28 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA - segue2

 



Dopo un paio di telefonate con Marco e Giulia, decidemmo che Giulia  mi avrebbe dato un passaggio con la sua vecchia Uno color canna di fucile.

Usata più per appartarsi col poveraccio di fidanzato di turno che per altro (grazie al suo sedile reclinabile ‘con una mano sola’ ci teneva a precisare).

Con addosso due fazzoletti scarsi di stoffa, uno sopra ed uno sotto l’ombelico, Giulia mi accolse con un bacione e un flusso ininterrotto di chiacchiere che stoppai subito.

«Fermati al benzinaio sulla via de La Martella per favore».

«Perché? Dobbiamo andare in pizzeria a Timmari, mica a Bari: non dobbiamo fare benzina».

«No, ma ho un problema di carrozzeria». 

«Ma chi ti capisce, Tetto’!»

Comunque, il benzinaio era di strada, le indicai il parcheggio deserto e buio dopo le pensiline e appena lei si fermò mi slacciai la cintura di sicurezza e iniziai a sbottonarmi la castissima camicetta.

Il mio piccolo streap tease la sorprese e mi resi conto che sarebbe stato meglio dirle che mi dovevo solo cambiare.

«Oggi è festa». Le dissi: «E mi vesto da festa».

«Che peccato, Tetto’, speravo che stessi facendo coming out e che mi avresti supplicato di leccarmela, sono dieci anni che so che ti piacerebbe».

«Sì, sì, ma non oggi, aspetta un altro po’. Beh, come sto?» Dissi gettando sul sedile di dietro il jeans e la camicetta.

«Finalmente te la sei messa la mia gonna: che è successo, Tetto’? Oggi la vuoi dar via per forza?»

«Mo’ sarei io la troia? Vedi che sei più nuda di me. E poi sei sessista!»

«Marta dice parolacce, Marta dice parolacce, Akela, Akelaaa, Marta dice parolacce!»

«Muoviti Zoccole’, ho fame».

La Uno partì sgommando mentre Giulia mi dava un ceffone sulla coscia sinistra: 

«Visto che queste non sono per me per chi sono? Per Marco o per Luca?»

«Luca no, non mi prendo i tuoi scarti».

«Oh, ma guarda, è diventata subito preziosa la mia troietta».

Decisi di dire la verità, o almeno tutta la verità che ero disposta a confessare e  Giulia poteva capire.

«Le cosce non sono per i maschi, sono per me».

I pochi secondi di silenzio mi fecero capire che, almeno in parte, mi ero spiegata.

Giulia è praticamente mia sorella e non potevo ammettere che tra noi calasse tristezza nemmeno per pochi secondi.

Ma era difficile fermare Giulia o almeno la sua linguaccia: «Ah, ma allora ho capito, è tutta una mossa romantica. Lei ama lui che ama lei ma non è capace a dichiararsi finchè non gli viene così duro che si dichiara il suo cazzo al posto suo.

Già vedo le pubblicazioni, tra cinque anni: il Dottor Marco Ferrulli e l'ingegneressa Marta Montemurro annunciano il loro matrimonio, astenersi rattusi. Da Via degli Oschi a Via Gramsci, auguri e figli maschi!»

Sorrisi chinando il capo.

Le mie gambe erano segnate dal Cammino e non sarebbero state da esibire così, con una abbronzatura irregolare, croste e graffi.

Beh, farle vedere a Marco era una buona idea. 

Ma non era seduzione, solo il primo pezzo di me che rompeva la crisalide.

Le luci della città si spensero alle nostre spalle e la stretta strada si incuneò nella campagna estiva.

Il profumo delle stoppie bruciate mi investì assieme all’aria tiepida che si riversava dai finestrini abbassati.

Il profumo della Basilicata  è arido, ma io non lo sapevo ancora: lo avrei imparato solo immersa in quello umido dei boschi piemontesi.

Un bolide attraversò il cielo.

«Cazzo, hai espresso il desiderio?»

Purtroppo sì.

La pizzeria era a Timmari, in aperta campagna, immersa in un oliveto e assediata da una gigantesca colonia felina.

Le zanzare erano  legione ma, ormai, ero abituata ai nugoli di insetti della route e non ci facevo più caso.

«Oh, ricordati che non hai i pantaloncini, tienile chiuse le gambe» mi istruì Giulia.

Arrivammo  più o meno contemporaneamente agli altri e vorrei poter dire di aver attirato l’attenzione generale ma non fu così.

Tutte le scolte erano in tiro e non c’era nemmeno un jeans in vista. Abbondavano hot pants e minigonne e anche la Capo Fuoco ostentava un abitino estivo a fiori.

Mi sarei fatta notare di più nella mia solita, castissima,  tenuta a base di jeans larghi e camicia col colletto chiuso fino all’ultimo bottone.

Qualcuno, però, mi notò.





A Marco gli venne un mezzo colpo quando mi sedetti al suo fianco e ammutolì arrossendo.

Dalla sua bocca uscì solo una specie di ‘Ciao’ smozzicato.

Trovai l’esperimento interessante.

Era il mio miglior amico e condivideva con Giulia la relazione umana più piena della mia vita.

All’epoca non ero capace di portare la minigonna e la mia seduta era  più generosa di quanto necessario, ma non provavo nessun imbarazzo, nessuna vergogna.

E nemmeno voglia di provocare.

Ero così: nasone, cosce, tette e culo.

E un cuore di misura sotto-standard.

Marco non osò nemmeno voltarsi, guardando dritto di fronte a sè, muto.

D’accordo: non mi aveva mai vista con abiti succinti addosso.

E nemmeno io sapevo davvero cosa dire.

Magari gli avrei potuto passare un bigliettino stile scuola elementare con su scritto ‘ti vuoi mettere con me sì/no’.

E, poi, che cosa speravo di ottenere? Che mi dicesse: ‘sei bella?’ Ma io sono brutta. Che mi dicesse: ‘ti voglio bene?’ Ma questo lo sapevo già. Che mi dicesse: ‘sono innamorato di te?’ Sarei scappata via a gambe levate.

Per fortuna, l’elefante Giulia arrivò sul più bello con Luca, evidentemente già istruito a non fare troppi commenti.

«Hai visto Marta quanto è figa? Che peccato che se ne parte eh? Ormai per te è troppo tardi».

Marco, con me, era timido a livello patologico ma non era  un moccolone.

«Mi aspetterà, come tutte. E statt tranqui’ verrà anche il tuo turno».

Mi indispettiva che fosse così naturale con lei e così muto con me.

Qualcosa si materializza nella pancia come una cattiva digestione.

Giulia rideva con Marco e io mi feci riempire da un attacco di gelosia rabbiosa  da farmi piantare le unghie delle mani nella carne delle cosce.

Non mi sono messa ‘sta gonna per Marco. (Davvero?)

Non sono seduta qui per Marco. (Certo)

Di lì ad una settimana la distanza fisica tra me e Marco  sarebbe stata equivalente a quella sentimentale.

Di lì ad una settimana io stessa sarei stata ad una distanza abissale dalla me seduta a quel tavolo per una pizza tra scout.

Nel nostro Gruppo c’è tutt’ora questa tradizione scema di farsi una foto tutte assieme tornati dal Campo e mostrare le gambe graffiate, scorticate, abbronzate a metà.

Partecipai per la prima volta dalla pizza post campo del secondo anno di reparto quando mia madre mise il veto alla faccenda.

Ci mettemmo in fila in una caricatura di sfilata di moda in un continuo allegro chiacchiericcio.

Per una volta ero vestita normalmente: come le altre.

Lì, in fila, pensavo che: «Andare al Politecnico è quello che voglio. Andare a Torino è quello che voglio. So che lasciare il Clan sarà una mazzata. So che lasciare Giulia, Luca e Marco sarà una ferita».

Sapevo che la non relazione con Marco non si sarebbe risolta quella sera.

Ma non capivo perché mi sentissi così angosciata mentre mi mettevo in posa.

Anche se non era tardi eravamo tutti assonnati.

Dopotutto, 12 ore prima eravamo ancora in treno reduci da una route mica da ridere.

Non c’era molta voglia di trattenersi a chiacchierare.

Ma dovevo salutare, quindi iniziai a saltare da un capannello all’altro per dare appuntamento a Natale.

Mi pesava: erano i miei fratelli e le mie sorelle Scout con cui avevo condiviso gli ultimi 11 dei miei 19 anni di vita.

Salutai Roberta e Anna, che avevo accolto nel branco, bimbette spaurite, quando ero Capo Sestiglia dei Pezzati.

C’era Imma, arrivata da Garaguso ed entrata nel Reparto quando ero Vice delle Aquile.

Salutai i Capi e quando fu il turno di Raffaele mi disse: «Gesù Marta, sto entrando nella massima età di rischio infarto ma è proprio vero che il Signore ha fatto grandi cose per noi poveri peccatori».

Beh, almeno qualcuno, due complimenti era in grado di farmeli.

«La mia mail ce l’hai, Marta, non ti faccio raccomandazioni inutili ma scrivimi. E Buona Strada».






つづく

26 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA - segue

 



L’estate, implacabile, mi soffocava.

Forse, anche per questo avevo scelto Torino: nebbia e pioggia, il posto giusto per me.

Sin dalla pubertà la mia pelle è stata un segreto gelosamente custodito da mia madre.

E alla calura estiva ha sempre aggiunto l’aggravio di stoffa mentre Giulia era libera di girare fresca e mezza nuda.

«Mi fai passare per la troia del duo» mi diceva. 

«E non sei contenta? Sanno che da me non avranno niente e sono tutti ai tuoi piedi». Le rispondevo.

Temo il sole come una vampira.

Dovevo decidere come vestirmi per la pizza di Clan.

Ovviamente, dovevo per forza uscire di casa vestita da suora, non era possibile fare altrimenti.

La divisa da brava ragazza era un obbligo e sapevo bene che sarei stata ispezionata fino al numero di bottoni della camicetta. 

Ma io, in jeans in pizzeria non avevo nessuna intenzione di andarci.

Da molto tempo nascondevo tra le cose scout una minigonna jeans  tipo velina di Striscia la Notizia.

Me l’aveva regalata Giulia per i miei 18 anni.

L’avevo indossata solo in casa per fare le mie fotine licenziose...

Ma per quella sera,  l’ultima che avremmo passato insieme chissà per quanto tempo, avevo deciso che le cose sarebbero andate diversamente.

E poi cosa volete che sia esibire un po’ di carne rispetto a quello che avrei fatto la settimana successiva?

Cercai il jeans più largo in mio possesso e feci due prove.

Ok, ad essere proprio pignoli si vedeva qualche rigonfiamento di troppo, ma avrei avuto la camicetta fuori dai pantaloni così mia madre sarebbe anche stata contenta che non mi si vedesse il culo. 

L’outfit era deciso: sandali, super mini, canotta,

Però, dove mi cambio, ossia: dove mi sfilo i jeans? E dove li metto jeans e camicia, poi? Ci penserò dopo. Ora è meglio farsi vedere dal Sergente prima che sospenda la libera uscita’.


つづく

25 agosto 2025

A fight to death




Biscia Vs Lucertola. 

Sotto casa mia.

 La biscia ha teso un agguato alla lucertola ma non so il finale:  mi sono allontanato venti secondi per chiamare la prole e al ritorno erano sparite, suppongo che la lucertola sia riuscita a fuggire.

La Natura è così.

24 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA

 



«Tutto bene bambina?»

Era il saluto di prammatica di papà.

Aspettò educatamente che il Clan finisse l’ultimo cerchio e le foto di rito sul marciapiede della stazione FAL di Matera. Poi, incurante delle mie proteste, prese il mio zaino ma io glie lo tolsi di dosso e lo abbracciai stretto, serenamente ricambiata sempre nello stesso modo da quasi vent’anni.

Un bacio sulla fronte conclude la cerimonia.

Per uno Scout di ritorno da un campo, la prima doccia a casa rappresenta un rituale mistico dai concreti risvolti fisiologici.

Con la porta del bagno chiusa alle spalle mi lanciai in uno spogliarello supersonico subito dopo aver aperto l’acqua calda.

Via gli scarponi, via i calzettoni blu, la camicia, la maglietta, reggiseno e mutandine, via l’elastico dai capelli e di corsa sotto l’acqua ancora fredda.

Finalmente!

E dopo i vestiti via il sudore incrostato di polvere, via l’unto dai capelli, via lo sporco accumulato dentro tutte le pieghe orifizi ed affini, sollievo alle croste, alle punture di insetto, alla pelle segnata ed arrossata dalle cinghie dello zaino, ai piedi vessati da una settimana di scarponi.

Via quel residuo di un piccolo miracolo di serenità e gioia pagato anche da  quei segni sulla pelle.

Restai sotto la doccia almeno mezz’ora, finchè la pelle delle dita non si raggrinzì.

Scrutai nello specchio appannato per vedere se c’ero ancora.

Già, sono sempre io, la vergine di ferro.

Una ragazza alta, con un corpo flessuoso, snello e con una perfetta forma a clessidra che ondeggia su gambe lunghe dalle cosce ben tornite da dieci anni di nuoto ma con tratti del viso marcatamente sproporzionati.

La classica bella scopata con il cuscino in faccia.

Me lo dico da sola dopo averlo sentito fin dalle scuole medie.

Dovrei esserci abituata tanto da non soffrirne più ma non è così.

Lo guardo tutte le volte il mio nasone, tutte le volte che sono davanti allo specchio.

Lo guardo coi miei occhi piccoli e un po’ porcini.

Li conto ad uno ad uno i miei incisivi da cavalla perché potrebbero essere dodici tanto son larghi.

Anche in quel momento in cui avrei avuto altro da controllare.

Le spalle erano segnate dalle cinghie dello zaino.

Avevo una puntura di zanzara proprio tra i seni: un gigantesco brufolo, fastidioso ad ogni respiro.

Esibivo una abbronzatura da muratore: bianca fino a metà polpaccio, quasi nera fino a mezza coscia, bianca fino alle spalle e scura sugli avambracci.

Le gambe erano coperte di graffi, entrambe le ginocchia sbucciate e le zanzare avevano banchettato a sciami sulle mie cosce.

Pensai a cosa mettermi per la pizza di Clan.

Un Burqa?

Mia madre avrebbe apprezzato.

‘Finirò per morire di caldo in una camicetta e jeans, già me lo sento’.

Ma avevo  una questione più urgente.

Dovevo depilarmi per bene tra le gambe.

E’ più di una settimana che non lo faccio e i risultati si vedono. E devo anche fare in fretta, avevo promesso una foto entro pranzo di oggi’.


«Marta, manco sei arrivata e già ti appiccichi al computer?»

Mia madre non gradì il mio scapicollarmi davanti al mio vecchio portatile dopo la doccia.

«Almeno ti potresti degnare di mettere quegli stracci schifosi in lavatrice invece di lasciarli lì per terra».

La ignorai, tattica pericolosa ma di gran lunga meno pericolosa che risponderle.

Del resto, avevo bisogno solo di pochi minuti.

Il mio Notebook dell’epoca era vecchiotto, un Compaq Armada M700,  ma ero riuscita ad aggiornarlo con tanta RAM di seconda e terza mano.

Debian 2, quindi, partì in fretta.

Meno di due minuti dopo ero collegata alla mia identità segreta.

Scaricai le foto dal cellulare, le cancellai dal telefono (lo so, non è una modalità sicura ma andavo maledettamente fretta) e me le ritrovai sul desktop.

Con la solita scossa elettrica che mi parte dal basso ventre, passa dallo stomaco ai capezzoli diretta poi al cervello, feci login al mio account katamail segreto.

«Cavolo, non mi ha scritto… Durante tutta la settimana non mi ha scritto nemmeno una riga».

Cercai la sua ultima mail:

«Voglio un po’ di tue foto nuda appena torni a casa, entro mezzogiorno del 30 agosto. Mi raccomando, niente ritardi, niente peli»

Sono le 11:57.

Clicca su ‘rispondi’ e poi allega le foto.

L’upload della connessione 56k faceva cagare ma erano solo 4 immagini scattate dal mio vecchissimo cellulare con fotocamera da zero virgola megapixel.

Invio.

Ore 11.58

Le urla di mia madre superarono in volume il livello di guardia.

Spensi il notebook e mi precipitai fuori dalla stanza.


«Sempre tutto in disordine, te ne freghi della tua famiglia e non fai altro che perdere tempo, è un disastro continuo»

La destinataria di questi apprezzamenti ero io, Marta Montemurro, M & Menns per i compagni di classe.

Alta 1,83, quinta di reggiseno, naso formato proboscide, appena maturata con cento e lode al  Liceo Scientifico Statale «Dante Alighieri», Lupetta, Guida, Scolta nel locale Gruppo Scout Agesci Matera 5, vergine (e no, non il segno zodiacale: sono dei pesci), media del 9 da sempre, mai una nota a scuola, mai un ritardo, mai un filone, mai tornata a casa da una festa dopo mezzanotte e attualmente iscritta al test di ingresso per l’accesso al corso di Laurea in Ingegneria Informatica del Politecnico di Torino.

La nostra Marta, per esempio, pulisce il bagno tutte le domeniche dalla terza elementare (un impegno iniziato per una qualche faccenda di Lupetta), passa regolarmente la domenica pomeriggio a studiare (dato che il sabato è sempre stato per gli scout) e non ha mai avuto un fidanzatino.

Non beve, non fuma e si è anche pagata la patente, il cellulare e l’upgrade del portatile facendo la promoter del latte al supermercato. Cosa che ho potuto fare solo grazie all’intercessione ferma di mio padre, perché, se no, ‘vestita da zoccola con le cosce di fuori’  nella quasi casta uniforme aziendale, non sarei potuta andare nemmeno lì.

Certo, non sono tutto ‘sto concentrato di perfezione.

Passo troppo tempo a giocare ai videogames. Pirata, ovviamente.

Sono affetta da una scomoda parafilia che maschero senza problemi ma che mi sbrana dentro.

Chissà cosa ne direbbe la mamma che mi da il tormento per una ciocca di capelli fuori posto, la camicia dell’uniforme lasciata per cinque minuti di troppo sul pavimento o perché «non ci si siede sul letto» manco fossimo nella caserma del Sergente Hartman, cosa ne penserebbe delle mie fantasie sessuali o delle fotografie che spero bene stiano piacendo molto a chi dico io.

Nella mia tenuta di brava ragazza di famiglia, capelli annodati con un semplice elastico, maglietta bianca e pantaloncini ricavati da un vecchio jeans (ma con cui non posso andare nemmeno a buttare l’immondizia perché sono troppo corti) me ne stavo ad ascoltare le lamentele di mia madre dopo otto giorni passati fuori casa.

Per distrarmi dalla sua voce e dalla mia che mi urlava nel cervello di andare a cliccare compulsivamente sul tasto ‘controlla la posta’ per vedere se e cosa mi era stato risposto, mi concentrai sul cibo.

Mia madre aveva cucinato un pranzo un po’ speciale: calzone, spaghetti con le vongole, pesce fritto. Dopotutto era domenica, mancavo da casa da 8 giorni e la settimana successiva sarei partita per Torino.

Era un vero peccato che le sue parole mi chiudessero così lo stomaco.

Feci appello a tutti i buoni propositi maturati in route e, forse, fu proprio la carica di energia positiva che accumulata in quella settimana zaino in spalla sui monti abruzzesi a darmi la forza di non reagire come al solito e a tentare di smussare la lite che mia madre cercava, ormai palesemente, da quando avevo messo piede in casa.

Raffaele, ne sono sicuro, sarebbe già arrivato in un attimo al nocciolo della questione, cosa che io ho fatto solo anni dopo: mia madre era semplicemente terrorizzata per la mia partenza e reagiva così: torturandomi.

Ancora una settimana, ancora una settimana, ancora una settimana!

Per evitare di complicare la situazione, anche se avrei voluto scappare a dormire e scappare a controllare la posta in egual misura, mi misi a sparecchiare.

Mia madre è tutt’ora contraria alla lavastoviglie (che hanno) e se ne sbatte del suo minore impatto ambientale rispetto a dover lavare con detersivo e tanta tanta acqua la montagna di padelle usata per cucinare il calzone, la pasta e la frittura di pesce.

Ma mi lamento, tutt’ora,  a vuoto.





Eravamo in tre in cucina e, dopo tutto, in meno di mezz’ora la stanza era pronta per una visita reale.

Mia madre mi diede, a malincuore, il permesso di andare ‘a perdere tempo’.

Di come sia andata la route, di cosa abbia provato in questi ultimi giorni non le importava nulla.

Ovviamente, appena in camera, mi fiondai sul computer: c’era risposta.





SEGUE


Che forma avrà la mia felicità? #RN24 un anno dopo










Bellissima la Route Nazionale delle Comunità Capi AGESCI del 2024!

Un'esperienza indimenticabile di cui ho già scritto qui e poi anche qui.

Per riassumere i miei pensieri dell'anno scorso: tutto ok, senza se e senza ma.

Ed è passato un anno.

Un anno di attività.

I Campi e le Route sono finiti.

A breve, anzi a brevissimo, le Comunità Capi balleranno il valzer delle disponibilità per definire gli staff del nuovo anno scout 2025/2026.

Mi e vi chiedo:

che vantaggi hanno avuto o avranno l'anno prossimo coccinelle, lupetti, guide, esploratori, scolte e rover? 

E pure i capi eh!

Quest'anno scout ed il prossimo, se non ci fosse stata la Route Nazionale sarebbe stato e sarà diverso?

Il mio giudizio sulla Route non è cambiato e resta completamente positivo.

Purtroppo, solo l'Amore non si misura: tutto il resto, sì.

Ed è bene che lo si faccia quando c'è di mezzo il bene di Coccinelle, Lupetti, Guide, Esploratori, Scolte, Rover e... Capi.

Nel servizio del Capo medio nel gruppo medio come sono cambiate le cose dopo #RN24?

Eh, lo so, questa domanda mi fa passare subito per polemico: dopotutto, questa, è una nazione di avvocati.

Ma io sono ingegnere e sono tremendamente affezionato ai fatti.

Ne abbiamo?

Se non ne abbiamo non è un gran problema, ovvero è un problema infinitamente meno grave di quello di essere convinti di averne, senza averne.

Non ripeterò, ovviamente, i miei elogi dell'anno scorso (che confermo) ma, tra un mese, si ricomincia: siamo più pronti?

Siamo di più?

L'importanza della Route Nazionale non è solo nei numeri dei Capi disposti, un anno dopo, a far Servizio.

Non abbiamo fatto la Route per reclutare gente.

Ma, senza Capi, l'importanza della Route Nazionale decade.

Un anno fa abbiamo partecipato ad una cosa ben fatta.

Il prossimo Settembre, però, se saremo di meno, se il trend continuerà ad essere quello della mera sopravvivenza, io due domandine sull'impatto della Route sul futuro me le farei.

PS: io non vedo l'ora di ricominciare