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9 febbraio 2020

L'uomo nell'ingranaggio, di Pietro Piro



Non ho le competenze per recensire adeguatamente il contenuto dell'ultima fatica di Pietro Piro: "L'Uomo nell'Ingranaggio".
E' una raccolta di saggi e recensioni divisa in 4 sezioni: Comunità, Lavoro, Tecnica, Chiesa.
Ho, tuttavia, le competenze tecniche e spero quelle umane per descrivere le emozioni che la lettura mi ha fatto provare e trasmettervi la curiosità per questo libro e per gli altri scritti dell'Autore.
Caro lettore, va tutto bene?
Contento del lavoro? Sei sicuro di conservarlo?
Ti senti uomo libero in un Paese Libero?
Il Mondo ti sorride e domani andrà meglio?
Sei sereno per il futuro dei tuoi figli?
Puoi contare sui tuoi amici?
Godi di buona salute?
Sai identificare un ambito della (tua) vita da cui sei stato escluso?
Le sai elencare, almeno, tutte le ansie che domande come queste (o altre) potrebbero far capolino nel tuo cuore?
Certo, i saggi di Piro hanno titoli impegnativi e la lettura richiede concentrazione ed impegno.
Impegno che viene ripagato perché Piro non elenca problemi, non recensisce bollettini di guerra.
Pietro Piro non la 'la soluzione', ma offre strumenti di resistenza, antidoti, cambi di rotta utili ad uscire dall'ingranaggio e riportare la macchina tecnologica al servizio dell'Uomo e non a quella che, nel migliore dei casi, è al più una incerta simbiosi.
Il più difficile dei suoi suggerimenti è, probabilmente anche il più efficace a lungo termine.
Riportare la sfera delle relazioni da quella social network based alla banale convivialità personale.
Far tornare l'Incontro con gli amici dalla categoria degli appuntamenti di lavoro (pianificata, standardizzata, anestetizzata) a quello dell'abbraccio di sostegno reciproco, spontaneo, privo di calcolo.
La convivialità come antidoto, come vaccino.
La fraternità sottrae l'Uomo all'ingranaggio.
Purtroppo, per esperienza, l'ingranaggio prevale quasi sempre.


25 gennaio 2017

Auschwitz è ancora possibile? Temi e argomenti per un pensare civile, di Pietro Piero

Ho ricevuto in dono dall'autore questo prezioso volumetto trovando nei numerosi saggi e recensioni una sponda a molte delle mie considerazioni.
Il volume prende il titolo dal suo primo breve saggio  e di cui scriverò qui ancor più brevemente.
Nel corso di una recente presentazione, l'Autore ha espresso questo devastante concetto:
sono davvero in pochi quelli che credono che l'Auschwitz reale sia realmente accaduto, perchè la loro mente di persone sane non può concepire integralmente il significato del campo di sterminio.
Non sono certo negazionisti, sono sicuri che ci sia stata la Shoà, ma non credono fino in fondo, come, ad esempio, credono che l'indomani ci sarà il mattino.
Perchè se ci credessero allo stesso modo non potrebbero tollerare i velenosi semi di Auschwitz che vengono continuamente sparsi nella nostra società.
Contestualmente, l'Autore non ritiene che i meccanismi di segretezza e sterminio della Shoà siano ripetibili nel mondo in cui ogni cittadino dispone di smartphone e accesso al web, fatto che non esclude che atrocità equiparabili vengano nuovamente commesse.
Per la cronaca, a parte il genocidio in Ruanda, la Corea del Nord è il paese in cui è molto probabile che meccanismi equivalenti a quelli della Shoà siano in corso.
Equivalenti nella sofferenza per le vittime, ma non simili per orrore.
Consideriamo un esempio piuttosto noto in letteratura.
Il comandante di Auschwitz paragonato al comandante di un gulag Nordcoreano.
Compito del primo è uccidere ebrei, omosessuali, zingari. 
Compito del secondo è costruire una ferrovia, una diga, estrarre uranio, senza riguardo per i prigionieri impiegati nei lavori forzati.
Il rendimento del comandante di Auschwitz è nel numero di sterminati.
Il rendimento di un gulag Nordcoreano si misura, invece, in km di ferrovia o metri di diga costruiti e kg di uranio estratto. 
In entrambi i casi, il destino degli innocenti coinvolti è atroce.
Ma la singolarità storica di Auschwitz in cui lo Stato Nazista ha sottratto risorse alla propria esistenza, sottraendo truppe e risorse al Fronte, pur di sterminare le sue vittime non si è più ripetuta: in tutti i massacri successivi e contemporanei vi è sempre uno scopo, pur aberrante, materiale: i sovietici e i Nordcoreani sacrificano prigionieri innocenti per scopi materiali, non sacrificano beni materiali per uccidere prigionieri innocenti.
Eppure, data la simultanea presenza di molti dei fattori socioeconomici presenti nella Germania Nazista degli anni 30 nelle nostre socirtà postmoderne, la possibilità che un meccanismo equivalente in cui i mezzi della tecnica contemporanea siano adoperati per sterminare una minoranza senza vantaggio materiale per la maggioranza non è statisticamente trascurabile.
Ecco l'atroce eredità di questa singolarità storica: la coscienza che è Stato, l'impossibilità emotiva di accettarlo, la consapevolezza che questo nostro eterno sgomento è concausa di ogni sua possibile, futura, replica pur in altro tempo e con altro nome.