “tempi” e sul significato dei diversi verbi usati da Qohelet a indicare lo scorrere dell’esistenza umana: quando è “tempo” per questo o per quell’altro? E cosa significa parlare, morire, uccidere, guarire? Uno smarrimento di senso condiviso che ha coinvolto anche parole forti attinenti ai principi fondamentali dell’etica: dignità, libertà, volontà, rispetto, carità, vita...Le settimane appena trascorse saranno sicuramente ricordate come “giorni cattivi” da molti cristiani, ma anche da molti uomini e donne non cristiani che tentano ogni giorno di rinnovare la loro ricerca di senso, soprattutto attraverso la faticosa lotta dell’amare in verità e dal lasciarsi amare da quanti sono loro accanto. “Giorni cattivi” è un’espressione biblica che indica tempi privi di una parola da parte di Dio, da parte dei suoi profeti e quindi anche privi di parole umane sincere, vere, autentiche: tempi in cui si fa silenzio per non aumentare il rumore, la rissa, l’aggressione nella comunità umana e per evitare che parole sensate vengano triturate insieme alle insensate e non si riesca poi più a recuperarle per giorni migliori. Per questo molti hanno preferito il silenzio. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio anzi, soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile – ma non è certo – dire una parola udibile.Attorno all’agonia lunga diciassette anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida – “assassini”, “boia”, “lasciatela a noi”... – senza pensare a Gesù di Nazaret che quando gli hanno portato una donna gridando “adultera” ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: “Donna (non “adultera”), neppure io ti condanno: va’ e non peccare più”; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla “ladro, assassino!” al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale? Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio – offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili – e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L’abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore.E’ avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella chiesa. Da questi “giorni cattivi” usciamo più divisi e non certo per quella separazione in nome di Cristo che, con il comandamento nuovo dell’amore da estendersi fino ai nemici, può provocare divisione anche tra genitori e figli, all’interno della famiglia o della “casa” di appartenenza. Abbiamo invece conosciuto divisione in nome di quel male che affligge l’umanità e che trasforma la diversità in demonizzazione dell’altro, muta l’avversario in nemico, interrompe o nega il confronto e il dialogo, dando origine a posizioni ideologiche capaci di violenza prima verbale poi fisica e sociale. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie.Per chi come me ha pensato di dedicare tutte le fatiche alla ricerca del dialogo, del confronto, del faticoso cammino verso la comunione, innanzitutto nello spazio cristiano e poi tra gli uomini, e in questo sforzo sentiva di poter rendere conto della speranza cristiana che lo abita e di annunciare il vangelo che lo anima, questi giorni sono davvero cattivi. Come ignorare anche gli altri segni di barbarie cui stiamo assistendo in questa amara stagione? Leggi che chiedono ai medici di segnalare alle forze dell’ordine la presenza di clandestini che necessitano di cure mediche, vanificando così il diritto alla salute riconosciuto a qualunque essere umano; episodi ormai ricorrenti di giovani e ragazzi che danno fuoco a immigrati o a mendicanti; senzatetto di cui si prevede la schedatura mentre li si lascia morire di freddo; esercizio della violenza in branco verso donne o disabili...Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate. L’Osservatore romano ha coraggiosamente chiesto – tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi – di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è “agonia”, lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari..Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: “Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...”. Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un “sì” che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il “lascia andare, o Signore, il tuo servo” come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato... Negli anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due vescovi, due capi di chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la chiesa può offrire anche a chi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La chiesa cattolica e tutte le chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: “Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non condividono la loro fede affinché la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.

Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.

16 febbraio 2009

Un pranzo di ComunitàCapi, un pieno di allegria

Ieri ci siamo visti per una Comunità Capi un po' insolita.
Perchè non capita tutti i giorni che una riunione di Co.Ca. si trasformi in una vera e propria festa scout.
Non mi sento di definire in altro modo la giornata di ieri. Certo, c'è stato il momento istituzionale, centrato su una tipologia di problemi di cui ho già parlato qui. Ma, il momento centrale della giornata è stato il megapranzo con annessi canti scout e non.
Grande successo, poi, ha avuto la reinterpretazione scritta da Capo Fuoco, Capo Reparto F del Pellicano e Maestro dei Novizi di " Meraviglioso " ( il cui testo, firmato dai Frascamaro, è ormai un cult introvabile all'interno del Matera 2... )
Dal mio punto di vista è stata una preziosa occasione di ritrovarmi a parlare in un ambiente completamente informale in cui la soddisfazione di vivere in una Comunità Capi funzionale secondo spirito e lettera del Patto Associativo.
Abbiamo anche accolto tra noi una nuova tirocinante che spero camminerà con noi in serenità.
Personalmente, mi sono sentito a casa.
E, oggi, mi sento come uno che ha passato una domenica serena e divertente.

12 febbraio 2009

Chiedete scusa a Beppino Englaro

Riporto qui integralmente l'articolo di Roberto Saviano pubblicato su Repubblica di oggi. Lo riporto perchè un semplice link non basterebbe. Concordo pienamente con Saviano e pongo le mie scuse, come Cristiano Cattolico ad un uomo che ha sperimentato sulla sua pelle, come se non bastasse, anche tutto il peggio dei "sottoprodotti inevitabili" della mia religione. A nome di chi è accecato da travi che probabilmente sono anche nei miei occhi, mi scuso con chi forse ha una pagliuzza nei suoi, ma del cui operato non son degno di giudicare nulla.
Quanto è di moda, tra cattolici, sapere a memoria "il diritto divino" e scordare il perdono, la carità, lo stesso Vangelo.
Buona Strada.
Angelo.


Chiedete scusa a Beppino Englaro

di ROBERTO SAVIANO


DA ITALIANO sento solo la necessità di sperare che il mio paese chieda scusa a Beppino Englaro. Scusa perché si è dimostrato, agli occhi del mondo, un paese crudele, incapace di capire la sofferenza di un uomo e di una donna malata. Scusa perché si è messo a urlare, e accusare, facendo il tifo per una parte e per l'altra, senza che vi fossero parti da difendere.

Qui non si tratta di essere per la vita o per la morte. Non è così. Beppino Englaro non certo tifava per la morte di Eluana, persino il suo sguardo porta i tratti del dolore di un padre che ha perso ogni speranza di felicità - e persino di bellezza - attraverso la sofferenza di sua figlia. Beppino andava e va assolutamente rispettato come uomo e come cittadino anche e soprattutto se non si condividono le sue idee. Perché si è rivolto alle istituzioni e combattendo all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, ha solo chiesto che la sentenza della Suprema Corte venisse rispettata.

Senza dubbio chi non condivide la posizione di Beppino (e quella che Eluana innegabilmente aveva espresso in vita) aveva il diritto e, imposto dalla propria coscienza, il dovere di manifestare la contrarietà a interrompere un'alimentazione e un'idratazione che per anni sono avvenute attraverso un sondino. Ma la battaglia doveva essere fatta sulla coscienza e non cercando in ogni modo di interferire con una decisione sulla quale la magistratura si stava interrogando da tempo.

Beppino ha chiesto alla legge e la legge, dopo anni di appelli e ricorsi, gli ha confermato che ciò che chiedeva era un suo diritto. È bastato questo per innescare rabbia e odio nei suoi confronti? Ma la carità cristiana è quella che lo fa chiamare assassino? Dalla storia cristiana ho imparato ha riconoscere il dolore altrui prima d'ogni cosa. E a capirlo e sentirlo nella propria carne. E invece qualcuno che nulla sa del dolore per una figlia immobile in un letto, paragona Beppino al "Conte Ugolino" che per fame divora i propri figli? E osano dire queste porcherie in nome di un credo religioso. Ma non è così. Io conosco una chiesa che è l'unica a operare nei territori più difficili, vicina alle situazioni più disperate, unica che dà dignità di vita ai migranti, a chi è ignorato dalle istituzioni, a chi non riesce a galleggiare in questa crisi. Unica nel dare cibo e nell'essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto. I padri comboniani e la comunità di sant'Egidio, il cardinale Crescenzio Sepe e il cardinale Carlo Maria Martini, sono ordini, associazioni, personalità cristiane fondamentali per la sopravvivenza della dignità del nostro Paese.

Conosco questa storia cristiana. Non quella dell'accusa a un padre inerme che dalla sua ha solo l'arma del diritto. Beppino per rispetto a sua figlia ha diffuso foto di Eluana sorridente e bellissima, proprio per ricordarla in vita, ma poteva mostrare il viso deformato - smunto? Gonfio? - le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli. Ma non voleva vincere con la forza del ricatto dell'immagine, gli bastava la forza di quel diritto che permette all'essere umano, in quanto tale, di poter decidere del proprio destino. A chi pretende di crearsi credito con la chiesa ostentando vicinanza a Eluana chiedo, dov'era quando la chiesa tuonava contro la guerra in Iraq? E dov'è quando la chiesa chiede umanità e rispetto per i migranti stipati tra Lampedusa e gli abissi del Mediterraneo. Dove, quando la chiesa in certi territori, unica voce di resistenza, pretende un intervento decisivo per il Sud e contro le mafie.

Sarebbe bello poter chiedere ai cristiani di tutta Italia di non credere a chi soltanto si sente di speculare su dibattiti dove non si deve dimostrare nulla nei fatti, ma solo parteggiare. Quello che in questi giorni è mancato, come sempre, è stata la capacità di percepire il dolore. Il dolore di un padre. Il dolore di una famiglia. Il "dolore" di una donna immobile da anni e in una condizione irreversibile, che aveva lasciato a suo padre una volontà. E persone che neanche la conoscevano e che non conoscono Beppino, ora, quella volontà mettono in dubbio. E poco o nullo rispetto del diritto. Anche quando questo diritto non lo si considera condiviso dalla propria morale, e proprio perché è un diritto lo si può esercitare o meno. È questa la meraviglia della democrazia. Capisco la volontà di spingere le persone o di cercare di convincerle a non usufruire di quel diritto, ma non a negare il diritto stesso. Lo spettacolo che di sé ha dato l'Italia nel mondo è quello di un paese che ha speculato sull'ennesima vicenda.

Molti politici hanno, ancora una volta, usato il caso Englaro per cercare di aggregare consenso e distrarre l'opinione pubblica, in un paese che è messo in ginocchio dalla crisi, e dove la crisi sta permettendo ai capitali criminali di divorare le banche, dove gli stipendi sono bloccati e non sembra esserci soluzione. Ma questa è un'altra storia. E proprio in un momento di crisi, di frasi scontate, di poco rispetto, Beppino Englaro ha dato forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia. Sarebbe bello se l'epilogo di questa storia dolorosa potesse essere che in Italia, domani, grazie alla battaglia pacifica di Beppino Englaro, ciascuno potesse decidere se, in caso di stato neurovegetativo, farsi tenere in vita per decenni dalle macchine o scegliere la propria fine senza emigrare. È questa l'Italia del diritto e dell'empatia - di cui si è già parlato - che permette di rispettare e comprendere anche scelte diverse dalle proprie, un'Italia in cui sarebbe bellissimo riconoscersi.

© 2009 by Roberto Saviano

10 febbraio 2009

Testamento per la Repubblica

Non ho nulla da aggiungere alla vicenda umana che, in queste ore, sta facendo da cartina di tornasole dello stato della nostra Repubblica.
Sono terrbilmente spaventato dal tentativo di colpo di stato strisciante attualmente in corso. Il tentativo di violazione della Legge da parte dell'Esecutivo, palese e sotto l'ignobile scudo della disinformazione e della più pura volontà di sopraffazione va oltre il comune atto di sciacallaggio politico.
E' un deliberato attacco ad un'agonizzante Repubblica a cui non sarà necessario interrompere trattamenti sanitari per constatarne la morte.
Se alla legge si sostituisce l'arbitrio, se la Fede diventa bandiera di persone che urlano "boia assassino " ad un uomo che ha portato la croce per anni, dimentiche, ormai, della dolcezza del Discorso della Montagna, cosa ci resta?
Violenza e disperazione, discordia.
Non sono sicuro di poter gestire in maniera asettica questa situazione.
Noi vogliamo vivere ed in uno stato fascista si può solo sopravvivere...
Dobbiamo difendere la Legge o la Legge soccomberà.

6 febbraio 2009

All'orizzonte....

Il bersagliere ha cento penne
e l'alpino ne ha una sola
l partigiano ne ha nessuna
e sta sui monti a guerreggiar (2 vv)

La sui monti cade la neve
la tormenta dell'inverno
ma se venisse anche l'inferno
il partigian rimane la' (2vv)

Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al core
perche' se libero un uomo muore
che cosa importa di morir (2 vv)

5 febbraio 2009

Scoutedì

Ultimamente, ho visto folle bestemmiare gridando "Eluana Svegliati", Sacerdoti negare l'Olocausto, delinquenti assassini dar fuoco al proprio prossimo per sport, uomini di potere calpestare la Legge e le basilari regole della vita sociale, con il solo risultato ultimo di aver ancora più voglia di impegnarmi nel mio Servizio in Agesci. Non credo nelle mainfestazioni di massa, non credo in un Obama nostrano, non credo nei grandi gesti che cambiano le vite e non credo in tante altre cose, ma , a volte, irragionevolmente, mi sembra di credere di rappresentare nel mio ruolo di capo, una specie di ultima e sottile linea di difesa tra la barbarie avviluppante e i ragazzi ed il futuro che rappresentano. Poi torno in me e mi rendo conto che l'onda di piena ci ha già sommerso tempo fa... A qualcosa servirà, immagino, fare tanti sacrifici, tuttavia, so che ne servirebbero ancora di più.
Lo scoutismo è un modo di essere e di vivere che non ha bisogno di tempi fissi.
In pratica, però, il tempo per le attività, la formazione continua, la preparazione logistica, l'analisi delle singole esigenze dei ragazzi non è mai abbastanza.
Così, qualcuno, la settimana scorsa ha coniato un simpatico neologismo: lo scoutedì.
E servirebbe davvero un miracoloso ottavo giorno della settimana in cui concentrare tutti gli impegni associativi in modo da lasciare abbastanza tempo per il resto della vita.
Ieri riunione di Noviziato, oggi Comunità Capi, Sabato varie ed eventuali... Poi il 15 uscita di Comunità Capi, 21 e 22 attività per la Giornata del Pensiero...
E questo è un mese tranquillo...
Fatto sta che per organizzare un'uscita in montagna con pernottamento-strada-cucina sui fornelli eccetera, insomma, niente di eccezionale, roba da ABC, bisogna muoversi con almeno due mesi di anticipo...
Assieme al posto fisso sparirà anche la figura del Capo Scout?

una voce nel "silenzio"

Riprendo da qui un'intervista confortante:

Intervista a Monsignor Giuseppe Casale : "Lasciamola morire in pace come facemmo con Giovanni Paolo II"

Mons. Giuseppe CasaleMi sento vicinissimo a papà Beppino. Quella di Eluana non è più vita, porre termine al suo calvario è un atto di misericordia». Nel pieno della mobilitazione cattolica contro la «condanna a morte» della Englaro, l’arcivescovo Giuseppe Casale prende le distanze dall’«accanimento contro un povero corpo martoriato, tenuto artificialmente in un limbo».

Lasciar morire Eluana è carità cristiana? «Sì. Non è tollerabile accanirsi ancora né proseguire questo ormai stucchevole can can. C’è poco da dire: l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti medici. E se una cura se non porta alcun beneficio può essere legittimamente interrotta. Perciò, lasciamo che Eluana termini i suoi giorni senza stare lì a infierire senza alcun esito né speranza di guarigione. Si è creato il "caso Eluana" agitando lo spettro dell’eutanasia, ma non qui si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza irreversibile».

Vaticano e Cei combattono una battaglia durissima. «Dovremmo smettere di agitarci contro i mulini a vento e chiederci se quella della Englaro sia realmente vita. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente. non è vita. Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più sereni affinché la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente. I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono prolungarle una vera vita, ma solo un calvario disumano. E’ giusto lasciarla andare nella mani di Dio. Invece di fare campagne bisognerebbe accostarsi con pietà cristiana alla decisione di un padre».

Perché non è eutanasia? «L’alimentazione artificiale è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore. Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo quel padre che, appena si saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino. Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me chiederei di staccare la spina. Proprio perché crediamo che la morte non abbia l’ultima parola, dobbiamo inchinarci al suo mistero, invece di nasconderci nelle dispute tecniche. Eluana non c’è più da tanto, da molto tempo prima della rimozione del sondino che simula un’esistenza definitivamente svanita».

da "La Stampa"
Autore: Giacomo Galeazzi

2 febbraio 2009

cronache dagli anni '60

Dimmi di che cosa accusi gli ebrei, e ti dirò quali colpe hai


Vasilij Grossman, Vita e Destino, 1960.
Pagina 460, Adelphi 534.

PRIMA dei territori occupati, DOPO la Shoà.