27 agosto 2019

Gli ultimi soldati del Re

E come parlerò di questo triste romanzo che ho divorato in qualche pomeriggio d'Agosto?
Triste nella sua purezza fuori fase, triste nella coscienza della damnatio memoriae a cui questi ragazzini che fecero così tanto sono condannati senza appello.
L'autobiografia romanzata di due anni di guerra del 23 enne (nel 1945) sottotenente Eugenio Corti ci trasporta non solo in un tempo lontano, ma in una dimensione parallela a quella della narrazione mainstream di ciò che accadde in Italia dopo la caduta del Fascismo e l'ignominiosa fuga del re che abbandonò il Regio Esercito (e milioni di civili inermi) al suo destino di disfatta, morte e imprigionamento nei lager.
Si sa: gli Alleati che avanzavano lentamente da Sud, i Tedeschi coi loro fantocci fascisti a Nord, assieme ai Partigiani che li contrastavano.
Quello che non si sa è che anche alcune unità dell'Esercito Italiano parteciparono alla Guerra di Liberazione.
Sono loro "Gli ultimi soldati del re" a cui fa riferimento il titolo.
Ho già trattato altrove le implicazioni negative di questa frattura tra i liberatori d'Italia, voglio, ora, concentrarmi sul romanzo.
Corti descrive le offensive a cui ha partecipato al comando della sua unità di artiglieria, le mortificazioni di una burocrazia ottusa passata indenne attraverso la disfatta, l'ospitalità e la gioia dei contadini liberati, l'indifferenza degli abitanti delle città, ma, soprattutto, le sofferenze di soldati giovanissimi, consci già allora di andare a morire senza speranza di ringraziamento o riconoscimento alcuno.
Eppure andavano all'assalto, prima coi residuati bellici e poi con le armi alleate.
Andavano all'assalto laceri come durante la Ritirata di Russia, comandati da ufficiali superiori che non erano certo migliorati in sagacia tattica, ma affiancati, ad esempio, dai polacchi al cui sacrificio l'Italia deve tanto.
I polacchi che si fecero ammazzare perchè speravano che gli fosse concesso, dopo Milano di marciare fino a Varsavia.
I polacchi che reimportarono lo scoutismo.
I polacchi che difendevano Corti e i suoi commilitoni dagli insulti e dallo scherno degli stessi civili italiani che  non capivano come si potesse ancora far parte dell'Esercito.
I polacchi consolati da Corti alla notizia dei tragici fatti della rivolta di Varsavia 
Corti attraversa l'Italia liberata più volte vivendone le miserie e assistendo impotente allo sfacelo materiale e morale e alle sofferenze subìte dalla popolazione civile.
Narra con precisione l'angoscia ed il dolore di dover usare i cannoni su città e paesi pieni di civili.
Il linguaggio può sembrare un po' antiquato mentre di sicuro sono ormai desuete le romanticherie dei tempi.
Ma è attualissima la ricerca di un uomo giovane, colmo di fede e di coraggio in egual misura, caricato della responsabilità di vita e morte di soldati ancor più giovani, che si interroga sul senso di essere scampato alla Ritirata di Russia per tornare a combattere quando il 99% dei suoi concittadini si erano orgogliosamente imboscati.
E nemmeno la fine della Guerra, che per lui e per l'Italia non era certo una vittoria, riesce a dargli pace.
Non è un romanzo semplice, ma è un romanzo necessario.
Necessario alla ricostruzione, alla riconciliazione, all'analisi di ciò che è stato perchè non accada più.
Corti si interroga sul senso della Storia e delle proprie azioni. Nel marzo del 1945, mentre torna in Linea, è chiaro a tutti che è questione di settimane prima che la Guerra finisca.
Ma, allora, perchè andare? Perchè rischiare?









Piccola nota di riflessione.
Ho conosciuto le gesta dell'Esercito Cobelligerante in primis attraverso il bel libro di Alfio Caruso "In Cerca di Una Patria" che racconta la storia di questi uomini.
Nello scrivere questa recensione ho ripreso in mano il volume di Caruso e sono andato a spulciare nella (breve: meno di 30 voci) bibliografia e nell'indice dei nomi.
Non c'è traccia nè di Eugenio Corti nè del suo romanzo.
Data la specificità del tema è una assenza piuttosto pesante.
Un po' come parlare dell'Olocausto degli Ebrei italiani senza mai citare Primo Levi o, per restare in tema, della Ritirata di Russia senza citare Il Sergente nella Neve o Centomila Gavette di Ghiaccio.
Si può fare, certo. 
Ma perchè?

26 agosto 2019

una passeggiata nella Piazza di Piccianello



Nato a Piccianello, cresciuto a Serra Rifusa, residente al Pilastro.
Questa potrebbe essere la mia autobiografia domiciliare minima.
Ho deciso di scrivere due righe in merito perchè, durante queste ferie materane di Luglio, ho trascorso parecchie ore liete a Piccianello, un quartiere di Matera.
Passeggiare per il quartiere dove sono nato è una specie di campo minato dei ricordi, tra i flash della prima infanzia e quelli più nitidi dell'età adulta.
Ricordo la luce delle mattine di Settembre, tornando in Littorina da Torino, con il lungo viaggio che si concludeva 'alla Piazza di Piccianello' nel dissolversi della bruma mattutina.
Facevo la spesa con mia madre e tornavo finalmente a casa accompagnando alla valigia le verdure e la frutta fresca di stagione.
Oppure le prime visite alla sede Scout, di fianco alla Chiesa.
Anni dopo,  la Piazza del mercato è stata spostata al confine con San Pardo, proprio sopra la Discesa di San Vito.
All'inizio mi sembrava che si fosse perso qualcosa, invece era solo diventato tutto più comodo e moderno: non è in quel trasloco che si è perso qualcosa.
Secondo me Piccianello e la sua Piazza del Mercato sono uno dei pochi bei posti della Matera Urbana.





Devastate le perifierie, gentrizzato il centro, espropriati i Sassi, cosa rimane?
A camminare per il mio quartiere, Serra Rifusa, mi sento a disagio.
Non c'è un marciapiede sano, l'immondizia è ovunque, pochi, se non rari, i passanti.
Alla Piazza di Piccianello, invece, no.
La Piazza di Piccianello è una delle ultime ridotte di Matera.
Pochi i turisti, (anche se io ormai dovrei inserirmi nella categoria), prezzi normali, atmosfera da piccola città del Sud e non da succursale di Venezia.
E' rilassante camminare tra le bancarelle, ma anche affacciarsi su via Marconi e sostare sul sagrato della Chiesa.
Al mattino presto la Piazza di Piccianello è tutta un profumo, ognuno può trovare il suo.




A me piace quello del Pane e della verdura bagnata, condito dal vociare incessante proprio di un mercato all'aperto.
E mi piace osservare il continuo via vai di chi compra quei frutti della terra, sapendo che non sono articoli da supermercato ma che arrivano dalle campagne dei dintorni, da Montescaglioso, da Pomarico, da Metaponto.
La Piazza di Piccianello non è una specie di riserva indiana per materani, ma un' oasi in un tessuto urbano desertificato. 
E' un luogo vivo e vitale, pulito, moderno.
Lì ci sono il Birrificio, la Bottega del Vicinato, il Nocellaio.
Ho trascorso parecchie ore liete, lì, dicevo. 
Meglio averne cura.
Ah, proprio per certificare la materanità più pura del luogo, su tutto domina il sarcofago dell'industria alimentare materana: i silos dell'Ex stabilimento Barilla: dove non c'è industria, per troppi, non c'è casa.




12 agosto 2019

Una Proposta per il Partito Democratico

Il #partitodemocratico si prepara per la #crisidigoverno secondo il suo peggio. Ho un modesto suggerimento. Va dove ti porta il cuore, dico io






4 agosto 2019

Uno Sette, di Hideo Yokoyama: il Giappone visto da dentro

Il mio viaggio di nozze in Giappone mi ha portato in un Paese paradisiaco.
Per un turista ...
Il Giappone è un paese di una complessità difficile da apprezzare e gestire in quindici giorni di viaggio e non basta certo essere un consumatore di manga/anime/letteratura/film dall'adolescenza per potersi ritenere sufficientemente competenti sul paese dei Ciliegi in fiore.
Ecco perchè divoro con avidità tutti i pochi romanzi scritti per il pubblico giapponese che riesco a reperire.
Scordatevi Murakami (che amo).
Nei romanzi di Hideo tutte le sfumature della società giapponese sono parte della trama.
Avreste mai pensato che l'anzianità di assunzione in un posto di lavoro sia un fattore rilevante nei rapporti tra colleghi anni dopo l'inizio del lavoro?
O che  il far parte di uno stesso club aziendale consenta di bypassare certe formalità burocratiche tra i membri di quel club?
Uno Sette è un romanzo in cui non succede gran che.
Prendendo spunto ad un fatto realmente accaduto (l'incidente del Volo Japan Airlines 123) Hideo ci porta dentro una redazione di un quotidiano di provincia e ne descrive minuziosamente il funzionamento.
Uno Sette è un romanzo coinvolgente a patto di amare il Giappone e di avere qualche rudimento sul funzionamento della sua società.
Non è un giallo, non è un thriller, non è un romanzo occidentale.
E' un pezzo di Giappone tradotto in italiano.
Se cercate altro passate oltre ;)