15 settembre 2025

Capitolo 3: l'incontro, parte 2

 

Marta si prova il vestito per l'incontro


«Comunque vieni vestita da femmina. Non da troia, da femmina, mi affido al tuo buon gusto. Non mi interessano lingerie o altre sofisticatezze: niente trucco niente inganno».

Questo era un problema mica da poco.

Il mio vestiario era costituito per lo più da jeans, magliette di mezza taglia più grande, camicette e golfini.

Avevo una longuette di lino rosso e il mio minuscolo guardaroba trasgressivo, ma non avevo nulla che avrei etichettato ‘da femmina ma non da troia’.

La famosa minigonna era  in valigia ma, da un lato mi sembrava eccessiva, dall’altro non conoscevo la città e non avevo idea di quali fossero i posti in cui non era il caso di andare in giro in canotta e supermini.

«Mi hai scritto che il test ti sembra andato bene, non avevo dubbi. Se ti annoi inizia a girare la città, è molto bella. Per unire l’utile al dilettevole, vai in Corso Siccardi, ci sono delle bancarelle di libri usati e con diecimila lire, te ne porti a casa tre. Ci vediamo sabato mattina alle 9 proprio alle bancarelle, mi raccomando sii puntuale e se hai ripensamenti scrivimi, ti dico già che se mi avvisi per tempo ne riparliamo, ma se mi dai buca non provare più a contattarmi».

Ovviamente ci andai subito, quello stesso mercoledì mattina.

Con la borsa di studio non c’era certo da scialare, di sicuro non in anticipo.

Ma avevo il mio gruzzoletto: diecimila lire per tre libri si potevano trovare.

E poi i soldi mi servivano per altro.

All’epoca consideravo un sacrilegio entrare in un Bar per dissetarmi con un succo di frutta e affrontai la calura protetta dalla mia vecchia borraccia scout che avevo infilato in borsa prima di uscire.

Sandali, jeans e maglietta, ero pronta per esplorare Torino.

Dal Collegio, nei pressi di Largo Orbassano, a Corso Siccardi è una bella scarpinata, ma la affrontai col cuor contento della lettrice che va in libreria, con la leggera sensazione che mi sarebbe diventata familiare entro pochi mesi: quella di un esame superato.

Torino era pulita e maestosa, piena di verde e di ordine.


Marta passeggia per Torino

Forse fu proprio durante quella passeggiata in cui assaporavo il mio primo successo universitario che mi innamorai della Città.

Arrivai davanti al Politecnico. 





Solo a guardare l’imponente facciata mi veniva il cuore in gola. 

Lì dentro c’era la Scienza, la Tecnica, il mio futuro. 

Il Sapere.

Lì dentro c’era uno stipendio sicuro, la possibilità di tornare a vivere a Matera.

Lì dentro c’ero io.

Non ci pensavo proprio a cambiare idea e a dare buca. 

Ma era solo mercoledì e sabato mi sembrava lontanissimo.

Ogni tanto mi fermavo a guardare le vetrine dei negozi di vestiti, ma i prezzi erano da divieto di accesso.

Mi sarei spostata a cercare qualcosa in periferia o in un grande magazzino.

Abituata agli asfittici alberi di Via dei Peucezi, i larghi viali di Torino sembravano una vera foresta.

つづく

12 settembre 2025

Capitolo 3 L’incontro, parte 1

 

Marta riceve una email


Ora so perché mi sono presentata agli esami quasi sempre calma e tranquilla: ho consumato tutto il nervosismo e l’ansia di una vita in quella settimana di settembre passata nell’attesa.

La vissi in uno stato di eccitazione e terrore fusi assieme, determinazione e codardia abbracciati, speranza di trovare una persona seria e paura di trovarne una troppo seria.

Il Collegio aveva una saletta informatica con ben cinque computer operativi e un paio in disuso.

Io avevo il mio portatile, ma non era ancora il momento di avanzare richieste particolari a Suor Agata, dovevo prima dimostrare di essere degna di fiducia.

Quindi, mi abituai ad usare uno dei computer del collegio mettendo in atto tutte le precauzioni del caso per cancellare le mie tracce.

Il Lunedì pomeriggio riferii dei miei successi, il martedì avevamo fissato la data dell’incontro: la mail di conferma del martedì pomeriggio era scritta in maniera pacata: «Cara bambina: io lavoro, devi aver pazienza fino a sabato mattina».

L’appuntamento era fissato  alle bancarelle dei libri usati di Corso Siccardi.

Alle nove in punto.

Meglio evitare il caos delle bancarelle (all’epoca a me sconosciute) di via Po, meglio evitare il centro.

Faceva caldo anche se era Settembre, un caldo estivo appiccicoso che speravo di aver lasciato mille km più a sud.

E invece no.

«Ah, già, allo studentato vivi in doppia, vero? Vedi di ritagliarti un po’ di privacy e di mandarmi qualche fotografia, ti lascio la scelta della posa».

Per il momento ero sola. 

La mia compagna di camera sarebbe arrivata a metà mese per l’ultimo appello estivo.

Avevo tutta la privacy che volevo e, se quel Sabato le cose fossero andate nel modo giusto, non ne avrei avuto più bisogno.

Scattai qualche foto, le cifrai, poi le copiai su un floppy e le spedii da un pc della saletta informatica.


10 settembre 2025

Capitolo 2 Primo Volo, Giulia, Domenica 2 Settembre 2001

 

Giulia parla con Michela, la Capo Fuoco


Per Giulia, andare a Messa senza Marta fu estraniante.

La sera prima le aveva scritto una lettera e non aveva ancora capito se, dopo, si era sentita meglio o peggio. Aveva guadagnato il suo solito posto nel coro ma, al suo fianco si era seduta la Capo Fuoco e non quella specie di armadio ambulante a cui somigliava la sua più cara amica.

Michela si era seduta di proposito nel posto lasciato vuoto da Marta: il muso lungo di Giulia era così evidente che le chiese subito: «Stai bene uagne’?»

Michela aveva quella odiosa capacità di farsi raccontare la verità, parlando così, senza preamboli, diretta e sorridente anche quando rivoltava il coltello nella piaga.

«No, mi manca assai Marta».

«Dovete seguire le vostre strade e poi siamo a messa tutti assieme, noi qui e lei a Torino. Oh, non ti sto dicendo che è la stessa cosa eh, solo che non è mica morta. Per ora è così, vi vedrete a Natale, poi, nel tempo, che ne sai?»

«Non sei molto rassicurante».

«No. Sono pagata per farti vivere felice, non per rifilarti pietose bugie».

«Pensavo che i Capi lavorassero gratis».

«Sono pagata in millimetri quadrati di Paradiso».

Ci fu un breve silenzio. Giulia aveva iniziato a intuire quali fossero le motivazioni dei capi scout che si accollavano gratuitamente un carico di lavoro enorme, ma non aveva ancora un’idea precisa. Poi, Michela proseguì: «Giulia, un’amicizia come la vostra potrebbe durare tutta la vita o spegnersi. Dipende da te, da Marta e anche dal caso. Puoi serenamente fare di tutto per starle vicina anche a mille km di distanza mentre vai avanti per la tua strada. Ma alcune delle mie più care amiche dei tempi del Clan vivono a Matera e sì e no se ci salutiamo per strada».

Giulia pensò che le parole della Capo Fuoco non fossero di grande aiuto.

Ma, almeno, erano vere.

Dopo la Messa si trattenne con Luca e Marco. 

Lo squilibrio si notava già.

Marta poteva uscire di casa praticamente solo dopo la Messa domenicale per un aperitivo e aspettava questa occasione per tutta la settimana.

In teoria, poteva uscire anche il sabato sera, eccetto il piccolo dettaglio che per lei il coprifuoco scattava alle 23, ossia all’orario in cui i suoi coetanei uscivano di casa.

I ragazzi andarono lo stesso a prendere l’aperitivo e a Luca venne un’idea: 

«Oh, chiamiamo Marta? Vediamo come sta?»


Giulia, Luca e Marco al bar


«No!» 

Giulia aveva risposto d’impulso.

Secca.

Luca non replicò.

«Ci starebbe troppo male, dopo». 

Lo precisò con una voce molto più morbida, quasi a scusarsi dello scatto di poco prima.

«E poi domani ha il test d’ammissione, lasciamola studiare, sarà per un’altra volta».

Marco annuì e i tre amici parlarono d’altro.


7 settembre 2025

Capitolo 2 Primo Volo, tarda estate 2001Marta, primi di settembre 2001

Marta davanti al collegio

 

Il viaggio fu molto faticoso, tra famiglie che tornavano dalle ferie e altri studenti che, come me, partivano per la grande avventura dell’Università.

Ci mancavano solo le mestruazioni.

Arrivata a Torino, trascinai le mie valigie fino al Collegio delle suore dell’Immacolata cambiando due autobus piuttosto affollati.

L’edificio mi dava soggezione ma l’interno non era squallido come avevo temuto.

Dalla reception uscì Suor Agata, con cui avevo già parlato al telefono qualche giorno prima.

Era una donna sulla cinquantina asciutta ed energica.


Marta e Suor Agata


A giudicare dalle foto di missione nel suo piccolo ufficio, non aveva fatto sempre la balia alle studentesse di ingegneria.

Mi accompagnò in camera a lasciare le valigie, poi mi fece fare un giro del Collegio: la sala mensa, quella informatica, le cabine telefoniche, la sala tv, la biblioteca, le sale studio e la cappella.

Il mio status di Scolta AGESCI referenziatissima mi aveva garantito l’iniziale benevolenza di Suor Agata.

Quella donna mi diede una forte impressione di coerenza, forza e assoluta mancanza di ipocrisia.

Il regolamento del Collegio aveva questo incipit: Sono ammesse ragazze che siano in grado di fornire testimonianza di sicura moralità, proseguiva con riferimenti a introdurre, ritenere, diffondere stampa giudicata pornografica e  a mantenere un comportamento ed un abbigliamento consoni e coerente all’ambiente religioso. 

Ma non mi sembrava niente di terribile rispetto a casa mia.

«A parte il regolamento ho solo un’altra cosa da dirti: se non riesci a studiare vieni da me, se hai nostalgia di casa, del fidanzato, vieni da me: non te ne stare in camera da sola».

Oltre che di conservarne la benevolenza, mi venne voglia di conoscerla.

Ringraziai e mi diedi da fare per pulire a fondo la stanza già più che decorosa e a svuotare le mie due valigie riponendo il contenuto nei miei spazi. Avevo preferito la doppia alla singola per poter risparmiare ben duecentomila lire  al mese sulla mia borsa di studio.

Mia coinquilina sarebbe stata una ragazza di un paesino vicino Cuneo. Era al secondo anno di ingegneria aerospaziale e tornava a casa sua tutti i venerdì per presentarsi a Torino il lunedì mattina.

A pranzo mi ritrovai, più che in una mensa, in una grande sala comune con un’unica gigantesca tavolata a ferro di cavallo a cui le venti studentesse ospitate dal Collegio potevano sedersi senza sgomitare.

Oltre a me c’era solo un’altra matricola, altre 2 sarebbero arrivate l'indomani.

Alessia veniva dalla Sardegna e in due facevamo tre nostalgie.

Il pranzo, cucinato da Suor Francesca, fu squisito.

Stremata dalla notte di treno, mi addormentai per un paio d’ore e mi svegliai stordita e malinconica.

Mi preparai un caffè e, prima di metterlo sul fornello elettrico, andai alla ricerca di Alessia, ma non era in camera.

Dopo il caffè mi sentii meglio. La stanza era praticamente a posto.

Mi sedetti alla piccola scrivania e aprii il libro dei temi d’esame di ammissione.

Iniziai a studiare e non smisi per anni.

Verso le sei bussarono alla porta. 

Pensavo fosse Alessia, invece era suor Agata che approvò visibilmente la scrivania coi libri aperti e gli appunti.

«Vieni a prendere il tè freddo di Suor Francesca, lo fa lei, non è comprato. E qui dentro fa così caldo».

Non me lo feci ripetere due volte.

Mentre scendevamo le scale (io ero al secondo di 4 piani) mi fece qualche domanda esplorativa iniziando dal motivo per cui avevo scelto il Politecnico.

Spiegai che avevo scoperto di avere un certo talento per la programmazione, i computer e l’informatica e che in quel momento avrei potuto solo scegliere tra Torino e Milano. Mio Padre mi aveva incoraggiato.

Ed eccomi qua.

In refettorio trovai anche Alessia e devo ammettere che le suore fecero di tutto per farci sentire accolte e tranquille fino a nominare ex convitte che, dopo la laurea in Ingegneria, erano tornate felici e contente a vivere con un buon lavoro nel paesello di provincia da cui erano state strappate.

Ricordo nitidamente quel primo Sabato sera torinese.


Marta alla sua scrivania in collegio



Sola, nella mia camera, non squallida ma di certo nemmeno accogliente, guardavo l’immenso flusso di macchine sul vicino Corso.

Faceva molto caldo.

Per fortuna c’erano le zanzariere alla finestra, altrimenti sarei stata dissanguata da quegli odiosi insetti che si affollavano alla frontiera.

A quell’epoca, chiamare (e ricevere telefonate) dai cellulari era costosissimo e mi guardai bene dal cedere alla tentazione di sentire Giulia o Marco.

Mandai un sms a Giulia, dalla cabina telefonica a scheda chiamai i miei e fu tutto.

Per risparmiare sul peso mi ero portata solo un vecchio tascabile che avevo quasi finito di leggere durante il viaggio, l’indomani sarei andata a cercare qualcosa in biblioteca.

La stanchezza mi aiutò a prendere sonno presto mentre i rumori alieni di una città sconosciuta mi ricordarono fino all’oblio che non ero più a casa.

Dopo colazione andai in cappella per la Messa ma erano anni che un sacerdote non veniva a celebrare l'Eucaristia la domenica: saremmo andate nella vicina Parrocchia di Santa Teresa.

Scortate da 4 suore, mi incamminai di buona lena con Alessia e, dopo pochi minuti, entrammo in Chiesa.

Il Cielo era nascosto dalle grandi chiome degli alberi che erano ovunque, non ero abituata a tutto quel verde.

Dopo la Messa chiamai i miei, chiesi la cortesia di far visita in biblioteca e riuscii a scovare una copia di Quo Vadis. Dopodiché,  mi asserragliai dietro i libri e studiai fino a sera.

Lunedì 3 Settembre 2001, di buon’ora entrai al Politecnico per il test di ingresso.

L’elenco dei nomi era affisso in più bacheche nel gigantesco cortile esterno del Politecnico.

Di fianco al mio c’era scritto: Aula 3. 

La cercai sulla grande mappa all’ingresso e ci misi pochi secondi ad orientarmi: quasi 12 anni di scautismo qualche frutto lo avevano pur dato.

L’Aula 3 era enorme, mi sembrava anche più grande del Cinema Duni.

Corpi e Voci  erano ovunque.

Poi le voci svanirono, anche i corpi. 

Anche il mio.

Il test iniziò e iniziò il mio futuro.

Se il buon giorno si vede dal mattino, il mio giorno tra quelle mura iniziava abbacinante.

Andai avanti domanda dopo domanda con pochi dubbi.

Finii il test con mezz’ora di anticipo e corsi a dare la lieta novella ai miei: ero sicurissima di essere passata.


つづく


4 settembre 2025

30 giorni alla pubblicazione de 'La Ricostruzione'

 



⏳ Mancano 30 giorni.

Il 4 ottobre Marta arriverà finalmente su Amazon KDP, dopo anni di appunti, stesure, revisioni, cambi d’ambientazione e ripensamenti.

Forse, da qui ad allora, mi scriverà una casa editrice (sarebbe un piccolo miracolo 🙃). Ma, a meno che non succeda, la strada è tracciata: autopubblicazione.

E io non vedo l’ora di condividere con voi questa storia che mi accompagna ormai da anni.

💡 Nel frattempo potete leggere i primi capitoli gratis su Wattpad e qui sul mio blog

3 settembre 2025

Capitolo 2 Primo Volo, tarda estate 2001: Marta, 27 Agosto 2001

 

La lite tra Marta e la Madre


Mia madre mi tirò giù dal letto alle sette e mezzo del mattino del mio ultimo lunedì Materano.

Dopo una notte insonne in treno, dopo una settimana di sacco a pelo e tenda ed una media di dodici km al giorno di sentieri di montagna zaino in spalla, dormire otto ore era considerato troppo per una brava figlia di famiglia.

Quasi un atto blasfemo.

Non la sentii entrare in camera, fui svegliata dal fragore delle tapparelle tirate su con rabbia e dalla luce accecante del sole che mi investì in faccia.

La sveglia di soprassalto mi riportò allo stato d’animo della sera prima e la mia reazione fu feroce: una litigata nucleare con tante urla, suppellettili rotte e porte sbattute.

Le litigate di questa portata sono state rarissime e sono figlie di una combinazione di due fattori: precisa volontà di mia madre di trascendere tutti i limiti e mio stato di estrema esasperazione.

Il primo componente è piuttosto comune, il secondo piuttosto raro.

Per la prima volta, mia madre corse il rischio di vedersi restituire uno dei numerosi ceffoni elargiti negli anni con monotona generosità.

La litigata durò tutta la mattina e mio padre ebbe il suo bel da fare per calmare gli animi.

Le cose non migliorarono nel pomeriggio. Il veleno nell’aria non smise di accumularsi.

Vivevamo in uno stato di tensione che anche la proverbiale pazienza di mio Padre stentava a controllare.

Nel corso della settimana mi congedai senza freddezza da Marco che promise di scrivermi.

Mi venne a trovare una mattina in vespa, ‘per fare una pausa studio’.

Fu molto gentile, incoraggiante, affettuoso e amichevole come al solito.

E io pure.

Ci demmo appuntamento a Natale, si mise il casco e partì voltandosi a salutare con la mano.

Il congedo con Giulia fu più doloroso.

Nessuna di noi aveva altre amichette del cuore.

Avevamo fatto assieme tutte le scuole partendo dall’asilo, le elementari e le medie fino alle superiori.

Sorella Scout, sorella di fatto.

Quando mi venne a salutare l’ultimo giorno d’agosto, io ero in vantaggio: volevo andare a Torino, non sopportavo più il clima di casa mia, volevo capire chi ero.

Giulia avrebbe iniziato a breve Scienza della Formazione Primaria, probabilmente all’Università di Basilicata a Matera.

Nel recente passato aveva cercato di convincermi ad iscrivermi a Ingegneria a Bari, ma lì, all’epoca, non c’era Ingegneria Informatica e, come diceva lei stessa, ero un piccolo genio dei computer, non del cemento armato.

Mi ero preparata a consolarla, ma, modestamente, era una Scolta, oltre che mia amica.

Facemmo le forti, girando attorno al vuoto imminente cincischiando di email, cellulari, videochiamate via computer, di tutti gli strumenti per mantenersi in contatto.

Prima di salutarci mi raccomandò: «Tetto’, ti lascio andare perché penso che così prima o poi sarai felice. Solo che se non ci sarò io a prenderti a calci in culo tutte le volte che te lo meriti come farai?»

«Nessun altro lo farà al posto tuo, zoccole’, ti toccherà venire a Torino».

Mentivo.

Quando tornai a casa mi chiusi in camera e piansi a lungo. 


Marta e Giulia si salutano prima della partenza per Torino


Giulia, Marco, gli scout.

Lo studio, la piscina, i libri.

Mio Padre.

La mia vita.

Mi ero lasciata convincere di non aver nessun diritto agli affetti e neppure a una serata in un locale per festeggiare il compleanno di qualcuno.

Sapevo di altri che sarebbero partiti per il test di ingresso e che sarebbero, poi, tornati a casa in attesa dei risultati.

Io no.

Avevo già ottenuto il posto letto al Collegio delle suore e la borsa di studio.

Se non avessi superato l’esame di ammissione al Politecnico mi sarei semplicemente iscritta a matematica alla Statale.

Poi, francamente, avevo bisogno di distaccarmi da casa ed ebbi buon gioco a fare la ragazza laboriosa ed economa che preferiva risparmiare un altro viaggio Torino Matera e viceversa.

L’ultimo giorno passato a Matera fu straziante.

Volevo partire, volevo restare.

Volevo vivere.

E dovevo vivere.

La scena più dolorosa fu vedere dal finestrino i volti dei miei genitori diventare piccoli, poi sagome, poi puntini e  poi sparire.


Marta parte per Torino


1 settembre 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: Raffaele

 




Raffaele

Anna, Amore mio’.

Tre parole e due segni di punteggiatura che in quegli anni erano sempre nei suoi pensieri.

Quando Raffaele entrò in casa al ritorno dalla Route Estiva ebbe una breve crisi di pianto.

Finalmente era finita e la tensione accumulata, sia per la responsabilità, che per controllare il proprio stato emotivo, esplose in pochi minuti di lacrime silenziose.

Anna, Amore mio’.

Le notti di quella settimana  erano state durissime, come tutte le notti di Campo.

Il cielo stellato sopra il Gran Sasso aveva riempito di meraviglia i ragazzi, ma, per Raffaele, era solo memoria del lavoro unita alla nostalgia del volto di Anna.

Quando conosci i nomi delle stelle’. Pensava: ‘Quando ne conosci la natura, quando quella meraviglia che anche io provavo sin da bambino si infrange sempre contro la tua mancanza, il cielo stellato è una maledizione’.

La Route era andata bene, nonostante l’assenza di Mario e Michela. 

Beh, forse grazie alla loro assenza.

Una cattiveria per cui si sarebbe, a suo tempo, confessato.

Dopo essersi lavato mise in moto la prima lavatrice e iniziò a sistemare il resto dello zaino.

Gavetta, spiritiera, tazza, posate: in lavastoviglie.

Il coltello l’avrebbe lavato a mano.

Si interruppe e accese lo stereo che aveva in soggiorno.

Finalmente, il silenzio fu spezzato da Mozart.

Sarebbe andato a pranzo dai suoi genitori, poi una pennichella sul suo letto di ragazzo.

Piano piano, la musica iniziò a raddrizzargli la giornata.

La malinconia, a cui era ormai abituato tanto da non distinguere più la sua presenza dalla sua assenza, si diluì tra le note.

Qualche ora dopo, quando si svegliò, nel tardo pomeriggio, a casa dei suoi genitori, la malinconia aveva lasciato spazio alla soddisfazione per la Route così felicemente conclusa.

La stanchezza per un ennesimo anno da Capo era compensata più che a sufficienza dai frutti che aveva raccolto.

Luca e Marco avevano preso la Partenza, era stato deciso di rifare la Carta di Clan, la Strada aveva compattato i ragazzi dopo un anno difficile.

Ma soddisfazione non equivale a entusiasmo.

Era stanco, ma non c’era sollievo all’orizzonte.

Si sentiva condannato a continuare a fare il Capo anno dopo anno, impegnando tutte le energie che gli restavano nello Scoutismo.

E, negli intervalli, come da ora a Ottobre, il vuoto.

Raffaele si preparò per la pizza di Clan con la costante e ondivaga altalenanza di intenzioni.

Diviso a metà tra la voglia di salutare i ragazzi e non incontrarli più per un pezzo.

Diviso a metà tra il desiderio delle voci giovani e quello del silenzio.

Non aveva ancora compiuto trent’anni e i ragazzi di venti gli sembravano suoi figli.

Ma non aveva modo di sottrarsi ai suoi doveri: disertare la pizza di Clan era fuori discussione, i ragazzi avrebbero potuto mal interpretare la sua assenza.

La calura del pomeriggio era opprimente.

Raffaele, salutati i suoi, se ne tornò a casa  per rinfrescarsi e cambiarsi.

Aveva appena finito di farsi la doccia quando chiamò Michela, la Capo Fuoco.

Era un Medico piuttosto noto in città i cui impegni lavorativi avevano ostacolato la sua partecipazione alle attività del Clan. Era una donna diretta e pochissimo diplomatica, qualità che, invece, aveva in abbondanza il Capo Clan, professore di Italiano in un Istituto Tecnico. Erano stati Capi per molti anni ma, ultimamente, avevano lasciato sulle inadeguate spalle di Raffaele gran parte della conduzione dell’Unità.

«Ciao Raffaele, fatta la doccia?»

«Sì Miki, fatta la doccia fatta la pappa da mamma e fatta pure la nanna. Ci vediamo stasera?»

«Sì, almeno quello ve lo devo. E’ andato tutto bene? Anzi, scusami, mi avresti già chiamato se fosse andato storto qualcosa, quindi, tu come stai?»

Michela era radiologa e non psichiatra ma sapeva della sua lunga depressione.

«Sono stato molto peggio, sono cautamente ottimista ma non mi azzardo a risponderti ‘bene, grazie e tu’».

«Senti Raffaele, tu che intenzioni hai per l’anno prossimo?»

«Dovrei andarmene, vorrei restare».

«Giusto il contrario di quanto sarebbe sano. Lo faresti il Capo Clan con me?»

Oddio, no!

«Lo odi così tanto il Gruppo?»

Michela rise.

«Il mio diarca non ce la fa più e io nemmeno, ma a livello formale posso comunque darti una mano, i numeri della Co.Ca. li conosci: siamo in sette e resteremo in sei a ballare l’alligalli, di cui una, la sottoscritta, sulla carta».

«Ci sono Luca e Marco».

«Sono bravi ragazzi ma non puoi contare su di loro, su Marco soprattutto: dureranno un po’ ma poi università e lavoro se li papperanno. Ah, a proposito, come l’ha presa Marta la nostra decisione?»

Raffaele pensò a Marta.

La Marta bambina del primo anno di reparto, la Marta giovane donna che aveva salutato alla stazione poche ore prima.

Ognuno delle ormai centinaia di ragazzi di cui era stato Capo era stato speciale ai suoi occhi e Marta non faceva eccezione. 

E non per i suoi talenti di cui Raffaele aveva, da tempo, perso il conto.

Nuotatrice, cuoca, sarta, infermiera, atleta, campeggiatrice, aveva finito lo spazio sulla manica della camicia per le specialità e i brevetti. Ma per quella sua rara capacità di non riversare mai sugli altri il proprio dolore. Nell’ultimo anno Marta era molto cambiata. Non era mai stata arrendevole ma ora la sua determinazione sfiorava la cocciutaggine. Raffaele le voleva bene per un motivo semplice: nonostante fosse popolarissima nella ristretta cerchia del Clan, nonostante la sua stretta amicizia con Giulia, Marco e Luca, sentiva a pelle che era terribilmente sola. Non era pronta a lasciare la protezione del Clan, forse l’unico gruppo di suoi pari in cui nessuno l’avesse mai  presa in giro o umiliata per il suo aspetto fisico. E, poi, Raffaele sapeva di essere stato l’idolo di Marta per molti anni, ma era bastato un ‘no’ inaspettato per crollare ai suoi occhi. Una cosa del tutto normale: quando era Capo Reparto la maggior parte dei suoi ragazzi passati in Clan  lo salutava a stento.

Ma lui non  se l’era mai presa: faceva parte del gioco. Però, pensare che anche Marta di lì a qualche tempo gli avrebbe solo fatto ciao con la manina dall’altro lato della strada gli faceva pregustare l’amarezza del momento. 

O, più probabilmente, non era pronto a smettere di proteggerla.

Cosa che, negli anni, aveva dovuto fare molte volte con tanti ragazzi.

Ma il dovere prima di tutto.

«Male: da quando le ho detto di no mi ha guardato con ostilità».

«Ma hai assolutamente ragione: non è pronta per la Partenza anche se da fuori sembra una Giovane Marmotta piena di medaglie del Gran Mogol la ragazza avrebbe bisogno di ben altri stimoli e di maturare emotivamente».

«Beh, come futuri Capi del Clan almeno partiamo bene: una decisione scomoda presa noi due contro il resto del mondo».

«Già, non ci avevo pensato. E’ giusto che segua la sua strada ma un altro anno di Clan le avrebbe fatto bene o almeno ci sarebbe stato spazio per provare a farla sbloccare. Sai, nel caso, l’avrei mandata a fare Servizio extrassociativo. Tu che la conosci da sempre convincila ad entrare in un Gruppo lì a Torino, magari c’è un Clan Universitario».

«Marta è molto …»

Sfortunata? Sofferente? Sola?

«Marta mette una grande forza e tutta la sua intelligenza in tutto quello che fa, se la caverà benissimo anche senza scautismo. Comunque, ci proverò».

«Raffaele?»

«Sì?»

«Scusami per averti abbandonato. Se pensi che non sia possibile fare come ti ho proposto, troveremo un’altra soluzione».

«Grazie Michela, ci penserò. Ci vediamo lì allora?»

«No, ti passo a prendere: il minimo che posso fare è lasciarti tracannare un paio di birre in serenità».

Michela arrivò puntuale e Raffaele si meravigliava sempre di quanto, senza uniforme scout addosso, fosse così diversa.

«Ti sei abbronzato uaglio’ e sei un fascio di muscoli! Hai messo su proprio un bel figurino».

«Grazie Michela, anche tu sei in gran forma, a casa tutto bene?»

«Ah, sposati una scout, ti dico solo questo».

«Ci ho provato».

Raffaele non poteva credere di aver pronunciato una battuta di così cattivo gusto, oltraggiosamente offensiva per tutte le persone coinvolte. 

Ma Michela non solo non si scompose ma evitò silenzi imbarazzati.

«Stai decisamente meglio se fai ‘ste battute. Forza e coraggio uaglio’ che hai solo trent’anni e per almeno altri quaranta devi continuare a fare il Capo!»

Che bella prospettiva.

Michela era una Capo competente e attenta. 

Si informò su tutti i ragazzi, uno per uno, senza dimenticarne nessuno.

«Giulia l’anno prossimo sarà pronta. Per lei sarà dura senza Marta ma c’è poco da fare. Tra l’altro, sono sempre più convinto che andare a Torino sarà la salvezza di ‘sta ragazza. Ma per Giulia saranno mesi difficili: fa tanto la spavalda ma era Marta a tenerla in riga, speriamo non si perda».

Raffaele pensò si suoi compagni di strada nel Clan.

Non glie ne era rimasto accanto neppure uno.

Università e lavori lontani avevano prevalso su quel senso di fratellanza che  era vivo e vitale quando erano ragazzi.

I due Capi furono tra i primi ad arrivare in pizzeria e Raffaele colse al volo l’opportunità offertagli da Michela. Si precipitò al bancone per la prima birra gelata dopo una settimana abbondante di astinenza.

Il Clan arrivò alla spicciolata.

I ragazzi erano di una bellezza che gli feriva gli occhi.

Raffaele pensò: ‘Tra cinquant’anni, se sarò ancora vivo, saranno miei coetanei. Anche tra venti. Oggi, invece, i dieci anni di differenza sembrano un abisso invalicabile. Per fortuna’.

Le ragazze erano semplicemente splendide ma, per lui, erano ancora le bambine che aveva accolto in Reparto otto anni prima.

La birra fredda tracannata di getto (senza testimoni scomodi) attenuò il senso di angoscia e l’opprimente sensazione di essere guardato come su un piedistallo dal gruppo di ragazzi che iniziò ad affollarsi attorno ai due adulti.

L’esaltazione per la bella Route appena conclusa rendeva i ragazzi chiassosi ed eccitati.

Purtroppo, mentre l’angoscia si attenuava, gli cresceva in mente il disincantato cinismo che vedeva tutta la fragilità di quella Comunità Ideale.

Quei ragazzi, che assieme erano capaci di dedicarsi sia ai piccoli che agli ultimi in un Servizio sincero ed efficace,  si sarebbero dispersi per il mondo. 

All’epoca, Raffaele era troppo giovane per guardare oltre il suo limitato orizzonte e non aveva idea di come maturassero i frutti dello scoutismo, pur essendo lui stesso uno di loro.

La festa in pizzeria proseguì allegra ma si concluse abbastanza presto: erano tutti molto stanchi.

Marta si avvicinò  per salutare, dato che sarebbe partita a giorni per Torino.





Raffaele fece la solita battuta che ripeteva a tutte le Scolte su quanto fosse bella e le raccomandò di scrivere per ogni necessità.

Non era certo la prima volta che uno dei ragazzi del Clan che aveva conosciuto sin dall’infanzia se ne partiva per il Nord e, anche se non ci si fa mai il callo, sapeva anche quanto fosse inutile rimuginarci su.

Fu Michela a notare un piccolo dettaglio: «E’ la prima volta che vedo Marta vestita come le altre ragazze».

«E pensi che sia grave?»

«No, anzi, meglio tardi che mai, ma di sicuro vuol dire qualcosa».

Raffaele era alla terza birra impegnato da ore a scacciare cattivi pensieri e profonde riflessioni e l’abbigliamento di Marta, che era stata antipaticissima con lui per tutta la settimana, gli interessava ben poco.

Ma Michela proseguì: «Stacci dietro Raffae’, scrivile, mi raccomando».

«Agli ordini, Capo».


つづく

Nota di fine capitolo.

Con l'introduzione del punto di vista di Raffaele si chiude il primo capitolo del romanzo.

Spero che vi abbia incuriosito.

Procederò alla condivisione a puntate del secondo capitolo mentre inizio a preparare la pubblicazione su Kindle direct publishing (non è una faccenda banale).

Quando sarò pronto, ovviamente, ve lo farò sapere.

Penso di impostare il prezzo di acquisto sul minimo possibile, sia per la versione e-book che per quella cartacea.

Mi interessa che il testo sia diffuso: anche a pensare di fare soldi ne dovrei vendere centomila copie solo per potermi comprare un'utilitaria.

il mercato editoriale italiano è così, inutile pensare di guadagnare dalla scrittura, molto meglio guadagnare in merito per aver diffuso parole di speranza e conforto (che spero di aver scritto).

Grazie per la condivisione e l’aiuto.