30 aprile 2014

I Promessi Sposi

I Promessi Sposi.
Un Romanzo che è spesso associato alla più completa noia, asfissia ed ansia adolescenziale.
Un romanzo che "Ma è vecchio, superato, che noia, e poi... E poi... Che volete che possa significare nell'Italia del XXI Secolo?"
Già.
Obsoleto.
Vecchio.
Che non descrive la nostra realtà.
Ah, può darsi.
Può darsi.
Però, vediamo, in Italia.
Nell'Italia di oggi.
Abbiamo, vediamo un po', abbiamo Don Abbondio? 
Quello debole coi forti e forte coi deboli?
Abbiamo Don Rodrigo?
Abbiamo i Bravi?
L'Azzeccagarbugli?
I Birri?
La Peste?
La Madre di Cecilia?
Fra Cristoforo?
Almeno, su Renzo e Lucia siamo sicuri di essere tutti d'accordo che quelli, almeno, ci sono.
Vi lascio qualche fotografia, così, per riflettere, magari per accostare alle parole "Bravi, Azzeccagarbugli, Birri, Peste, Cecilia,Cristoforo, Don Abbondio, Ferrer, Fra Cristoforo" le immagini a vostro gusto.
Io vi lascio le mie associazioni...
Per certe di combinazioni di parole e immagini, poi, l'attualità dei Promessi Sposi emerge come l'Iceberg che affondò il Titanic. Anzi, il TitanicItalia...

 Azzeccagarbugli
 i Birri
 i Bravi
 Don Abbondio
 Ferrer
 Fra Cristoforo
 La Madre di Cecilia
La Peste

25 aprile 2014

In Cerca di Patria: 8 Settembre 1943 25 Aprile 1945, 25 Aprile 2014.

Anche se di guerra era pur sempre Natale.
Il pranzo di Santo Stefano era stato leggero facendo di necessità virtù.
Si era alzato presto e aveva lasciato Chiara a dormire nella stanzetta sopra casa di suo padre, sul Piano.
Era sceso nei Sassi ancora addormentati, facendo attenzione a non cadere nei canali di scolo e a qualche pitale svuotato dalle finestre.
In pochi minuti fu a Porta Pistola da cui si addentrò nel canyon della Gravina.
Si stava dirigendo all'eremo in cima alla collina al centro del canyon.
Scese guardingo per il sentiero reso sdrucciodevole dall'umidità, fino a raggiungere il torrente gonfio per le piogge invernali.
I sassi che sporgevano dal pelo dell'acqua erano lucidi per l'umido ed erano scivolosi sia alla vista che al tatto.
Ma lui li conosceva a memoria.
Memoria.
Prima dello sfondamento finale, se li era ricordati, quei sassi, quando si era trovato dietro un pezzo anticarro faccia a faccia con un bestione d'acciaio.
Uno due, destro sinistro destro ed ecco l'altra sponda della Gravina.
Nemmeno questa volta si era bagnato gli scarponi.
Le scarpe, gemelle di quelle che lo avevano sostenuto praticamente dall'Asia all'Italia.
Dono di suo Padre.
Un'altra cosa che doveva ancora fare: ringraziare suo padre per quelle scarpe che gli avevano salvato la vita.
Un paio di scarpe, una vita.
Iniziò  a risalire la ripida collina sassosa che si contrapponeva alla parete in cui era scavata la sua città.
Non aveva bisogno di arrampicarsi con le mani, era ancora abbastanza allenato dopo tutta la strada fatta a piedi alla fine dell'Estate.
In quei cento metri di ascesa tra pietre ghiacciate pensò a Chiara che dormiva nel letto al piano di sopra di casa sua.
A quel matrimonio fatto in fretta, poverissimo, punto di arrivo di altri pensieri, quelli che li avevano sorretto nell'infernale inverno precedente.
Troppe ne aveva viste, troppe ne aveva fatte.
I ragazzini del suo plotone arsi vivi, squartati dalle granate sul tappeto di gelo, la follia dei superiori e le atrocità degli alleati.
Quelle troie dei Savoia!
Che li avevano abbandonati ai nazisti, ai fascisti e a far la guerra con le cerbottane contro i carri armati!
Quei figli di puttana dei tedeschi e il lago di sangue che si lasciavano dietro.
Quei bastardi vigliacchi dei fascisti arditi nella fuga e geni della strage della propria gente.
Arrivò in cima mentre un timido sole illuminava la città scavata nella roccia.
"In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele Terzo In grazia di Dio e per volontà della Nazione 
Re d'Italia... Si presenterà al distretto militare... Assumerà il comando della Compagnia..."
Avevano lo stomaco di mandargli la letterina di coscrizione come se niente fosse stato.
Come se non fosse il Re il primo disertore che aveva abbandonato lui e milioni di altri alla mercè dei tedeschi.
Odiava il Re e i suoi generali.
Odiava i fascisti prima che i tedeschi.
E grido'.
Un grido lungo, umano, che diventò eco tra le querce del fondovalle.
Poteva ignorare la lettera e darsi malato, non era fesso, si sa come vanno le cose, basta pagare.
Ma era quel pensiero ad averlo fatto gridare.
Il pensiero di aver patito freddo, fame, orrore, per colpa di fascisti, tedeschi e ignavi savoiardi e doversi accontentare di aver salvato la pelle.
Era quella rabbia a farlo urlare.
Cosa ne sarebbe stato di lui se fosse rimasto a casa?
Entro un paio di anni gli americani sarebbero stati a Berlino, era chiaro.
E se lui se ne fosse stato a casa poi cosa ne sarebbe stato di quei porci che li avevano ridotto così?
Sarebbero tornati dalla prigionia allegri e felici e avrebbero ripreso da dove si erano interrotti e lui sarebbe sempre rimasto come quello che scappava.

Scappato dalla Russia, scappato dai tedeschi, scappato dai fascisti, genuflesso agli americani e pure a quei bastardi di inglesi.
E no, perdio, lui e i suoi non erano mai scappati da nessuno.
In Russia erano usciti dalla sacca al grido "Tutti i vivi all'assalto".
Lontano, i campanacci delle vacche.
Scese nell'eremo, dove gli affreschi millenari lo guardavano severi.
Sarebbe andato.
Sarebbe andato di nuovo con l'Esercito del Re.
Sarebbe andato, avrebbe preso a calci i tedeschi, i loro lacchè fascisti, poi sarebbe toccato ai Savoia ai generali e a tutti i mammasantissima che li avevano portati a vent'anni di macello.
Sarebbe andato a piedi, come al solito, come al solito con un fucile vecchio, una divisa inglese logora e forse un paio di scarpe americane, ma sarebbe andato.
Come era andato a piedi in Albania, Grecia, Iugoslavia, Africa e Russia e dalla Russia all'Italia.
Sarebbe andato a piedi da Matera a Milano e poi sarebbe tornato a Brindisi o a Roma o dovunque Savoia e fascisti si fossero andati a nascondere.
Iniziassero a scappare, a scappare, loro!

Stoner

Il mio apprezzamento per il terzo romanzo di John Edward Williams è causato dalla densità di significato di ogni pagina e dalla capacità dell'autore di descrivere con precisione e continuità un Uomo.
E' un'impresa difficile, raccontare un Uomo.
I romanzi, in genere, narrano di gesta, fatti, periodi, eventi.
Raccontano gli uomini attraverso i loro pensieri e i loro atti in periodi ben delimitati.
Stoner ci viene raccontato nella memoria di ogni uomo: dai primi sprazzi di infanzia alla terribile lievità degli ultimi istanti.
Stoner è un uomo la cui mitezza è pagata a caro prezzo con una passività devastante.
Di cui, tuttavia, l'uomo si rende conto non dandole alcuna importanza.
Nè da importanza alle sue nemesi incarnate nella moglie e nel collega: sono fatti della vita, come il tuono e la rugiada.
Ma Stoner si trasforma, diventa: da insegnante incapace a luminare della docenza, da anaffettivo a padre affettuoso e tenero amante e, pur nella sua costante passività, arriva fino in fondo alla vita.
E' una vita crudele, la sua, in cui dolcezza e sapore gli sono dati solo per rammentargli la costante sciapa amarezza del quotidiano.



Ed è una vita sapientemente descritta, priva di tempi morti, con una penna che mai si stacca dal foglio.
La vita di un Uomo che scopre la letteratura a vent'anni e la respira fino alla fine, potrà mai dirsi vuota?


22 aprile 2014

La giornata della Terra 2014, la mia dedica all'hobby imposto ai materani: il palazzinaggio.


Io ho un hobby, mi piace guardare le formiche.
Mi siedo ed osservo, senza interferire, le loro ordinate attività.
Nella mia città, un hobby diffusissimo è prendere un pezzo di terra, un bel po' di acqua ed aria e costruire un palazzo.
Poi, tenerlo così, vuoto e lasciare che siano altri a pagarne le conseguenze.
Conseguenze assai care da un punto di vista economico, sociale, ambientale.
Un hobby costosissimo a spese della collettività.
Ogni tanto un tribunale disturba i giocolieri, ma intanto la mia città è un deserto di torri vuote, di palazzi nuovi che cadono, semi di emigrazione e povertà.
Dedico questa giornata della Terra a chi, da edifici come quello in effige, ricava soddisfazione e profitto.

21 aprile 2014

Ubuntu Server 14.04 with GUI: the easy way, Lubuntu and/or MATE

In English (Google) at the bottom, but here the updated post for the 16.04

La guida aggiornata per Ubuntu 16.04 la trovate  qua.

Il mio precedente articolo, risalente ormai a due anni fa, su come installare una interfaccia grafica (GUI) ad Ubuntu Server ha avuto un più che discreto successo con le sue 3850 visualizzazioni.
Ho pensato che fosse il caso di aggiornare il post con la nuovissima Ubuntu 14.04.
Il progresso è il progresso e sulla nuova distribuzione server di casa Canonical installare una interfaccia grafica è senz'altro più semplice di due anni fa.
Ora, prima di tutto una premessa doverosa: un Server con Interfaccia grafica è quasi sempre inutile e dannoso e, autocitandomi: 'sono ben poche le circostanze che la rendono davvero necessaria. Vale il vecchio adagio: "Quello che non c'è non si rompe" che, nell'Informatica, ha anche un corollario mica da poco: "quello che non c'è non può essere violato".'
Il procedimento che segue potrebbe essere utile per costruire una macchina Desktop con interfaccia particolarmente leggera e dotata solo del software strettamente necessario oppure per un Server che oltre a fare da Server configurato come si deve debba anche, che so, per motivi economici, fungere da Workstation.
Per prima cosa, quindi, installate Ubuntu 14.04 server aggiungendo come ruolo solo quello di server ssh, nel caso abbiate altre necessità, ovviamente, aggiungete, quando l'installer ve lo richiede, tutti i ruoli necessari.
Dopo l'installazione logghiamoci sul server con le nostre credenziali,  aggiorniamo il server:

sudo apt-get update

e, dopo che l'elenco del software disponibile si è aggiornato lanciamo il vero e proprio programma di aggiornamento:

sudo apt-get dist-upgrade

La via più rapida ad una Graphical User Interface passa per l'installazione di uno dei numerosi ambienti grafici disponibili: Unity, KDE, XFCE LXDE. 
Per far ciò lanciamo un solo semplice comando:

sudo tasksel

inserendo la password. Comparirà questa schermata:





Selezioniamo l'ambiente desktop che preferiamo con freccette e barra spaziatrice e premiamo invio.
Io, per il mio test, ho scelto Lubuntu nella versione minima.
Il gioco è fatto: inizierà il download e l'installazione del software:




Dopo pochi minuti, a seconda della potenza dell'hardware, della velocità della connessione ad internet e dell'ambiente desktop scelto, una volta conclusa l'installazione potremo riavviare e ritrovarci a fare login in un ambiente grafico.










Ed ecco qui sopra un server ubuntu 14.04 con interfaccia grafica e, appunto, kernel server.


Tuttavia, il mio ambiente desktop preferito in questi tempi è MATE:
è leggerissimo, completo, non richiede accelerazione 3d ed è altamente customizzabile.
Per installare MATE 1.8, quindi, dovremo digitare nel terminale quanto segue:

sudo -s (e inserire la password)

echo "deb http://repo.mate-desktop.org/archive/1.8/ubuntu $(lsb_release -cs) main" | sudo tee /etc/apt/sources.list.d/mate-desktop.list

wget -qO - http://mirror1.mate-desktop.org/debian/mate-archive-keyring.gpg | sudo apt-key add -

apt-get update

e, a seconda della quantità di pacchetti aggiuntivi che si desidera installare, si potrà o meno aggiungere mate-desktop-environment  e mate-desktop-environment-extra al comando di installazione:

apt-get install xinit slim mate-core mate-desktop-environment  mate-desktop-environment-extra mate-notification-daemon



E', ovviamente, necessaria una gran quantità di software, quindi non vi allarmate per le dimensioni del download nè per l'alert sui pacchetti non firmati.




Quando l'installazione finisce è opportuno riavviare con il comando

reboot

Subito dopo il riavvio ci ritroveremo la solita scheramta testuale di login, se abbiamo installato MATE su una Ubuntu Server liscia, altrimenti, se abbiamo installato MATE su una Ubuntu Server già dotata di Lubuntu, per esempio, i passaggi successivi non sono necessari e si deve avere solo l'accortezza di selezionare MATE come ambiente d'avvio dalla interfaccia grafica di login.
Ma, se non abbiamo installato MATE su un Server già dotato di GUI abbiamo due vie: possiamo loggarci e lanciare manualmente x 

startx

ad ogni avvio. Se non vogliamo loggarci e lanciare la GUI a mano ogni volta possiamo automatizzare il processo.
Eseguiamo il comando:

vim /etc/slim.conf

Ok, ma prima di procedere: cosa significa? Vim è un editor di testo e il comando precedente lo lancia per modificare il file di configurazione (slim.conf) che è presente nella directory /etc.
Quindi, andiamo a modificare le due voci default user ed auto login come in figura:




In pratica, scorrete il testo con le freccette fino a raggiungere il parametro:

#default_user   simone


premete il tasto "canc" ed eliminate il cancelletto, poi spostatevi  di fianco a simone, premete il tasto "ins" e sostituite l'utente di esempio simone con il vostro utente (nel mio caso il banale user).

default_user   user

Così, al riavvio, vi troverete di fronte la schermata di login di MATE:




Se, invece, volete loggarvi automaticamente all'avvio della macchina (scelta sconsigliata) ripetete l'operazione su slim.conf per il parametro:

#auto_login no 

che trasformerete in

auto_login yes

e, al riavvio vi ritroverete direttamente nell'ambiente grafico MATE.





Ovviamente, sia che scegliate lubuntu o MATE, gli ambienti desktop saranno davvero spartani e dovrete personalizzarli a seconda delle vostre esigenze.
Potreste installare il software da linea di comando ma suggerisco, per semplicità, di installare immediatamente il gestore grafico synaptic e usarlo per costruire il vostro ibrido Server-Desktop (o il vostro PC con GUI leggera) ideale.
Come si fa?
Facile: lanciate un terminale e...

sudo apt-get install synaptic

Dopodichè buon lavoro e buon divertimento.



English version


My previous article, dating back almost two years ago, on how to install a graphical user interface (GUI) to Ubuntu Server has had a more than moderate success with his 3850 views.
I thought it was appropriate to update the post with the new Ubuntu 14.04. 
Progress is progress  deployment and on the new Canonical's Ubuntu Server the task to install a graphical interface  is certainly easier than two years ago.
Now, first of all a necessary premise: a Server with a graphical user interface is almost always unnecessary and harmful, and self quoting: 'there are few circumstances that make it really needed. The old adage: "what is not there can not break" which, in computer science, also has a nice corollary: "what is not there can not be violated." '
The procedure that follows may be useful to build a machine with Desktop interface that is lightweight and equipped with only the necessary software, or to a server that apart from being Server configured should also, for economic reasons, serve as a Workstation .
First: install Ubuntu 14.04 server adding only the ssh server role, in case you have other needs, of course, add  all the needed roles  when the installer asks you to. 

After installation login on your server with your credentials and update the server:

sudo apt-get update

and, after the list of available software has been updated, launch the real update program:

sudo apt-get dist-upgrade

The quickest way to a Graphical User Interface passes for the installation of one of the many available desktop environments: Unity, KDE, XFCE LXDE. 
To do this, we run one simple command:

sudo tasksel

entering the password. You will see this screen:





Here we select the desktop environment you prefer with darts and space bar, then hit enter. 
I chose, for my test,  Lubuntu in the minimal version. 
There you have it: begin the download and installation of the software:




After a few minutes, depending on the power of the hardware, the speed of the internet connection and the desktop environment you choose, once the installation is complete we will be able to restart and find ourselves  logged in a graphical environment.










And here is ubuntu 14.04 on a server with GUI and, in fact, the kernel server. 


However, my favorite desktop environment, in these times is MATE: 
is very light, full, does not require 3D acceleration and is highly customizable. 
To install MATE 1.8, then, we will have to type in the terminal as follows:

sudo -s (and enter your password)

echo "deb http://repo.mate-desktop.org/archive/1.8/ubuntu $(lsb_release -cs) main" | sudo tee /etc/apt/sources.list.d/mate-desktop.list

wget -qO - http://mirror1.mate-desktop.org/debian/mate-archive-keyring.gpg | sudo apt-key add -

apt-get update

and, depending on the amount of additional packages you want to install, you may or may not add mate-desktop-environment and mate-desktop-environment-extra to the setup command:

apt-get install xinit slim mate-core mate-desktop-environment  mate-desktop-environment-extra mate-notification-daemon



is, of course, required a large amount of software, so do not be alarmed by the size of the download nor for the alert about unsigned packages.



When the installation ends you should restart with the command:

reboot

Immediately after the restart we will get the usual textual login, if we  installed MATE on a plain Ubuntu Server, otherwise, if we installed  MATE on a Ubuntu Server wich already has Lubuntu, for example, the next steps are not necessary and should only have the foresight to select MATE as a boot environment from GUI login. 
But, if we do not have MATE installed on a server that already has the GUI we have two ways: we can either login and manually start x

startx

at every boot. If you do not want either login and launch the GUI by hand whenever we can automate the process. 
Execute this command:

vim /etc/slim.conf

Ok, but before proceeding: what does it mean? Vim is a text editor and the command above launches it to change the configuration file (slim.conf) that is present in the / etc directory. So, let's modify the two entries as default user and auto login as below:




Practically, scroll through the text with the arrow keys until you reach the parameter:

#default_user   simone

press the "delete" key and delete the hash mark, then move next to simone, press the "ins" and replace the sample user simone with your user (in my case the  trivial user).

default_user   user

So, when you restart, you will be facing the MATE login screen:




If, however, you want to just login automatically when the machine starts (not recommended) repeat the operation on slim.conf for the parameter:

#auto_login no 

which will become

auto_login yes

and, on reboot you will end up directly in the MATE graphical environment .





Of course, whether you choose Lubuntu or MATE, the desktop environments will be very spartan and you have to customize them to suit your needs. 
You may install the software from the command line but I suggest, for simplicity, to immediately install the synaptic package manager and use it to build your ideal hybrid Server-Desktop (or your PC with lightweight GUI). 
How it works? 
Easy: launch a terminal and ...

sudo apt-get install synaptic

Then good work and good fun.

18 aprile 2014

L'Olandese Volante

Con la sveglia suonata ben prima delle sette, una giornata completa di lavoro alle spalle e quasi settecento km di guida sul groppone, il temporale a sud di Bari non ci voleva proprio.
La strada è deserta.
La Luna, ancora quasi piena, deve essere da qualche parte sopra le nuvole.
Di fiocamente brillanti, solo i catarifrangenti della SS96.
Sono stanco ma non ho sonno, tuttavia mi sembra prudente rallentare un bel po'.
Questa settimana a Matera... Ci penso.
Penso a cosa fare, ma, soprattutto, a cosa non fare.
Ad esempio, non fare quello che sto facendo adesso: stare seduto in casa al computer.
E' un lampo di luce, ma mi accorgo subito che non è un lampo.
Ho passato il pomeriggio ascoltando Gianni Rodari: le favole al telefono e la torta in cielo.
Per un istante mi sento letteralmente in una delle sue favole.
La luce proviene da un treno, un treno che sembra un treno vero, come quelli che osservo transitare al passaggio a livello su a Bologna.
La luce che proviene dai finestrini è abbagliante, bianca.
Passa come niente fosse attraverso la pioggia che cade battente e mi lascia a bocca aperta.
Il treno è visibilmente vuoto, unico spazio oscuro è la cabina del macchinista.
Guardo le file di poltroncine solitarie, forse verdi, senza ospiti.
Un treno nuovo, luminoso, grande, cosa ci fa qui?
Che forse sono passato in un universo di fiaba come quelle di Rodari e sto tornando in una Matera differente, Città Differente per caso?
Una Città in cui arrivano treni veri, comodi, con posti a sedere per tutti?
O, forse, nel mio mondo si è materializzato un treno fantasma figlio di tante speranze di gente sradicata che compare nelle feste comandate raggiungendo Casa nei modi più improbabili?
Un treno fantasma che riporta a Casa gli spiriti, se non i corpi, di chi ha rinunciato col corpo e nemmeno torna più per le Feste?
Quattro, cinque secondi, il treno mi corre accanto.
Poi, guardo il tachimetro: Sessanta all'ora.
E' solo la nuova littorina.
Scalo di marcia, accelero e mi lascio sogno, fiaba e trenino alle spalle.

16 aprile 2014

Europa

L'Europa delle Nazioni è stata il fulcro del Progresso Umano per un paio di secoli almeno.
L'Europa delle Nazioni ha inventato la Macchina a Vapore, la Penicillina e la Pila Elettrica.
Ma ha inventato le Guerre Mondiali, il Fascimo e lo Sterminio di Massa.
L'Europa unita sotto benevola occupazione/protezione militare USA e maldestramente unita nell'economia della moneta unica è, a memoria (scritta) dell'Uomo la Società più prospera, pacifica, rispettosa dei diritti di donne, bambini, omosessuali, animali e disabili che sia mai comparsa sulla faccia della Terra.
La Libertà religiosa è un dato acquisito, la Pena di Morte un ricordo del passato.
E questo nonostante la Crisi Economica più devastante degli ultimi cent'anni.
Crisi acuita senz'altro dalla pessima gestione da parte di Governi Nazionali ed Entità Europee.
Non so se potrò votare alle elezioni Europee di Maggio, ma so per cosa voglio votare.
Voglio votare per una Europa che somigli più alla Federazione di Star Trek che a quella dei libri di Storia di XIX e prima metà del XX Secolo.
Con una Economia diversa ed una difesa comune, per fare ancor meglio e non meno.

8 aprile 2014

Farewell, Windows XP

Beh, perchè far mancare il mio coccodrillo a Windows XP?
Alle copie legali, cioè.
Per chi lo usa pirata la fine del supporto non significa gran che.
Ringrazio Bill Gates per aver prodotto un sistema operativo che è riuscito a vincere la mia accidia e costringermi ad imparare a usare GNU/Linux.
Senza il suo ecosistema chiuso, insicuro, instabile e costoso non avrei mai avuto la forza di abbandonare le catene del software proprietario per la libertà.
Grazie Windows XP, mi hai salvato, mi hai dato un lavoro, mi hai donato la libertà.
E qualche bella partita a Medal of Honor






Well, why miss my crocodile for Windows XP?
The legal copies, indeed.
For those who use pirated XP the end of the support does not mean much.
Thank you Bill Gates for having produced an operating system that was able to overcome my laziness and force me to learn how to use GNU / Linux.
Without its closed , insecure, unstable and expensive ecosystem I would never have had the strength to leave the shackles of proprietary software for freedom.
Thank you Windows XP, you saved me, you gave me a job, you have given me freedom.
And some nice game to Medal of Honor



PS: non migrate a Windows 7/8 il vostro vecchio PC, magari usando software pirata, passate a Linux, magari Mint o Ubuntu per cominciare: sono gratis leggeri e vi resusciteranno il computer!


PS: do not migrate to Windows 7/8 your old PC, perhaps using pirated software, switch to Linux Mint or Ubuntu to start with: are free, light and you respawn your computer!


PS2: E' la fine anche per Office 2003, provate libreoffice


PS2: It's the end also for Office 2003, try libreoffice


6 aprile 2014

3:32 Sei Aprile 2009 #5annidopo

Cinque anni.
Cifra tonda.
Sono passati cinque anni da quel tragico giorno.
Se mi guardo indietro, purtroppo, non vedo che macerie.
Non sono più tornato all'Aquila.
Non ho più avuto contatti con la gente di Tempèra.
Nè con gran parte degli altri soccorritori.
All'Aquila so che ci sono ancora macerie.
Macerie per strada, macerie nelle vite delle migliaia di sfollati, esiliati, macerie in un'Italia peggiore di quella di cinque anni fa.
Macerie nelle nostre vite che si sono ritrovate  su strade inimmaginabili in quei giorni.
Non è raro che io pensi alla mia esperienza lì, nella tendopoli a pochi giorni dalla catastrofe.
Non è raro che ripensi a quella Messa di Pasqua di cinque anni fa, in una tenda bianca sporca di sofferenza.
Eppure non riesco a collocare quell'esperienza nella mia Vita con precisione.
Sono andato in Abruzzo perchè non sopportavo l'idea di un me stesso inerte ed indifferente.
E non sono più sicuro che fosse un buon motivo.
L'Italia non ha saputo ricostruire L'Aquila.
Gli italiani che sono andati lì a soccorrere altri italiani hanno fatto bene o male?
Hanno contrbuito ad una Solidarietà Umana di qualche tipo o ad una cosmesi sociale di livello ben più basso?
Ricordo la prima notte a Tempèra.
Avete presente il cambio gomme dei gran premi di Formula 1?
Invece che monoposto, su quel piazzale di terra battuta illuminato a giorno dalle fotoelettriche si alternavano, veloci, tir e camion scaricati a tempo di record dai team della Protezione Civile.
Un impegno formidabile.
Quella notte sentivo fondata la speranza che alla devastazione si sarebbe presto posto rimedio.
Non era più l'Italia delle eterne ricostruzioni del sisma dell'80.
Ma le macerie sono ancora lì.
Siami partiti, abbiamo lavorato, condiviso, siamo tornati.
Cosa resta di quegli otto giorni? Qualche foto ed un attestato di benemerenza.
Persone e cose sono rimaste lì, sotto le tende azzurre, incapaci di spostarsi dal mio ricordo ad un vissuto quotidiano di relazione.
Nel corso degli anni i miei sentimenti sono mutati.
Appena tornato sentivo preponderante la forza dell'esperienza vista e vissuta come Servizio.
Oggi, invece, è lo sconcerto per l'apparente futilità di quei giorni a prevalere.
Uso il termine apparente in maniera soggettiva.
Se non ci fossi andato cosa sarebbe cambiato?
Qualcun altro avrebbe ascoltato e distribuito scarpe e viveri.
Qualcun altro avrebbe dato le sue braccia e le sue orecchie.
Ma io non sono il miglior giudice di questa vicenda.
E chi lo è?
Mi fiderei del giudizio di Marco se lui avesse voglia di darne.
Cinque anni fa esisteva una bella città tra le montagne.
E nella mia memoria è un cumulo di macerie abbagliate dal blu dei lampeggianti.
C'erano persone, ma le ho perse.
E se tornassi lì ritroverei le sole macerie.
Non mie, non loro, ma di una Nazione Intera.

1 aprile 2014

Wild Turkey


Ho amato Istanbul, la seconda volta.
Una città ospitale e mistica.
Abitata da gente sorridente, allegra, efficiente.
Potrei ricordare tanti episodi, di allegria, sapore, colori.
Il venditore di tappeti, con cui abbiamo intavolato una trattativa allo zio paperone condita da "Mamma litaliani!" vari e durante la quale non è stato troppo doloroso farsi fregare.
L'impossibilità di parlare inglese in una Città in cui tutti gli addetti al turismo parlano Italiano.
Il the pagato 20 centesimi in un mercato privo di turisti.
E un signore gentile, da cui ho acquistato il mio attuale portafoglio, che, di fronte all'immancabile tazza di the, mi diceva, anni fa: "Putin, Berlusconi ed Erdogan: mafiosi e basta" In un italiano quasi privo di accento.
Ricordo il negozio colmo di colori caldi dei lavorati in pelle, il profumo di menta e kebab e gli occhi tristi di un uomo disilluso.
Il primo ed unico turco che non mi aveva dato l'impressione di una straripante vitalità.
Il portiere dell'albergo ci prendeva in giro per la tirchieria e Berlusconi.
Il cameriere del ristorantino a cui ci eravamo affezionati non aveva che sorrisi per premiare la nostra fedeltà.
Un anziano custode di una moschea di pietra, piccola e lontana dai circuiti turistici, che ci offre acqua fresca circondato dai suoi gatti, mentre l'improvviso silenzio, un dono di Allah, ci inebriava il cuore a due passi dal caos del traffico.
Una piccola counità di cristiani (tra cui una ragazza iraniana che ci ha consigliato un ristorante iraniano spettacolare... Ehm, sapete com'è, a buona tavola prima di tutto...
Ho amato Istanbul, ma Istanbul non è la Turchia.
La Turchia è un'Anatolia aspra in cui il dogma laico di Ataturk è ormai agonizzante.
La Turchia trasmette in televisioni video di cantanti bellissime e addirittura sit com sul potente esercito turco.
Ma ha un cuore di ferro dal lago di Van all'Egeo.
La Turchia delle proteste di piazza è minoritaria.
Le elezioni le vince Erdogan, nonostante la corruzione, repressione, violenza e clientelismo: forse è per quello che Istanbul mi piace tanto, mi ricorda casa...
Ma la Turchia non è Istanbul, meraviglia dell'Umanità.
E' manganellate, proiettili, bombardamenti sul Kurdistan, censura e repressione. Malaffare, corruzione, crescita economica, sperequazione, islamismo strisciante.
Poi, basta appoggiare le varie freedom flottilla che le bombe sul Kurdistan vengono dimenticate, così come i lacrimogeni gli arresti e i morti.
Ah, Turchia, che hai letto la verità e l'hai seppellita in un'urna. Il signore da cui ho comprato il mio portafoglio lo vedo ancora, sconsolato, seduto in poltrona con il the nel bicchiere di vetro sul tavolino i tek.
A subire, come me, l'azione della banda dei tre.