25 settembre 2016

La mia bicicletta ideale

Non me ne vogliate se insisto con la bicicletta, ma: avete presente quando avete una canzoncina in testa e l'unico modo per togliervi il motivetto dalla corteccia cerebrale è spararvelo nelle orecchie?
Ecco.
Sto pensando alla mia bicicletta ideale e non riesco a togliermi dalla testa queste considerazioni, quindi tanto vale metterle nero su bianco e magari raccatto anche qualche suggerimento.


La spalla del pneumatico posteriore ha ceduto troppo presto

Per prima cosa: no, non sto pensando di sostituire la Turbinosa Mk.2 nonostante si sia rivelata inadatta all'uso continuato (parlo di un migliaio di km annui di solo bike to work), proprio perchè i suoi acciacchi dell'uso quotidiano si sono dimostrati molto divertenti ed istruttivi da riparare.




Ma torniamo a noi.
La mia bicicletta ideale.
Beh, dopo due anni e mezzo di bike to work ed una brevissima parentesi materana un'idea me la sono fatta.
Prima di tutto: quello che va bene per Bologna non va bene per Matera.
Quindi, iniziamo da Bologna.
La mia bici ideale ha il telaio economico, in acciaio.
Il peso in più non è un problema, non devo fare gare di velocità e poi mi fa bene fare un po' di fatica.
Fa bene alla panza.
Non ha ruote da bici di strada, nè da città. 
Mi sono trovato discretamente bene con le 700x38C da trekking.
Già, trekking, perchè molte piste ciclabili, qui a Bologna, sono sui marciapiedi con un fondo stradale che oscilla tra la grattugia e il pavè passando per il terreno erboso.
E non solo: dato che sono spesso progettate come se l'autostrada Torino Milano non avesse altre uscite oltre Milano e Torino, spesso, per entrarvi o uscirvi, si deve salire o scendere dal marciapiede in maniera piuttosto brusca.
Quindi, non va assolutamente bene una bici da strada, figuriamoci una da corsa.
Per il momento posso fare a meno degli ammortizzatori, più in là vedremo cosa dice il fondoschiena.
Al momento, quindi, abbiamo a che fare con una bici ordinaria in acciaio, ruote da 28" e pneumatici da trekking.
Per la trasmissione ritengo che a Bologna il deragliatore anteriore sia del tutto superfluo dato che, a meno di voler far gite in Collina, si avrà a che fare al massimo coi cavalcavia di ferrovia e autostrada.
E anche il numero di rapporti non è necessario che sia esagerato: forse tre va già bene, l'importante è che sia un sistema preciso e affidabile.
Freni?
Vorrei provare i freni a disco perchè i V-Brake della mia bici attuale sono efficaci, sì, ma di instabile regolazione.
Regolare i freni non è banale, ma si impara.
Ma che la regolazione sia duratura non è scontato e, nel mio caso, devo costantemente registrare il freno posteriore.
Tuttavia, la cosa più difficile da reperire sul mercato è un buon impianto luci.
Le luci sono fondamentali, non tanto per consentire di vedere, quanto per essere visti.
La mia Hoprider 300 ha un ottimo impianto basato su una dinamo a mozzo (quindi con attrito ridottissimo e con in più il vantaggio di marciare con le luci sempre accese).
Ma non basta.
Non me ne vogliano gli efficienti legislatori della Repubblica, ma il codice della strada non può essere un patto suicida, quindi, sostengo che oltre alla luce anteriore bianca e posteriore rossa, i catarifrangenti anteriore, posteriore e laterali, siano indispensabili delle luci intermittenti.
Tra l'altro, se, da un lato, pare che siano vietati dall'altro, sui siti di varie amministrazioni pubbliche ne viene incoraggiato l'uso.
Io adopero dei modelli a batteria,  con luce intermittente bianca sul manubrio, e rossa sotto la sella.
Le batterie durano più di sei mesi con uso quotidiano.
La mia visibilità aumenta moltissimo  anche quando sono fermo ai semafori o ai passaggi a livello quando le luci a dinamo smettono di funzionare.
In più, ho un'altra lucetta simile con batteria ricaricabile via usb appesa allo zaino.
Ecco, mi piacerebbe trovare una bici in cui questo tipo di lucette intermittenti fosse alimentato sempre dalla dinamo senza doverci stare a pensare tutte le volte.
Oppure, ci sono delle luci intermittenti alimentate dalle correnti indotte generate da un sistema ad induzione magnetica in cui gli elementi attivi sono un magnete fisso ed il cerchione metallico in movimento.
Purtroppo, questi kit (siano benedette le equazioni di Maxwell) costano un occhio della testa.
E di alternative su led da collegarsi direttamente all'impianto esistente proprio non riesco a trovare traccia.
Tutto qua.
Ora, almeno fino a quando il movimento centrale della Turbinosa Mk. II resterà utilizzabile dubito molto che mi azzarderò a sostituirla (e anche in quel caso si tratta di un problema di semplice soluzione).
Quello che potrebbe farmi cambiare idea prima del tempo è la posizione di guida:
le biciclette differiscono per taglia e la scienza di adattare un telaio ad un corpo è ormai ben più che sviluppata.
Venendo da una bici modello molto base,  la Hoprider 300 mi è sembrata subito (in sede di prova di acquisto) una specie di limousine, ma non è così: il sellino è troppo arretrato e il manubrio troppo basso anche al massimo delle regolazioni rendendo la posizione di guida piuttosto scomoda dopo nemmeno un km di pedalate.
E a Matera?
Ritengo che per il bike to work sia indispensabile la pedalata assistita, a meno di casi particolari, quindi non avendone nessuna esperienza, non saprei come definirne i requisiti.

Invece, per le passeggiate, mi sa che il deragliatore anteriore è indispensabile.
Venendo completamente a mancare la necessità di andare su piste ciclabili su marciapiedi e/o dissestate, mi sa che andrebbe benissimo una bici da strada fatte salve le stesse considerazioni su freni, luci e dimensioni.
In tutti i casi: non dimentichiamo il campanello, serve fin troppo spesso un bel drin drin a spostare l'attenzione dal cellulare al volante, quindi, che sia ben squillante.
Insomma, dopo un po' di esperienza ci si accorge che una bici non è solo una bici, che una non vale l'altra, soprattutto se la usi tutti i giorni.
Ecco, ora che i miei pensieri sulla mia bici ideale sono nero su bianco, posso passare oltre e cercare un altro pensiero molesto da ridimensionare con le parole.

19 settembre 2016

Voi: gli altri.

"Dinnanzi a voi m'impegno, sul mio Onor"
Ecco il primo verso del Canto della Promessa.
E' stata scritta da Padre Jacques Sevin, fondatore degli Scouts de France nel 1920.
Certo, la Promessa AGESCI inizia invocando l'Aiuto di Dio.
Ma in ogni Cerimonia della Promessa cantiamo questo verso centrale:
Dinnanzi a voi m'impegno.
Oggi scriverò qualcosina su questo "Voi".
Ma Voi mi direte: "Cosa ce ne frega a Noi?"
E avete ragione.
Secondo il sentire comune, ci siamo già impegnati tutti molto se riusciamo a  ricordarci di un buon "Noi due".
E gli altri?
Chi sono questi altri?
E perchè il nostro privato dovrebbe essere messo a confronto con gli altri?
Nella Storia Umana la Collettività ha calpestato diritti ed aspirazioni dei singoli, finalmente l'individuo ha una tutela decente e tu ci parli degli altri?
Effettivamente, le Comunità umane non hanno mai brillato, nè in passato nè oggi, per tolleranza e accoglienza.
C'è poco da sperare che le cose migliorino.
Non sono molto interessato al pensiero degli altri rispetto alle mie azioni, sono, invece, molto interessato alle azioni degli altri nei confronti di terzi.
Io ritengo che, dato che ci viviamo in mezzo agli altri, sia controproducente ignorarli e non importa quanto buzzurri, ignoranti, criminali o stronzi siano.
Il controllo sociale può essere una cosa devastante, l'indifferenza verso la propria stessa Comunità va allo stesso passo.
Ignorare il Prossimo non fa bene a noi stessi per motivi squisitamente materiali.
Le persone ignorate, derise, disprezzate, magari perchè si vedono Sanremo, votano Berlusalvini (o il Sottosegretario Faraone), condividono su Facebook le meglio bufale e non leggono nemmeno la data di scadenza del cibo, tendono a capirlo, a sentirlo dentro e a non fare la raccolta differenziata, a non seguire il codice della strada e a spostare il proprio voto verso gente ancora peggiore.
Non è che in passato le cose andassero poi tanto meglio quando si doveva andare tutti in Chiesa, alla Festa dell'Unità o equivalente.
Solo che, quando le Comunità erano più forti, sono stati fatti maggiori progressi sociali ed economici.
Nonostante oppressione sociale eccetera eccetera
Non pensate che lo stato attuale di Crisi generale non possa anche essere ricondotto a questo nuovo modo di vivere da monade in cui nulla è sacro, stabile, vincolato ma tutto può essere cambiato precarizzando tutto eccetto la connessione ai social network?
In cui non esiste nulla, proprio nulla per cui, oltre i limiti fisiologici delle minoranze rumorose, valga la pena di combattere?
Io passo già per visionario che travia la gioventù, quindi ho ben poco da perdere se esprimo il parere che c'è un legame strettissimo tra il crollo dei matrimoni (religiosi o civili che siano e speriamo che quelli omosessuali alzino la media) e il tranquillo macello della Scuola Pubblica o i salari in voucher.
La casistica è ampia e non mi sforzerò nemmeno di riassumerla e se volete posso includerci su due piedi anche il caso burkini in cui qualcosa di sacrosanto come il diritto della singola donna è oggettivamente adoperato in maniera ostile (ma sempre legittimo) verso la Collettività ospitante.
L'Io trionfa su tutto.
Inclusa la propria sopravvivenza.
Io non ho soluzioni di ampio respiro, sia chiaro.
Agisco nel mio piccolo e non ho gli strumenti sufficienti nemmeno per inquadrare decorosamente il problema, infatti credo che la media di comprensione delle mie parole scenderà, per questo post, al di sotto del canonico 5%.
Giusto come esempio banale, certi gesti e certe tappe della vita, ritengo che debbano essere formalizzate di fronte agli altri.
Perché esistono.
Non è obbligatorio sposarsi in Chiesa, non è obbligatorio sposarsi affatto, ma una Comunità la cui trama è intessuta di legami privati e volatili potrà mai essere più efficiente di una basata su gesti pubblici e stabili?
Io non credo.
Io faccio le cose per Voi perchè voglio che ci sia un NOI.
Ci tengo a rassicurarvi: non c'è niente di altruistico in questo mio pensiero, anzi, sono profondamente egoista.
Io sono un altro per un altro.
Ma ci tengo ad essere parte un Noi.
Non noi due: noi tutti.

8 settembre 2016

Star Trek 50: anni all'avanguardia, per arrivare là ...

... Dove nessun uomo è mai giunto prima.
Oggi, Star Trek compie 50 anni dalla messa in onda della prima puntata.
Adoro da sempre Star Trek perché sempre mi ha portato dove nessun uomo è mai giunto prima.
E non mi riferisco a Stelle e Pianeti lontani.
Star Trek, sin dall'infanzia, mi ha portato in un Universo in cui non esiste il denaro, non esistono discriminazioni razziali, sessuali e di genere.
Un mondo in cui non si deve uccidere per nutrirsi, nemmeno le piante.
Un mondo assolutamente non utopico in cui il male e l'umanità convivono come ai tempi di Caino ed Abele.
Ma in cui la stupidità, l'egoismo, l'avidità e la sopraffazione sono stati parecchio limitati.
L'uomo non è mai stato dove non si uccidono gli animali per avere una bistecca, non è mai stato dove sesso e colore della pelle non sono attributi significativi dell'individuo.
Gli italiani, poi, di sicuro, non sono mai stati dove non esiste la povertà e la malattia non è una condanna sociale, dove la disoccupazione non esiste e, in più, il lavoro non serve per mantenersi a stento ma per progredire, dove l'ignoranza è il più grave peccato e dove l'odio è un crimine (che non si sconta in carcere, tra l'altro).
Noi, semplicemente, non siamo mai stati dove Autorità e Responsabilità sono perfettamente bilanciati.
Per non parlare delle facili battute su un posto dove ingegneri programmatori scienziati e medici contano più degli avvocati...
Adoro Star Trek, in due parole, perchè è il luogo della mente in cui le nostre debolezze umane ci sono tutte ma nessuno è lasciato solo a fronteggiarle.