8 dicembre 2014

to fight another day

Uff, invecchiare da problemi, si sa.
Uno di questi problemi è che quando eri un giovane Capo ti sono stati affidati dei giovanissimi ragazzi che hai accompagnato per qualche anno nel loro cammino Scout, qualcuno anche nei pressi della Partenza.
Ora che sono un po' meno giovane mi tocca affrontare la realtà di molti di quei ragazzi che  sono loro, ora, giovani uomini e giovani donne sulla rampa di lancio (a countdown 0) e su cosa raccontargli quando esprimono la loro creatività e voglia di cambiare questo Mondo in meglio, come da manuale.
Ecco, fondamentalmente: niente.
Nella maggior parte dei casi a parte godersi un po' di soddisfazione per ragazze e ragazzi che colgono i primi successi professionali (o gli ultimi universitari) e manifestano pubblicamente coerenza coi valori dello scoutismo la cosa migliore da fare è: nulla.
Guida da te la tua canoa (e non portarti appresso il cadavere del Capo come ricordo).
E, soprattutto, lascia guidare in pace l'altrui canoa ché fai meno danno.
Poi, ogni tanto, penso ai miei, di Capi e a come mi piacerebbe potermici confrontare ancora.
Come dire: "Vent'anni dopo".
Quindi, un minimo di interazione ogni tanto ci sta.
Il fatto è che io non sono molto incoraggiante, negli ultimi tempi.
Insomma, non sono un adulto che sprona i giovani adulti a buttarsi anima e corpo in imprese quali "risanare le ferrovie (cit.)", risanare l'Italia o, banalmente, tornare a Matera per far diventare la Città dei Sassi il piccolo paradiso in Terra che potrebbe essere.
Niente di che, eh, è una storia vecchia come il mondo: li amo troppo e vorrei evitar loro i miei dolori, quindi preferirei evitassero i miei errori, in primis quello di tornare a Matera dopo l'università, poi quello di mettere il bene della Patria avanti al proprio per finire a quella sindrome di Don Chisciotte che mi ha portato a farmi ridere appresso nelle mie nobilissime ma inutili battaglie contro il partito del mattone, tanto per fare un esempio.
Vabbè, sto divagando.
Ritorniamo sul sentiero.
Leggere su Facebook delle loro concrete e materialissime azioni di impegno civile mi fa sempre più preoccupare.
Vorrei andare a trovarli uno per uno e fare discorsetti tipo:" Ma perchè perdi tempo? Studia. Hai iniziato il corso di tedesco? Ti stai informando per la Scandinavia?"
Poi mi ricordo della famosa canoa e mi faccio i cazzi miei.
Però ogni tanto ci casco e mi premuro di far sapere a tutti quelli che sono disposti ad ascoltarmi (Sì Capo, va bene Capo, ti vogliamo bene, Capo, lo usiamo Linux, Capo, tranquillo, Capo, pensa alla salute e non ti agitare) che è meglio se abbandonano l'Italia prima possibile.
In realtà io magari predico male, tuttavia non so come mai continuo a razzolare bene (attualmente, lo confesso, sono un soddisfattissimo Babbo Scoiattolo di 35 coccinelle 35 del Villanova 1) e proprio non mi riesce di smettere col corpo con le cattive abitudini che il mio cuore vorrebbe abbandonare.
Certo, ogni tanto mi viene il dubbio che sarebbe meglio per loro avere come Capi dei veri camorristi per come va il mondo, poi mi pento e chiedo perdono al Signore per la mia debolezza e rivado avanti.
Però, alla fine, non è che abbia davvero perso tutte le speranze.
Per quanto il corso di tedesco l'abbia comprato pure io di recente non è che io sogni una Matera/Basilicata/Italia private dei propri figli migliori sparsi per il mondo a godersi (e sarebbe davvero sbagliato) i frutti del proprio lavoro ed ingegno in Patrie Adottive ma non Matrigne.
No.
Sogno e desidero per i (miei) ragazzi, giovani donne e giovani uomini un'opportunità.
E, no.
Non mi riferisco ad opportunità di vita migliore ad Oslo.
Questo Ognuno lo Sa.
Mi riferisco all'opportunità di tornare a Matera armati di fucili d'assalto e carri armati fatti di competenze e capacità e possibilità economiche ben diverse dalla cerbottana con cui sono tornato io a suo tempo.
Spero per loro la possibilità di scegliere dove vivere e magari di poter vivere a Matera lavorando per aziende straniere ed indipendenti, inattaccabili come l'acciaio inossidabile alla ruggine corrosiva dell'habitat della Capitale Europea della Cultura 2019.
E, magari, con forza ed indipendenza economica, fungere da anticorpi e non da cellule bersaglio per questa Patria malata.
Quindi; andate via, ma, se vi va, tornate immuni e indipendenti
Ehm, ops, di chi è 'sta pagaia?

6 dicembre 2014

How to upgrade from Mint 17 to Mint 17.1

Is a matter of minutes...
Linux Mint 17 is a Linux Distribution based on Ubuntu 14.04.
Linux Minti 17.1 is ... a Linux Distribution based on Ubuntu 14.04 too.
The Mint Team decided to base the developement of their fine distro on the LTS version of Ubuntu and to introduce a  graphical dist-upgrade toool allowing the update fron the 17 to 17.1 version without the need to format.
And here's how:

First, update the update manager:




then, without reboot, in the update manager Edit Menu appears a new voice:

Upgrade to Linux Mint 17.1 Rebecca


Then is about a Windows-like procedure 


Except for the obligation to read the release notes



and the new features list



for the rest of the update is fast (much depends on the speed of the internet connection for downloading packages)


et voilà



and, after the reboot...



I tested successfully the procedure on a Cinnamon 17 64 bit HP 6540b Probook, on a Virtualbox machine, on a Mate 17 64 bit Asrock Q2900-ITX based barebone and on a Mate 17 64 Asus EEPC 1011PX.
The update procedure between one release to another is the icing on the cake for Mint, then...

Buon Appetito :)

5 dicembre 2014

Dio non ha inventato Auschwitz

Ho letto le dichiarazioni del Professor Veronesi sul suo allontanamento dalla Fede causato dal contatto quotidiano con le terrificanti conseguenze del Cancro.
“Il Cancro, dopo Auschwitz, è la prova della non esistenza di Dio”.
Non entro nel merito delle convinzioni personali di nessuno.
Ma, se la sofferenza assurda inflitta dall’Uomo all’Uomo e dalla Malattia sono prova di non esistenza affermo che non è affatto necessario spingersi fino ad Auschwitz ed al Cancro se si desidera trovare in esse l’assenza di Dio.
E’ sufficiente il pianto di un bambino di fronte al suo cucciolo morente.
E se avete bisogno di spiegazioni in merito è improbabile che io sia in grado di fornirvele.
No, dubito molto che la scala delle atrocità umane o delle calamità naturali siano misura dell’esistenza di Dio.
Lo so, purtroppo è fin troppo diffusa la credenza o l’idea di un Dio presente nel creato più o meno come Giove e al catechismo qualcuno avrà insistito un po’ troppo a dirci che Gesù è con noi sempre.
Ma il Suo Regno non è di questo mondo.
Dio non gioca a dadi con le nostre vite.
Non se ne sta su una nuvoletta tirando a sorte su chi  deve morire a cent’anni e chi a 17.
Non stabilisce lui se nel mio bicchier d’acqua c’è quella molecola cancerogena di troppo che mi farà ammalare o se passo in un sentiero di campagna da cui sgorga quella boccata di radon che mi farà venire il cancro. Nè sta a deviare i raggi ultravioletti che mi possono bruciare la pelle.
Quest’idea di un Dio che condanna al Cancro e magari per capriccio dal Cancro salva descrive più Satana che Dio.
Io non sono cristiano perchè credo che se farò il bravo finirò in un posto definito Paradiso (e nel ‘nostro’ non ci sono manco le Urì).
Sono cristiano e credente perchè le parole di Gesù mi hanno convinto e non mi ci vuole molto a spiegarlo: quando le metto in pratica nelle difficoltà sono già in Paradiso in Terra.
Quando me ne allontano, purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi, convivo col mio Inferno.
Ma che Gesù Cristo sia responsabile per inazione di Auschwitz e della Malattia non è un’affermazione sbagliata, rientra semplicemente nelle affermazioni impossibili (Esempio Classico: è più buona la cioccolata o va più veloce l’Enterprise?)
No.
Dio e Cristo non hanno nulla a che vedere con l’indeterminatezza della Vita Umana, dai Terremoti al Superenalotto, dalla foratura in bicicletta al Cancro, dall’interrogazione al primo bacio.
Cristo ha molto a vedere con la Vita dell’Uomo e ben poco con le sofferenze della Vita dell’Uomo.
L’Universo è una creazione di Dio che risponde a leggi naturali, Auschwitz e le sostanze cancerogene artificiali, di certo, no.

26 novembre 2014

Vanità

Stasera è della mia vanità che desidero parlare.
Avevo iniziato a digitare di scoutismo, Coccinelle, di una nuova meravigliosa avventura, poi anche di systemd, dell'ultimo brutto romanzo di Stephen King e della discreta avventura dell'avvocato Guerrieri.
Ma, rileggendo, mi sono sembrate parole di spocchiosa vanità.
Nel dubbio, meglio tacere.
Voglio essere ragionevolmente certo che non scriverò il prossimo post per vanità.
Sono quelli in cui scrivo peggio del solito.

20 novembre 2014

e la legge mise fuorilegge i nostri cuori d'amianto

Altri scriveranno meglio, esaustivamente, lucidamente.
Io stamattina non voglio abbandonarmi alla rabbia nè dar spazio a troppe parole.
L'apparato giudiziario italiano ha preso migliaia di cittadini vittime ed alcuni cittadini, italiani e non, teletrasportandoli nelle tenebre di un'altra epoca, quella dei feudatari e dei servi della gleba.
Non stiamo parlando del singolo caso di malagiustizia, di un singolo caso Cucchi, del dolore di una singola famiglia o dell'ingiustizia fisica subita da centinaia di persone come al G8 di Genova.
Parliamo di migliaia di morti, vittime, parenti, non del solo passato, ma anche nel presente e, purtroppo, nel futuro.
E' atrocemente certo che ci sono persone che mai lavorarono in quelle fabbriche e che oggi sono sane e che si ammaleranno nei prossimi anni.
E, per loro, vittime di un reato che ancora deve essere consumato, prescrizione anticipata.
La Potenza della ricchezza, la pochezza del potere giudiziario dello Stato Italiano hanno spostato fuori da Legge e Giustizia una intera Città.
Le hanno poste nell'epoca di Caino ed Abele con tutte le conseguenze del caso.
E la cosa che mi disturba di più è che tutte le conseguenze del caso non mi disturbano più.

18 novembre 2014

Io e la Turbinosa: andare in bici al lavoro (a Bologna)



Crisi economica, pigrizia, pancetta.

Il triangolo della bicicletta.
No, non sono così alle pezze da non potermi permettere di andare in auto al lavoro.
No, non sono così sciatto da non aver voglia di fare movimento.
No, il mio girovita non ha superato la mia altezza.
Eppure, risparmiare sui costi automobilistici non mi fa certo schifo.
Eppure, costruirmi un perfetto alibi diurno per non andare in palestra la sera non è certo secondario.
Eppure, scendere di una taglia non sarebbe male, (conservo i pantaloni e magno business as usual).
Così, alla fine della scorsa primavera, ho deciso che non sarebbe stato male andare in ufficio in bicicletta.
Parliamo di un tragitto pianeggiante di 2.5 Km, certo, non di tranquilla pista ciclabile, ma nemmeno di tangenziale!
Sono andato da Decathlon e ho acquistato una bicicletta ‘da donna’ modello base (Weg Olanda 28) spendendo poco meno di centocinquanta euro accessori (cestino, catenine antifurto e specchietto retrovisore) inclusi.
Che poi, la bici da donna è comodissima pure per gli uomini eh, anzi, la trovo molto più comoda di quelle maschili quando si tratta di scendere e salira dalla sella.
Dalla prima metà di giugno in poi, quindi, sono andato in ufficio in bici.
Iniziamo subito col dichiarare lo svantaggio di andare in bici in ufficio a Bologna: non è logisitcamente facile quando piove. 
Se piove è una bella rottura di scatole, anche perchè una cosa è tornare dall’ufficio sotto un acquazzone estivo con l’acqua che raggiunge il livello dei pedali (mi è successo) perchè arrivi a casa ti togli i vestiti bagnati ed amen ed un’altra è andarci in ufficio sotto un gelido acquazzone autunnale col rischio di tenerti i calzini bagnati addosso per quasi 10 ore.
Andiamo con ordine.
In auto, per percorrere i 2,5 km ci metto circa 6 minuti all’andata e circa 10 12 al ritorno.
In bici il valore è meno variabile e si aggira sui dieci minuti. In pratica stiamo sui 20 minuti di bicicletta al di’ vs quarto d’ora abbondante (e c'è pure da considerare il parcheggio sotto casa) di auto. Da un punto di vista del tempo impiegato,  la differenza è trascurabile.
20 minuti di bicicletta non sono certo 2 ore di sollevamento pesi, ma la differenza sul fisico tra giugno e novembre è piuttosto evidente tanto che nessuno ha sentito il bisogno di raccomandarmi di andare in palestra.
Poi, parliamo un po’ di ambiente. La mia auto consuma ed inquina (ed è una Euro5). 
Ipotizziamo 110 g di CO2 per km percorso e 23km/l di gasolio (ed io sospetto di più perchè i valori ufficiali rilasciati dalle case automobilistiche seppur supposti veri si riferiscono a condizioni ideali (90km/h costanti su strada piatta e dritta). Aggiungiamo un costo chilometrico ACI di 0,5 €/km ai nostri calcoli
Stimando di aver percorso in bici circa 250 Km parliamo, quindi di aver non solo praticamente ripagato in meno di 6 mesi il costo di acquisto della bicicletta, ma di aver immesso in atmosfera 27,5 KG di CO2 in meno (per non parlare delle altre schifezze) che se fossi andato in macchina...
Parliamo, quindi, di risparmiare un paio di euro al giorno di costi auto (di cui una componente è data da almeno 0,25l di gasolio), mantenersi in forma, beh, diciamo in formina, inquinare molto meno e… rilassarsi.
La bicicletta mi consente un passaggio ‘dolce’ dall’ambiente casa a quello lavoro e viceversa. Mi aiuta a prepararmi alla giornata e mi aiuta a lasciare in ufficio i suoi problemi, rilassandomi e spostando dal cervello alle gambe le preoccupazioni della giornata trasformandole in pedalate.
E scusate se è poco.
Certo, non è tutto rose e fiori.
Pioggia buio e automobilisti sono in agguato.
Ci si deve difendere.
Ed è possibile, infatti, difendersi.
Prima di tutto non esiste buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento.
Tradotto in fatti ho acquistato un paio di pantaloni antipioggia con sovrascarpe ( di quelli facilissimi da indossare sopra i vestiti), un impermeabile da bici (giallo riflettente) ed un po’ di lucette accessorie intermittenti a batteria (una bianca davanti, due rosse dietro di cui una montata in alto sullo zaino). Così mi sento abbastanza sicuro e riparato dalla pioggia anche intensa.
Va da se che, quando nevicherà, al lavoro ci andrò a piedi impiegandoci una mezz’ora.
La bicicletta è uno strumento di mobilità per me adattissimo al tragitto casa - lavoro.
Potendo lasciare la bici tra Cantina e Ufficio, io sono fortunato, ma, purtroppo la bicicletta, almeno a Bologna, non è lo strumento di mobilità definitivo che potrebbe essere.
L’ostacolo?
I furti.
Se, come me, non avete la possibilità di parcheggiare la bici in luoghi sicuri c’è ben poco da fare, la vostra bici resterà a rischio.
Ecco perchè se devo andare in centro ci devo andare in autobus.
La mia bici, per quanto di valore modesto (costa praticamente quanto quelle usate del mercato ufficiale) è nuova e fin troppo appetibile ai ladri. Dovrei smontare le lucette aggiuntive, portapacchi e specchietto retrovisore e ricoprirla di catene per avere ragionevoli possibilità di ritrovarla all’uscita dalla Feltrinelli o da un Cinema.
Bologna ha una rete di piste ciclabili abbastanza estesa ma non è che sia poi così bike friendly come Città (alcune piste ciclabili sembrano portare la stessa firma di quelle di Materatown), questo è vero, ma il problema principale resta quello dei furti.
Se vuoi farti una passeggiata domenicale è ok a patto di non abbandonare incustodito il velocipede.
Guardate, è davvero seccante. 
Mi hanno suggerito di andare in giro con biciclette vecchie e scassate.
Chi ruba una bici lo fa con piccolissimo profitto per se e grande danno per il derubato.
Comprare bici al mercato nero, quelle a 20 30 € è un gesto molto italico, come comprare la droga dalla mafia e poi andare ad una manifestazione in memoria di Falcone e Borsellino oppure usare il petrolio per opporsi alle estrazioni petrolifere.
Grazie, ne ho piene le tasche di questo modo di pensare.
Le biciclette usate ‘ufficiali’ costano non meno di 60 80 € e sono spesso dei rottami da rimettere a posto. 
E la bici deve avere gomme, luci e freni in ordine e se li hai diventi appetibile per i ladri.
Il cane che si morde la coda.
Purtroppo, la situazione è piuttosto grave, del resto Bologna è nellla Top Five del crimine per quanto riguarda il numero di denuncie (Matera è la penultima, almeno per ora).
Morale della favola: la bicicletta non è qualcosa che può sostituire l’automobile (non ci puoi certo andare all’Ikea o anche alla spesa settimanale) o l’autobus per farsi un giro in centro (anche se potrebbe).
Per ora pedalo, registro i freni, gonfio le gomme, tengo la bici in ordine e vedo l’indicatore del serbatoio del gasolio piacevolmente fermo.
Prima o poi passerò ad una bicicletta un po’ meno rustica, magari col cambio, ma per ora la mia turbinosa (l'immagine del post è quella della mia bici presa dal sito di Decathlon) mi porta piacevolmente oltre il vento.






7 novembre 2014

We just don't care

Matera è diventata Capitale Europea della Cultura e sento che la cosa mi è praticamente indifferente.
Potete anche risparmiarvi il seguito perchè il succo di questo post è questo.
Se proprio ci tenete, proseguite pure nella lettura.
Io ci ho provato, dopo la Laurea (in Ingegneria al Politecnico di Torino) a vivere a Matera.
Per quasi 10 anni.
Dalla fine del 2012, però, non per mia scelta, lavoro e vivo in un’altra città, un’altra capitale europea della cultura di qualche anno fa.
Ho sostenuto la Candidatura durante la campagna elettorale delle elezioni locali del 2010.
Ho dato il mio contributo nella successiva militanza politica.
Ho pure partecipato alle iniziative legate ad OpenStreetmap.
Ho seguito e partecipato a polemiche, dibattiti, riunioni, iniziative e affini.
Devo confessarmi di non aver mai provato, in vita mia, una serie di sentimenti così contrastanti nei giorni precedenti alla proclamazione della città vincitrice.
Trepidazione, ansia, attesa, speranza, rabbia, indignazione, allegria, malinconia, nostalgia, invidia, tristezza, gioia, sollievo, indifferenza.
Mettete voi in ordine a seconda dei vostri gusti.
Poi, l’evento è passato.
Ed io non sono riuscito a decifrarmi.
A decifrare, ricostruire, inquadrare quello che la festa dell’Ottobre scorso significa e significherà per me e la mia famiglia da oggi in poi.
Ho aspettato che le emozioni decantassero e ho ascoltato me stesso.
Per settimane, quasi un mese.
A risultato raggiunto e bocce ferme la parola d’ordine è inclusione, partecipazione, anzi, vittoria della partecipazione popolare, nessuno si senta escluso, dobbiamo tutti lavorare per Matera2019.
Ecco, io vorrei tanto capire come fare a non sentirmi escluso.
Da dove cominciare.
Come includermi.
E, soprattutto: perchè includermi?
Sul mio bigliettino da visita c’è scritto (al momento) System Manager.
Quanti nuovi System Manager (o progettisti di sistemi fotovoltaici, o spcialisti in sistemi biomedicali o in migrazione al Software Libero) saranno necessari stabilmente a Matera grazie a questa Vittoria?
Non ho dubbi sul fatto che un certo numero di materani otterrà vantaggi duraturi e che un certo numero di giovani e non potrà evitare di seguire il mio cammino.
Questo dovrebbe costringermi a gioire?
E dovrei sentirmi meschino e colpevole se, invece, non provo nessuna gioia a riguardo?
La realtà è che per me e per i gravi problemi che il vivere lontano da Casa comporta, la vittoria di Matera non cambia praticamente niente.
Che ben poco posso fare per contribuire affinchè ci sia spazio ed attenzione anche al di fuori della filiera del turismo.
Che quasi nulla posso fare, in generale, da così lontano.
E che, purtroppo, questo mio sentimento singolare è, quasi certamente, fin troppo plurale per troppi miei simili sparsi per il Mondo.
E alla fine ci sono arrivato, nella lunga sequenza di sentimenti di qualche riga fa, a sedimentarmi su uno in particolare.
Matera2019 forse non ha bisogno di me.
Forse, Matera2019 non vuole quelli come me.
Ma, opo aver ondeggiato paurosamente sull'orlo del baratro della rabbia ed essere, poi, scivolato indietro, per lunghi giorni di travaglio, mi sono ritrovato, oggi, seduto nella prateria dell'indifferenza.
Indifferenza verso l'evento.
Perchè, purtroppo, Matera ha ancora bisogno di me e mi chiama ancora.

7 ottobre 2014

L'eredità di Straker

Blip.
La mia retina si spegne di nuovo.
La tenebra è assoluta.
Inizio a contare, uno, due, tre, quattro, un lampo mi abbaglia, sei, sette, otto, la mia retina destra si illumina di verde, la sinistra scandaglia nuovamente il bosco che prima era tenebra.
Sulla retina destra sono proiettate informazioni tattiche, la sinistra riceve l'output di un sofisticato sistema di visione notturna.
Roba quantica, mica intensificatori della luce stellare.
Il mio occhio sinistro mi dice che non c'è nessuno in vista.
Il mio occhio destro che ci sono un sacco di cose che non vanno.
E non faccio in tempo a contarle che...
Blip.
La mia retina si spegne di nuovo.
Sta diluviando, ma, sudore a parte, non sono bagnato.
Almeno, la pioggia non penetra la mia corazza.
E, spero, nemmeno i raggi al plasma dei sectoidi.
Di sicuro, purtroppo, la granata a impulsi che mi è esplosa accanto poco fa ha penetrato allegramente la mia tuta da battaglia friggendo praticamente tutto il sistema di controllo.
Niente AI, niente sensori, niente servomeccanismi, supporto vitale  per modo di dire e un infinito loop di falliti riavvii che, come bonus, mi lascia pochi secondi di visione notturna e sistema tattico.
Non ho idea di dove siano gli altri, ma non credo siano morti: dopo l'esplosione della granata non ho visto altro che i lampi del temporale e nemmeno un'esplosione di plasma verde.
Potrebbero essere a pochi metri da me che me ne sto sdraiato faccia a terra  sotto quello che mi sembra un olivo.
O essere scappati via a gambe levate verso la zona di recupero, non sarebbe la prima volta: siamo quasi certi che i sectoidi abbiano qualche potere psionico che ci manda fuori di testa.
Ma lo snaker che ha lanciato la granata a impulsi di sicuro non ne ha.
Penso a cosa può essere andato storto.
Loro sono sicuramente in inferiorità numerica e spero, almeno un po' storditi dallo schianto del piccolo veicolo da ricognizione abbattuto da un nostro Sparviero poco dopo il tramonto.
Noi eravamo dodici, una squadra completa, mezz'ora fa. 
Io ho seccato lo snaker che copriva quello che ci ha tirato la granata a impulsi e su quei cosi non abbiamo mai trovato più di quattro di loro.
Secondo me ci sono ancora due sectoidi ed uno snaker a quattro passi da me.
Da noi.
Noi dodici, dico.
Ma non mi sento molto vincitrice con il mio sistema ko, sola, nel fango e nel buio completo.
La tenebra si squarcia di nuovo e faccio in tempo a leggere lo status del mio fucile: la notizia cattiva è che il sistema di puntamento è completamente morto, assieme al sistema di caricamento, quella buona è che il lanciagranate da 25mm funziona ancora, con puntamento manuale, of course.
Ho sei colpi, come nel Vecchio West e se mi riesce di aprire lo scomparto munizioni della mia tuta ne ho altri sei.
Ammesso e non concesso di voler fare tutto il rumore necessario.
Il tempo passa ed io non posso certo aspettare l'alba.
Non siamo in Siberia, ma sulle coste del Mediterraneo, dobbiamo ripulire tutto 'sto casino prima che la vita riprenda e non ho proprio voglia di farmi beccare da un contadino mentre trascino per la coda uno snaker morto.
Però, scusatemi, non è mica facile muoversi nel buio con tre di quei cosi pronti a vendere cara pelle e squame:
ti viene tanto tanto naturale restare spiaccicata nel fango, viva, piuttosto che correre il rischio di finire spiaccicata nel fango, morta.
Qualcun altro si muove al posto mio
Lampo verde, lampo giallo.
Due lampi gialli.
Blip.
Uno snaker corre nel fango a quaranta all'ora, ma non può correre più veloce di un lampo giallo.
E finisce nel fango.
Come me.

No, non è l'incipit di un romanzo di fantascienza, ma il mio personale omaggio ad un trasversale genere di intrattenimento fantascientifico che comprende romanzi, telefilm e videogiochi:
quello dell'Invasione Aliena contrastata da un manipoo di coraggiosi che agiscono all'oscuro del resto dell'Umanità.
UFO, il telefilm di fine anni '60 di cui suggerisco caldamente la visione, era per me una trasmissione feticcio.
Sicuramente assai più inquietante e da adulti rispetto a Star Trek, violento, cupo ed angosciante, era di difficile reperibilità su canali privati che trasmettevano solo al Nord.
Dalle mie parti dovevo accontentarmi delle repliche dei 'film' di montaggio di vari episodi e solo di recente ho potuto acquistare in edicola l'intera serie.
Io preferirei che il mondo si evolvesse come in Star Trek, ma temo che UFO descriva meglio la realtà.
Quindi, quando anni dopo mi sono imbattuto in X-Com, non mi è sembrato vero poter prendere io stesso il comando d SHADO, l'organizzazione che in UFO combatte la minaccia aliena.
X-Com, Enemy Unknown è stato il capostipite di una lunga serie di giochi i cui ultimi discendenti sono di recente produzione.
E, devo dire spassionatamente, con decrescente passione da parte mia nei loro riguardi.
Non mi si scambi per un laudator temporis acti, perchè non sto dicendo che oggi non si sanno fare più i giochi di una volta, solo che non si vogliono fare più i giochi di una volta.

Ecco come si presenta l'inizio del gioco: un mappamondo in cui decidere l'ubicazione della prima base.


Ed ecco una base di quelle avanzate, già complete:



La schermata di intercettazione degli UFO:



E quella di equipaggiamento dei soldati, occhio che se li sovraccarichi i loro movimenti sono limitati dal peso:


Ed ecco un po' di scene di battaglia. Dopo aver abbattuto un UFO o in risposta ad un raid alieno la squadra d'intervento  si precipita sul posto per eliminare gli alieni e racogliere tecnologia. Al contrario di molti dei più moderni sequel  e blasonati sparatutto... Se lanci un missile contro una casa, questa esplode e va a fuoco: non resta intatta!







 L'arma finale contro gli alieni: gli antispecisti:



Ed ecco qui un po' di alieni cattivi:




UFO è un gioco complesso pieno di colpi di scena ed estremamente longèvo.
Se vuoi trasferire qualcosa da una base ad un'altra devi mettere in contro i tempi e le spese di spedizione.
Se finisci il carburante dei velivoli questi restano a terra.
E gli scienziati, i tecnici, vanno assunti, alloggiati, pagati.
Già, nei giochi di fantascienza, almeno, gli ingegneri hanno stipendi altissimi.
Sul campo di battaglia, poi, UFO è uno dei pochi giochi in cui puoi simulare un minimo di tattiche di fanteria con fuoco di reazione e di copertura.
Nei remake moderni (e l'ultmo omonimo del capostipite è davvero ben fatto) molte di queste sottigliezze si perdono, la logistica è semplifcata e le battaglie sono piuttosto ripetitive.
Però, anche così, non è male essere il Comandante Straker





21 settembre 2014

qualcuno disse no, qualcuno sa dire solo sì: Il Popolo che disse No, di Bo Lidegaard

Ho appena finito di leggere "Il Popolo che disse No" di Bo Lidegaard.
Racconta di come la Danimarca salvò la propria popolazione ebraica dallo steriminio nazista.
La Danimarca era stata occupata il 9 Aprile 1940 dai tedeschi e, data la disparità di forze, i danesi avevano preferito non opporre alcuna resistenza.
In cambio, la Germania non trattò la Danimarca come gli altri paesi occupati.
Il libro non è, come si dice, di scorrevole ed avvincente lettura, ma, appunto, non è letteratura da treno.
E' un racconto accurato, da un lato, della sorte di alcune migliaia di persone che si salvarono fuggendo in Svezia, dall'altro, del peculiare fenomeno per cui la consueta sequenza di azioni messe in atto dai nazisti contro gli ebrei, ossia discriminazione, segregazione, deportazione, sterminio, in Danimarca non funzionò affatto.
"Con che diritto venite qui?" Chiese, semplicemente, un bibliotecario alla Gestapo che stava saccheggiando i suoi registri per cercarvi gli ebrei.
E l'uomo della Gestapo rispose: "Con il diritto del più forte", al che il bibliotecario "Non è un buon diritto".
Nel mondo del bibliotecario, gli ebrei non esistevano. 
Esistevano i Danesi, uomini, donne, alti, bassi, religiosi e atei, tutti, però, membri della Nazione Danese, democratica e prospera.
"Con che diritto venite qui?" Non è una domanda banale, perchè nel mondo civile delle democrazie occidentali il diritto del più forte equivale a nessun diritto.
Per i Danesi, essere complici delle deportazioni ebraiche equivaleva ad un suicidio.
Equivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione e distruzione.
Perchè, ripeto, non esistevano gli ebrei danesi, solo i danesi. 
Acconsentire che un danese venisse perseguitato quivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione.
C'è una leggenda secondo cui il Re Cristiano di Danimarca, di fronte alla pretesa tedesca di imporre la stella di Davide agli ebrei (la fase uno dello sterminio, la discriminazione per Legge), si sarebbe presentato in pubblico con la stella di Davide addosso.
E' un episodio apocrifo, mentre è vero che quando gli dissero che i tedeschi avrebbero preteso di applicare tale 'legge', rispose, effettivamente: "Beh, allora ci toccherà indossarla tutti".
I tedeschi consideravano la Danimarca come un prototipo di Nuova Europa: un paese ariano, prospero, pacificamente asservito alla Germania e non avevano nessun interesse a turbare questo equilibrio in cui i danesi non resistevano e i tedeschi non opprimevano (troppo).
Di questo i dirigenti danesi erano perettamente consapevoli.
E non consideravano affatto possibile che accadesse in Danimarca quello che era successo nel resto d'Europa.
Sapevano che la Germania era lì a due passi e bisognava farci i conti.
E basavano i loro calcoli sulla ragionevolezza delle pretese tedesche.
Così, quando la furia nazista si abbattè sui danesi che, ai soli occhi nazisti erano 'diversi', a tutti i danesi fu chiaro che ad occuparli non era la Germania, ma 'un regime violento di criminali che non meritavano il minimo credito'.
L'opposizione danese al nazismo, quindi, non fu semplcemente un'opposizione armata di una sparuta minoranza, come in Italia.
Fu l'opposizione di un intero popolo che raggiunse il suo scopo: meno dell'1% della popolazione ebraica della Danimarca finì tra le grinfie dei Nazisti, il resto fu messo al sicuro dai soccorritori danesi in Svezia.
E voi, cari lettori, potreste attribuire all'elevatissimo grado di prosperità sociale della Danimarca il comportamento dei suoi cittadini.
Peccato che non vi sia alcuna correlazione diretta tra il dire no ai nazisti e la prosperità di un popolo.
In Olanda, un'altra ricca nazione occupata di cui i tedeschi consideravano perfettamente ariani gli abitanti, ben il 71% della popolazione ebraica fu sterminata, quasi centomila vite umane.
E vi fu un altro popolo che disse No.
In cui la percentuale di ebrei uccisa fu pari a zero.
Quello bulgaro.
Di certo non ricco come quello danese od olandese.
Ecco, quando parlate di Palestina, date un pensiero ai vostri bisnonni e a dove ci hanno portati tutti i loro Sì.
E a tutti i Sì che l'italica gente grida a gran voce ogni giorno.

3 settembre 2014

Route Nazionale 2014 - Terza Parte: la Carta del Coraggio

Ebbene, ho letto pure io la Carta del Coraggio.
Non mi aspettavo niente di diverso:
ingenuità, forza, determinazione, freschezza, idealismo, pure qualche dibattistata, anche un po' di coraggio, insomma, tutto quello che mi sembra legittimo attendersi da giovani responsabili, pronti a Servire e desiderosi di vivere con gli altri e non a scapito degli altri.
E ancora meno di prima riesco a spiegarmi la natura di qualsivoglia polemica.
Forse, banalmente, trentacinquemila ragazzi che sono disposti a camminare per ore zaino in spalla per incontrare se stessi attraverso le lenti della fatica e della Povertà della Strada, seguono il Signore senza Paure  o Terrori Paure e Terrori ne suscitano in chi spera di mantenere lo status quo.
I Ragazzi chiedono e perchè non dovrebbero?
Cosa c'è di strano, non dico di male, semplicemente di strano, in ragazzi che chiedono, io mi domando, da suscitare scandalo in altri Capi Agesci? 
(Ribadisco che delle opinioni dei vari siti o giornali integralisti & affini non ho alcun interesse).
Ed è davvero così sconvolgente leggere dichiarazioni di impegno?
No, guardate, la Carta del Coraggio non è un documento nè eretico nè innovativo e tanto meno eversivo.
Trasuda entusiasmo, il normale e abbacinante entusiasmo dei vent'anni, l'entusiasmo giusto della generazione giusta di questo inizio XXI Secolo.
Forse dell'unico gruppo organizzato di giovani attivi che non agisce contro qualcuno ma per qualcosa.
E, poi, se la scrivessimo noi Capi una nostra Carta del Coraggio sarebbe poi tanto tanto diversa da quella dei ragazzi?
Molte delle loro richieste non sarebbero le nostre stesse?
E le nostre dichiarazioni di intenti?
Come mi ha ricordato il mio caro amico Luciano, (Mt, 18) l'Unione in Cristo non ha nulla a che vedere col genere.
La Religione Cattolica non è monolitica, cambia, lentamente e costantemente in retroguardia, ma cambia nei suoi contenuti sociali.
Un Cristiano dell'anno mille poco capirebbe della Chiesa del I secolo, come, spero, anche il più feroce teocon resterebbe scandalizzato dalla Chiesa dell'Inquisizione e dei roghi se venisse riportato a quei tempi.
E, a proposito di tempi:
è' strapassato il tempo del Gott mit uns, siamo noi che dobbiamo accostarci a Dio e non pretendere che Dio stia a rincorrere le nostre granitiche zuccherose e spietate posizioni, posizioni legittime se personali un po' meno se di pretesa universale applicazione.
La Carta del Coraggio, probabilmente, non resterà nella Storia e nella Memoria per Coraggio e Profondità dei contenuti.
Ma non è stata scritta per questo.
Se è sintomo di un grave errore educativo io non lo so, non posso escluderlo, ma, se così fosse, dubito che sia generato da un lassismo educativo, bensì da una insoddisfazione che, mi dispiace dirlo, è ben più che giustificata nei confronti di una Chiesa che, negli anni del berlusconismo più sfrenato, si sa bene da che parte si è schierata, con tutte le dolorose conseguenze in termini di distruzione della Famiglia Italiana Cattolica.
Rassegnatevi, l'interpretazione della Scrittura dei trentacinquemila germogli dell'Agesci è diversa dalla vostra, come la vostra è diversa da quella di Torquemada.
Non è grave, sono duemila anni che succede.
Quindi, questa Carta del Coraggio?
Ah, non lo so, non mi ci affezionerei tanto, perchè è l'ondata di rinnovamento, forza, amore, pensiero ed azione che è già partita da San Rossore che farà la differenza.

1 settembre 2014

Route Nazionale 2014 - Seconda Parte: le polemiche sulla Carta del Coraggio

Ed ora la parte meno piacevole di tutta la faccenda.
Mi riferisco alle polemiche suscitate dalla pubblicazione della Carta del Coraggio
Che non ho letto.
Cioè, prima di finire questo post la leggerò, eh, solo che al momento mi è bastato leggere le polemiche per rendere localmente superflua la lettura del Documento preparato dai Rover e dalle Scolte.
Quindi, da ora in poi, parliamo di polemiche e non di Carta del Coraggio, quella me la vado a leggere dopo e poi vi dico.
Per prima cosa non parliamo delle polemiche provenienti da siti ed altri organi di stampa di stampo integralista, perchè l'ignoranza tecnica espressa in tali sedi rende inutile qualsivoglia risposta e confronto.
Intendiamoci, chi non ha mai letto una riga del Patto Associativo AGESCI o di altri documenti del caso non è di per se colpevole di nulla, ma mi viene a mancare proprio la base della discussione nel rispondergli.
Insomma, non sanno di cosa parlano e non sto qui a spiegarglielo.
Più gravi, molto più gravi, sono le Polemiche di provenienza Agesci.
Spero bene che siano pochi i capi brevettati a portare avanti questa contestazione.
Ah, qui mi viene utile non aver (ancora) letto la Carta del Coraggio.
Perchè mi consente di andare alla radice del problema senza farmi traviare da questioni di merito.
Restiamo al Metodo.
Il nostro Metodo Scout di cui l'AGESCI è così fiera.
Dunque, la Carta è stata accusata, fondamentalmente, di un paio di questioni distinte: uno spirito buonista superficial utopico da un lato e gravi violazioni al Magistero della Chiesa dall'altro, quasi sicuramente per le "aperture" (virgolette non casuali) a temi sociali quali l'omosessualità o le coppie di fatto o che ne so.
Mi sembra addirittura banale fermarmi proprio alla base:
Il documento non è scritto da capi, ma da ragazzi che, prima della Partenza, hanno tutto il diritto di essere buddisti, atei ed eretici.
Solo chi chiede la Partenza ha il Dovere di rispettare certi altri requisiti...
Insomma, signori, state chiedendo ad una macchina al 70% della catena di montaggio di correre come una che esce dal concessionario: non è dai ragazzi che ci si deve aspettare una pretesa ortodossia cattolica.
Altrettanto grave è il concetto di giudizio espresso sul lavoro dei Ragazzi. Anche se fosse un pessimo lavoro, cari, interroghiamoci sul perchè sia stato fatto un pessimo lavoro.
"Ask the Boy", pare che stia scritto...
Se ci scandalizza ascoltare i ragazzi forse ci si deve interrogare sulle intenzionalità educative delle proprie azioni.
Se l'Agesci non fosse in grado di arrivare a certi standard sarebbe un problema dell'Agesci nel suo complesso, non dei ragazzi e nemmeno di alcuni specifici capi.
In altri termini, mi sento un po' in difficoltà in una Associazione in cui alcuni membri responsabili dimostrano e spiattellano pubblicamednte una completa ignoranza su parte dei meccanismi basilari di scoutismo in genere e dell'AGESCI in particolare, un po' come essere in aereo e sentire il co-pilota lamentarsi che non trova la frizione.
L'AGESCI ha come obiettivo di formare l'Uomo e la Donna della Partenza, lo Scoutismo no, gli basta formare buoni cittadini del Mondo.
E' perfettamente possibile per un Ragazzo lasciare l'AGESCI a 21 anni da ATEO e considerare il suo percorso associativo un completo successo nel momento in cui questo Ragazzo manifesta nei fatti una scelta di Servizio al Prossimo.
Come vedete, nel merito delle manchevolezze presunte della Carta del Coraggio nemmeno entro, non è necessario.
Magari non piace nemmeno a me, ma come non mi piacciono i megaraduni tra scout e quando richiestomi faccio del mio meglio per contribuirvi, così non mi viene di calare una scure sul lavoro dei ragazzi, come regola generale.
Ovviamente, non entro nel merito neppure delle critiche, proprio perchè non mi va di emettere giudizi sommari su altri Capi dell'Associazione, mi limito a constatare e a ricordare l'abc dei nostri meccanismi:
l'Uomo e la Donna della Partenza sono un sottoinsieme di quella grande famiglia di bravi cittadini che contribuiamo a formare. Se sono una minoranza numerica non è un gran problema nel momento in cui si accompagnano a migliaia di giovani, bravi cittadini, come quelli che hanno popolato San Rossore e scritto la Carta del Coraggio.

Ed ora andiamo a leggere questa famigerata Carta del Coraggio, poi vi dico.

31 agosto 2014

Route Nazionale 2014 - Prima Parte: il mio mattoncino

Due diverse unità scout che si incontrano e fanno attività insieme sono una meraviglia di bellezza e impegno.
Tre sono una grande festa.
Più di tre sono un rave party in uniforme.
Io continuo a pensarla così, eh, sia chiaro.
La Route Nazionale mi ha colto in un momento particolare, a cavallo di due lavori, due città e tre gruppi scout.
E, no: non mi sono offerto volontario, sono stato richiamato in servizio tipo cartolina precetto dei riservisti.
Dopo una breve chiacchierata al pub con il mitico Francesco ed un'altra con il nostro direttorecaposcoutcaporeparto Daniele, mi sono trovato, a inizio anno, arruolato nella Pattuglia IT.
La Route Nazionale non è quel tipo di evento che suscita il mio entusiasmo, ma dopo quasi Trent'anni di Agesci ho imparato a fidarmi di chi mi sta attorno in Associazione.
Così, una bella sera d'inverno, mi sono trovato in teleconferenza (via Mumble) con una dozzina di altri Capi.
La prima di molte volte.
E' stata un'esperienza incredibilmente arricchente.
Da tutte le parti d'Italia, di tutte le età, un plotone di Capi appassionati e professionisti di Linux e di Software Libero hanno progettato, implementato e mantenuto l'infrastruttura IT di una Città di 35mila abitanti.
Hanno dimostrato, nei fatti, che non solo il Modello AGESCI è vincente, ma anche che usare Linux è il modo Scout di usare il Computer.
Mi dispiace di non aver potuto fare di più (Io ho 'solo' gestito Redmine, il gestionale della prima fase dell'organizzazione), ma così è la vita.
E' stato un lavoro di mesi, impegnativo e qualificante, i cui risultati non spetta a me giudicare, sono alla luce del sole.
Non posso che rinraziare chi mi ha dato l'opportunità di cimentarmi in quei mesi di Servzio, non posso che abbracciare i miei fratelli della Pattuglia IT che troppo poco spesso ho l'occasione di rivedere.
Spero che il patrimonio di codice progetti e competenze possa restare all'AGESCI ed essere diffuso come buon esempio di informatica etica, che so, ad un Linux Day, perchè noi abbiamo dimostrato coi fatti che un altro mondo è possibile, non un mondo ideale ed astratto, ma concreto, fatto di ospedali, mense, sala stampa, parole, stampanti, applicazioni mobili e sudore, polvere, strada ed Amore.
Grazie di cuore, buona strada a tutti.