Visualizzazione post con etichetta olocausto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta olocausto. Mostra tutti i post

27 gennaio 2025

La giornata della memoria è inutile quando è cronaca alla fine della Tregua

antisemitismo contro Liliana Segre

 

Perché fare memoria del passato mentre lo si sta rivivendo?

Sono stato molto indeciso tra tacere, ricordare senza nessun riferimento alla catastrofe in corso, testimoniare che quel che è stato lo si progetta di nuovo oggi.

La deriva antisemita è diventata tempesta il 7 Ottobre 2023 e ora l'Italia del 2025 non è molto diversa da quella degli anni '40 del secolo scorso.

L'antisemitismo delle sinistre occidentali è una catastrofe orrenda per gli ebrei, ma pure per chi deve vivere accanto a 'sta gente non è mica facile.

Trump è una bella seccatura ma scoprire che una persona che stim(av)i approva Hamas anche solo all'1% è  molto peggio. 

Egoisticamente, perché a voglia a cianciare di diritti, eguaglianza e progresso se si facilitano gli stupratori omofobi e misogini che assediano la suicida Europa.

Scriveva bene, Primo Levi, dando un seguito al suo "Se questo è un uomo".

La Tregua, chiamò quel libro.

Perché è evidente che di Tregua si è trattata.

E la Tregua è finita.

Festeggiate, oggi, come avete approvato il  7 Ottobre. 

Fate miglior figura.

E dato che ho sempre fatto memoria dell'Olocausto, ne vedo oggi le nuove solide fondamenta nascere nello stesso popolo delle leggi razziali del 1938.


27 gennaio 2024

La Giornata della Memoria di Kfar Aza



Questo 27 gennaio è un giorno di lutto.

La memoria è andata perduta assieme al discernimento.

L'Oblio è sceso sulla speranza e quel che è stato sarà ancora, anche grazie a chi non si è mai neppure accorto del Pogrom di Kfar Aza.

Altro che memoria.

L'Oblio è fatto da una cappa di ignoranza ciuccia e presuntuosa, banale come il male, a livello di terrapiattismo.

L'antisemitismo è il cancro dell'Occidente e ne divora la libertà uccidendo dove si illude di parlare di pace.

Le folle di Chamberlain sono le stesse di Barabba.

E si vede.


 

17 gennaio 2024

VOI NON MERITATE IL NOSTRO DOLORE

 Ci avete chiamati. Ci avete accolti con calore nelle vostre scuole. O anche in sale istituzionali dove abbiamo incontrato partecipi cittadini.

Avrete capito che sto alludendo a me ma, naturalmente, anche ai tanti ebrei della mia generazione che hanno scelto di testimoniare.

Ci avete chiesto frastornati “ma perché non vi siete difesi?”. Ci avete chiesto indignati “Come è possibile che il nostro pianeta abbia permesso questa strage?”. Gli abitanti dei paesi contigui sapevano, dicevate. Sapevano di quella colossale industria della morte ad un passo da casa loro. Potevano provare a gridarlo forte.

Ammirevoli docenti hanno diviso con noi lo sforzo di far percepire tracce di quel racconto che non si può raccontare. Validi sindaci di numerose città hanno organizzato per voi viaggi nei campi dello Sterminio. Molti ragazzi ne sono usciti sconvolti, qualcuno non riusciva più a destreggiarsi in mezzo a quel tumulto di emozioni.

Sia chiaro però. Non era la trasmissione della sofferenza che volevamo riversare su voi. Ci mancherebbe! Era solo un invito a mettere in moto la conoscenza, quella che, se funziona, si trasforma in coscienza.

È appena capitata l’occasione di parlarvi del 16 Ottobre (1943) data simbolo della retata di ebrei italiani per mano degli invasori tedeschi.

Sono passati ottanta anni da quel sabato nero.

E ora?

Come è possibile? Come è possibile che sia successo ancora una volta? Un altro ottobre del tutto simile a “quell’ottobre lì”.

Di nuovo porte ebraiche abbattute con violenza. E con la stessa mirata violenza strage di giovani in festa, di neonati al calore delle loro madri, di bambini e giocattoli, di anziani all’insegna di una aggrovigliata saggezza, di donne braccate come prede.

“L’irraccontabile” è riuscito a riproporsi. Non ci avremmo mai creduto.

E cosa ha risposto l’opinione pubblica? Intendo dire molti tra quelli che ci domandavano “perché non vi siete difesi?”.

Ora ci siamo difesi e voi avete incominciato (o ricominciato) a odiarci.

Un attimo di raccapriccio appena appresa la notizia, questo sì, ma proprio un attimo.

Subito dopo, ecco riaffiorare i “però”, e i “ma”, “insomma è Israele il vero colpevole di quanto è accaduto. Israele che non ha mai voluto prendere atto dei diritti del popolo palestinese”.

Ho detto “subito dopo” non per caso. Va ricordato che questa presa di distanza è cominciata ben prima che lo Stato ebraico desse inizio all’attacco di risposta nella striscia di Gaza. La guerra è sempre terribile e nessuno di noi, ebrei o non ebrei, riesce ad emergere dall’angoscia di fronte alle tragiche immagini di civili innocenti martoriati che scorrono davanti ai nostri occhi. Ma questa condivisione dovrebbe trovare riscontro anche dall’altra parte. Come è successo che di colpo il male del mondo sia rappresentato solo dall’israeliano o, in modo più spicciativo, dall’ebreo?

Ma come mai i predoni del 7 ottobre 2023 si vantavano al telefono con un “mamma! Ho ucciso 30 ebrei”. Ebrei, non Israeliani. La cosiddetta giustificazione politica ha mostrato il suo vero volto. Si tratta solo del classico antico odio antisemita.

Su questi particolari però l’opinione pubblica preferisce non soffermarsi. Non ci ha messo molto tempo a far sua la vecchia-nuova variante.

Un altro chiarimento però. Non è andata così per tutti. Le menti pensanti, coloro che formano il loro giudizio basandosi sulla conoscenza, su studi specifici, sulla difesa dei valori democratici, hanno fatto sentire in gran numero la loro voce.

Per quello che mi riguarda personalmente posso affermare, senza aver inforcato i classici occhiali rosa, che nella mia cerchia nessuno ha pensato di schierarsi coi nemici dello Stato ebraico. Ne vedevano gli errori politici, questo sì, ma anche noi ebrei li vediamo e ci ragioniamo sopra.

Io parlavo di “opinione pubblica” riferendomi alle ondate che hanno invaso le piazze, le scuole, le Università, là dove si gridava “sono con Hamas” senza pensare (o forse sì) che con una piccola frase stavi aderendo al “morte agli Ebrei” unico vero obiettivo della Hamas-militanza.

Ed ecco di conseguenza gli israeliani e gli ebrei respinti dalle fiaccolate, dalla Marcia della Pace, dal manifestare contro la violenza sulle donne, mentre la Rettrice di una Università americana di fronte al quesito: “invocare il genocidio degli ebrei viola le nostre regole di condotta?” sceglie di rispondere “dipende dal contesto”.

Ma allora l’attenzione che ci avevate dedicato nelle vostre aule non era autentica. Ha fatto così presto a volar via!

È volata via per correre a far parte di quel paradiso progressista (così l’ha chiamato lo scrittore israeliano Etgar Keret) dove scatta dall’alto una specie di parola d’ordine. È là che si fanno scelte tra Stati buoni e Stati malvagi. Va da sé che Israele rientra nella seconda categoria.

È per questo che mi sento di dirvi: VOI NON MERITATE IL NOSTRO DOLORE.

Il dolore è sacro. Il dolore ha bisogno di grande rispetto. Chiunque non lo percepisce nel suo senso profondo, profana e immiserisce anche la tua sofferenza. Un mi dispiace e via non ci aiuta, anzi.

Su come rapportarci quest’anno con le celebrazioni del Giorno della Memoria si sta molto discutendo in ambienti ebraici. Non è facile individuare la posizione giusta. L’ebraismo è una religione di studi, di dubbi, domande e discussioni. Il dogma non esiste. Ognuno farà la sua scelta giusta o sbagliata.

Per quello che mi riguarda sono assillata dai dubbi.

È vero: ho appena espresso quel voi non meritate il nostro dolore e quindi la mia risposta dovrebbe essere di conseguenza.

Invece no. Il pessimismo è un lusso che l’ebraismo non si può permettere ha scritto un Nobel della letteratura.

Non è solo questo. Nelle scuole che comunque ci attendono i ragazzi ascolteranno quello che, nei nostri limiti, cercheremo ancora di trasmettere. Forse qualcosa gli resterà dentro.

Parafrasando il celebre “chi salva una vita salva il mondo” mi viene da immaginare che chi contribuisce a salvare una coscienza potrà salvare il pensare del mondo. 

Lia Levi. Sopravvissuta all'Olocausto.

Sopravvissuta?

25 gennaio 2017

Auschwitz è ancora possibile? Temi e argomenti per un pensare civile, di Pietro Piero

Ho ricevuto in dono dall'autore questo prezioso volumetto trovando nei numerosi saggi e recensioni una sponda a molte delle mie considerazioni.
Il volume prende il titolo dal suo primo breve saggio  e di cui scriverò qui ancor più brevemente.
Nel corso di una recente presentazione, l'Autore ha espresso questo devastante concetto:
sono davvero in pochi quelli che credono che l'Auschwitz reale sia realmente accaduto, perchè la loro mente di persone sane non può concepire integralmente il significato del campo di sterminio.
Non sono certo negazionisti, sono sicuri che ci sia stata la Shoà, ma non credono fino in fondo, come, ad esempio, credono che l'indomani ci sarà il mattino.
Perchè se ci credessero allo stesso modo non potrebbero tollerare i velenosi semi di Auschwitz che vengono continuamente sparsi nella nostra società.
Contestualmente, l'Autore non ritiene che i meccanismi di segretezza e sterminio della Shoà siano ripetibili nel mondo in cui ogni cittadino dispone di smartphone e accesso al web, fatto che non esclude che atrocità equiparabili vengano nuovamente commesse.
Per la cronaca, a parte il genocidio in Ruanda, la Corea del Nord è il paese in cui è molto probabile che meccanismi equivalenti a quelli della Shoà siano in corso.
Equivalenti nella sofferenza per le vittime, ma non simili per orrore.
Consideriamo un esempio piuttosto noto in letteratura.
Il comandante di Auschwitz paragonato al comandante di un gulag Nordcoreano.
Compito del primo è uccidere ebrei, omosessuali, zingari. 
Compito del secondo è costruire una ferrovia, una diga, estrarre uranio, senza riguardo per i prigionieri impiegati nei lavori forzati.
Il rendimento del comandante di Auschwitz è nel numero di sterminati.
Il rendimento di un gulag Nordcoreano si misura, invece, in km di ferrovia o metri di diga costruiti e kg di uranio estratto. 
In entrambi i casi, il destino degli innocenti coinvolti è atroce.
Ma la singolarità storica di Auschwitz in cui lo Stato Nazista ha sottratto risorse alla propria esistenza, sottraendo truppe e risorse al Fronte, pur di sterminare le sue vittime non si è più ripetuta: in tutti i massacri successivi e contemporanei vi è sempre uno scopo, pur aberrante, materiale: i sovietici e i Nordcoreani sacrificano prigionieri innocenti per scopi materiali, non sacrificano beni materiali per uccidere prigionieri innocenti.
Eppure, data la simultanea presenza di molti dei fattori socioeconomici presenti nella Germania Nazista degli anni 30 nelle nostre socirtà postmoderne, la possibilità che un meccanismo equivalente in cui i mezzi della tecnica contemporanea siano adoperati per sterminare una minoranza senza vantaggio materiale per la maggioranza non è statisticamente trascurabile.
Ecco l'atroce eredità di questa singolarità storica: la coscienza che è Stato, l'impossibilità emotiva di accettarlo, la consapevolezza che questo nostro eterno sgomento è concausa di ogni sua possibile, futura, replica pur in altro tempo e con altro nome.




5 dicembre 2014

Dio non ha inventato Auschwitz

Ho letto le dichiarazioni del Professor Veronesi sul suo allontanamento dalla Fede causato dal contatto quotidiano con le terrificanti conseguenze del Cancro.
“Il Cancro, dopo Auschwitz, è la prova della non esistenza di Dio”.
Non entro nel merito delle convinzioni personali di nessuno.
Ma, se la sofferenza assurda inflitta dall’Uomo all’Uomo e dalla Malattia sono prova di non esistenza affermo che non è affatto necessario spingersi fino ad Auschwitz ed al Cancro se si desidera trovare in esse l’assenza di Dio.
E’ sufficiente il pianto di un bambino di fronte al suo cucciolo morente.
E se avete bisogno di spiegazioni in merito è improbabile che io sia in grado di fornirvele.
No, dubito molto che la scala delle atrocità umane o delle calamità naturali siano misura dell’esistenza di Dio.
Lo so, purtroppo è fin troppo diffusa la credenza o l’idea di un Dio presente nel creato più o meno come Giove e al catechismo qualcuno avrà insistito un po’ troppo a dirci che Gesù è con noi sempre.
Ma il Suo Regno non è di questo mondo.
Dio non gioca a dadi con le nostre vite.
Non se ne sta su una nuvoletta tirando a sorte su chi  deve morire a cent’anni e chi a 17.
Non stabilisce lui se nel mio bicchier d’acqua c’è quella molecola cancerogena di troppo che mi farà ammalare o se passo in un sentiero di campagna da cui sgorga quella boccata di radon che mi farà venire il cancro. Nè sta a deviare i raggi ultravioletti che mi possono bruciare la pelle.
Quest’idea di un Dio che condanna al Cancro e magari per capriccio dal Cancro salva descrive più Satana che Dio.
Io non sono cristiano perchè credo che se farò il bravo finirò in un posto definito Paradiso (e nel ‘nostro’ non ci sono manco le Urì).
Sono cristiano e credente perchè le parole di Gesù mi hanno convinto e non mi ci vuole molto a spiegarlo: quando le metto in pratica nelle difficoltà sono già in Paradiso in Terra.
Quando me ne allontano, purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi, convivo col mio Inferno.
Ma che Gesù Cristo sia responsabile per inazione di Auschwitz e della Malattia non è un’affermazione sbagliata, rientra semplicemente nelle affermazioni impossibili (Esempio Classico: è più buona la cioccolata o va più veloce l’Enterprise?)
No.
Dio e Cristo non hanno nulla a che vedere con l’indeterminatezza della Vita Umana, dai Terremoti al Superenalotto, dalla foratura in bicicletta al Cancro, dall’interrogazione al primo bacio.
Cristo ha molto a vedere con la Vita dell’Uomo e ben poco con le sofferenze della Vita dell’Uomo.
L’Universo è una creazione di Dio che risponde a leggi naturali, Auschwitz e le sostanze cancerogene artificiali, di certo, no.

21 settembre 2014

qualcuno disse no, qualcuno sa dire solo sì: Il Popolo che disse No, di Bo Lidegaard

Ho appena finito di leggere "Il Popolo che disse No" di Bo Lidegaard.
Racconta di come la Danimarca salvò la propria popolazione ebraica dallo steriminio nazista.
La Danimarca era stata occupata il 9 Aprile 1940 dai tedeschi e, data la disparità di forze, i danesi avevano preferito non opporre alcuna resistenza.
In cambio, la Germania non trattò la Danimarca come gli altri paesi occupati.
Il libro non è, come si dice, di scorrevole ed avvincente lettura, ma, appunto, non è letteratura da treno.
E' un racconto accurato, da un lato, della sorte di alcune migliaia di persone che si salvarono fuggendo in Svezia, dall'altro, del peculiare fenomeno per cui la consueta sequenza di azioni messe in atto dai nazisti contro gli ebrei, ossia discriminazione, segregazione, deportazione, sterminio, in Danimarca non funzionò affatto.
"Con che diritto venite qui?" Chiese, semplicemente, un bibliotecario alla Gestapo che stava saccheggiando i suoi registri per cercarvi gli ebrei.
E l'uomo della Gestapo rispose: "Con il diritto del più forte", al che il bibliotecario "Non è un buon diritto".
Nel mondo del bibliotecario, gli ebrei non esistevano. 
Esistevano i Danesi, uomini, donne, alti, bassi, religiosi e atei, tutti, però, membri della Nazione Danese, democratica e prospera.
"Con che diritto venite qui?" Non è una domanda banale, perchè nel mondo civile delle democrazie occidentali il diritto del più forte equivale a nessun diritto.
Per i Danesi, essere complici delle deportazioni ebraiche equivaleva ad un suicidio.
Equivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione e distruzione.
Perchè, ripeto, non esistevano gli ebrei danesi, solo i danesi. 
Acconsentire che un danese venisse perseguitato quivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione.
C'è una leggenda secondo cui il Re Cristiano di Danimarca, di fronte alla pretesa tedesca di imporre la stella di Davide agli ebrei (la fase uno dello sterminio, la discriminazione per Legge), si sarebbe presentato in pubblico con la stella di Davide addosso.
E' un episodio apocrifo, mentre è vero che quando gli dissero che i tedeschi avrebbero preteso di applicare tale 'legge', rispose, effettivamente: "Beh, allora ci toccherà indossarla tutti".
I tedeschi consideravano la Danimarca come un prototipo di Nuova Europa: un paese ariano, prospero, pacificamente asservito alla Germania e non avevano nessun interesse a turbare questo equilibrio in cui i danesi non resistevano e i tedeschi non opprimevano (troppo).
Di questo i dirigenti danesi erano perettamente consapevoli.
E non consideravano affatto possibile che accadesse in Danimarca quello che era successo nel resto d'Europa.
Sapevano che la Germania era lì a due passi e bisognava farci i conti.
E basavano i loro calcoli sulla ragionevolezza delle pretese tedesche.
Così, quando la furia nazista si abbattè sui danesi che, ai soli occhi nazisti erano 'diversi', a tutti i danesi fu chiaro che ad occuparli non era la Germania, ma 'un regime violento di criminali che non meritavano il minimo credito'.
L'opposizione danese al nazismo, quindi, non fu semplcemente un'opposizione armata di una sparuta minoranza, come in Italia.
Fu l'opposizione di un intero popolo che raggiunse il suo scopo: meno dell'1% della popolazione ebraica della Danimarca finì tra le grinfie dei Nazisti, il resto fu messo al sicuro dai soccorritori danesi in Svezia.
E voi, cari lettori, potreste attribuire all'elevatissimo grado di prosperità sociale della Danimarca il comportamento dei suoi cittadini.
Peccato che non vi sia alcuna correlazione diretta tra il dire no ai nazisti e la prosperità di un popolo.
In Olanda, un'altra ricca nazione occupata di cui i tedeschi consideravano perfettamente ariani gli abitanti, ben il 71% della popolazione ebraica fu sterminata, quasi centomila vite umane.
E vi fu un altro popolo che disse No.
In cui la percentuale di ebrei uccisa fu pari a zero.
Quello bulgaro.
Di certo non ricco come quello danese od olandese.
Ecco, quando parlate di Palestina, date un pensiero ai vostri bisnonni e a dove ci hanno portati tutti i loro Sì.
E a tutti i Sì che l'italica gente grida a gran voce ogni giorno.

14 agosto 2014

San Massimiliano Kolbe

Oggi, 14 agosto, la Chiesa venera San Massimiliano Kolbe.

Ho sentito parlare per la prima volta di lui alle scuole elementari.
Già, negli anni 80 del secolo scorso, alle elementari, si parlava anche di Auschwitz.
La Maestra Nicoletti ci raccontò di un sacerdote che si offre al posto di un padre di famiglia (che sopravvisse all'inferno dei lager e dopo la guerra tornò a casa) per scendere nella cella della morte.
Il perchè dovesse morire mi sfuggiva, all'epoca.
Cioè, mi sfuggiva il concetto di qualcuno che ammazzava gente così, tanto per ammazzare.
Quindi, nella mia mente di bambino, quest'uomo che sceglie di morire di fame per salvarne un altro rimase profondamente impressa.
A Padre Kolbe in una giornata come questa di 73 anni fa iniettarono acido fenico nel cuore, dato che le SS avevano deciso di essersi divertite abbastanza in due settimana di agonia.
Ho visitato la cella della fame in cui fu rinchiuso ad Auschwitz nel 1941.
E al momento ritengo semplicemente di doverlo testimoniare.
E' successo.