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30 aprile 2022

Churchill, di Andrew Roberts



Alla fine dell'anno scorso ho letto la biografia di Wiston Churchill di Andrew Roberts.

E' un'opera monumentale nelle dimensioni (oltre 1400 pagine), nel peso, nel dettaglio dei contenuti, nell'enormità della vita descritta.

Nel 2008 è stato fatto un sondaggio tra 3000 giovani inglesi.

Il 20% di loro riteneva che Churchill fosse un personaggio di fantasia. 

Il 47% di loro riteneva che Sherlock Holmes fosse un personaggio reale.

Tra l'80% di quelli che all'esistenza di Churchill credono, una buona parte ritiene che le sue statue vadano prima imbrattate e poi rimosse.

E a sentire i pacifinti è colpa sua se c'è stata la Seconda Guerra Mondiale: se non si fosse opposto a Hitler non sarebbe successo nulla di male dopo l'invasione della Polonia.

Churchill è stato uno dei più grandi statisti del '900.

Padre della Lunga Pace, ha sconfitto il nazismo e ha dato all'Europa tre generazioni di prosperità e pace.

Se dovessi riassumere la sua vita credo che sarebbe sufficiente.

Consiglio la lettura di quest'opera.

Ai pacifinti raccomando di cominciare da un sussidiario della scuola primaria.



21 settembre 2014

qualcuno disse no, qualcuno sa dire solo sì: Il Popolo che disse No, di Bo Lidegaard

Ho appena finito di leggere "Il Popolo che disse No" di Bo Lidegaard.
Racconta di come la Danimarca salvò la propria popolazione ebraica dallo steriminio nazista.
La Danimarca era stata occupata il 9 Aprile 1940 dai tedeschi e, data la disparità di forze, i danesi avevano preferito non opporre alcuna resistenza.
In cambio, la Germania non trattò la Danimarca come gli altri paesi occupati.
Il libro non è, come si dice, di scorrevole ed avvincente lettura, ma, appunto, non è letteratura da treno.
E' un racconto accurato, da un lato, della sorte di alcune migliaia di persone che si salvarono fuggendo in Svezia, dall'altro, del peculiare fenomeno per cui la consueta sequenza di azioni messe in atto dai nazisti contro gli ebrei, ossia discriminazione, segregazione, deportazione, sterminio, in Danimarca non funzionò affatto.
"Con che diritto venite qui?" Chiese, semplicemente, un bibliotecario alla Gestapo che stava saccheggiando i suoi registri per cercarvi gli ebrei.
E l'uomo della Gestapo rispose: "Con il diritto del più forte", al che il bibliotecario "Non è un buon diritto".
Nel mondo del bibliotecario, gli ebrei non esistevano. 
Esistevano i Danesi, uomini, donne, alti, bassi, religiosi e atei, tutti, però, membri della Nazione Danese, democratica e prospera.
"Con che diritto venite qui?" Non è una domanda banale, perchè nel mondo civile delle democrazie occidentali il diritto del più forte equivale a nessun diritto.
Per i Danesi, essere complici delle deportazioni ebraiche equivaleva ad un suicidio.
Equivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione e distruzione.
Perchè, ripeto, non esistevano gli ebrei danesi, solo i danesi. 
Acconsentire che un danese venisse perseguitato quivaleva ad acconsentire alla propria stessa persecuzione.
C'è una leggenda secondo cui il Re Cristiano di Danimarca, di fronte alla pretesa tedesca di imporre la stella di Davide agli ebrei (la fase uno dello sterminio, la discriminazione per Legge), si sarebbe presentato in pubblico con la stella di Davide addosso.
E' un episodio apocrifo, mentre è vero che quando gli dissero che i tedeschi avrebbero preteso di applicare tale 'legge', rispose, effettivamente: "Beh, allora ci toccherà indossarla tutti".
I tedeschi consideravano la Danimarca come un prototipo di Nuova Europa: un paese ariano, prospero, pacificamente asservito alla Germania e non avevano nessun interesse a turbare questo equilibrio in cui i danesi non resistevano e i tedeschi non opprimevano (troppo).
Di questo i dirigenti danesi erano perettamente consapevoli.
E non consideravano affatto possibile che accadesse in Danimarca quello che era successo nel resto d'Europa.
Sapevano che la Germania era lì a due passi e bisognava farci i conti.
E basavano i loro calcoli sulla ragionevolezza delle pretese tedesche.
Così, quando la furia nazista si abbattè sui danesi che, ai soli occhi nazisti erano 'diversi', a tutti i danesi fu chiaro che ad occuparli non era la Germania, ma 'un regime violento di criminali che non meritavano il minimo credito'.
L'opposizione danese al nazismo, quindi, non fu semplcemente un'opposizione armata di una sparuta minoranza, come in Italia.
Fu l'opposizione di un intero popolo che raggiunse il suo scopo: meno dell'1% della popolazione ebraica della Danimarca finì tra le grinfie dei Nazisti, il resto fu messo al sicuro dai soccorritori danesi in Svezia.
E voi, cari lettori, potreste attribuire all'elevatissimo grado di prosperità sociale della Danimarca il comportamento dei suoi cittadini.
Peccato che non vi sia alcuna correlazione diretta tra il dire no ai nazisti e la prosperità di un popolo.
In Olanda, un'altra ricca nazione occupata di cui i tedeschi consideravano perfettamente ariani gli abitanti, ben il 71% della popolazione ebraica fu sterminata, quasi centomila vite umane.
E vi fu un altro popolo che disse No.
In cui la percentuale di ebrei uccisa fu pari a zero.
Quello bulgaro.
Di certo non ricco come quello danese od olandese.
Ecco, quando parlate di Palestina, date un pensiero ai vostri bisnonni e a dove ci hanno portati tutti i loro Sì.
E a tutti i Sì che l'italica gente grida a gran voce ogni giorno.

27 agosto 2012

Il giardino delle bestie

"Di questi tempi, in Germania, ci sarebbe quasi da augurarsi di essere un cavallo".
Così scriveva, nel suo diario, il 5 Agosto del 1934, l'ambasciatore Americano a Berlino, William Dood.
Nato povero, aveva guadagnato col lavoro la sua posizione sociale diventando professore  universitario e supremo storico del 'Vecchio Sud'.
Roosvelt lo inviò in Germania, come ambasciatore, perchè incarnava lo spirito americano dell'epoca: pace, lavoro, rispetto per tutte le culture, razze e religioni.
Inoltre, in gioventù, Dood aveva vissuto e studiato a Lipsia (La città di Martin Bora) e apprezzava la cultura tedesca.
Il giardino delle bestie è un saggio che racconta il suo primo anno in Germania.
L'anno dell'ascesa di Hitler, l'anno della notte dei lunghi coltelli.
Giunto in Germania speranzoso di poter effettuare un'azione moderatrice sul nuovo regime nazista, in un primo momento si ritrova un entusiasta ammiratore del clima di rinascita costruito dai nazisti.
Berlino è splendida, i tedeschi sono dinamici, colti, educati ed è un piacere passeggiare con loro, discorrendo, nel Tiergarten, l'immenso parco nel centro di Berlino.
Tiergarten, il giardino degli animali, ossia, delle bestie.
Larson è abile nell'incanalare la narrazione con scrupoloso rispetto di fatti date e fonti storiche rendendo la lettura simile a quella di un romanzo piuttosto che di un saggio.
L'ambasciatore Dood piano piano apre gli occhi sulla realtà della Germania nazista.
Anche la figlia dell'ambasciatore, una bella e giovane divorziata, inizia la permanenza tedesca infatuandosi degli splendori e degli agi dell'ambiente diplomatico.
Ma, pian piano, la paura dell'onnipresente potenza della Gestapo, delle SA e delle SS penetra fino al cuore dell'ambasciata USA.
Dood è coraggioso, inizia a trattare i nazisti con fermezza, protesta per le aggressioni ai cittadini americani ed agli ebrei, ma in patria solo Roosvelt lo sostiene.
Il Dipartimento di Stato, fondamentalmente antisemita (ah, se qualcuno si prendesse la briga di studiare la nascita ed i primi 20 anni dello stato di Israele nei suoi rapporti con gli USA, quante cretinate in meno si leggerebbero) lo osteggia.
Dood insiste per vivere del suo stipendio e per evitare sprechi, proprio negli anni in cui gli USA affrontano la depressione e la siccità che avrebbe ispirato Steinbeck a scrivere "Furore". 
I suoi sottoposti, invece, vivono nel lusso.
Per i ricchi gentilemen di Washington, Dood è un provinciale fuori posto.
Non gli credono quando denuncia le atrocità naziste.
Se la ridono delle persecuzioni ebraiche.
Per loro la missione di Dood è semplice: convincere Hitler ad onorare i debiti con le banche USA.
"Facci ridare i soldi, Will, sei lì per quello, non per evitare guerre o salvare dalla forca qualche ebreuccio"
Il finale della storia è noto.
La Germania degli anni 30 era disarmata e debole, ma le potenze occidentali, in nome di una singolare "Pace per il nostro tempo" le permisero un massiccio riarmo e la costruzione della più potente macchina bellica della storia moderna, la Wehrmacht.
I nazisti accumularono atrocità su atrocità nel loro stesso paese, dimostrando a tutti già nel 1934 cosa avrebbero fatto in seguito.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro e non per le informazioni e lo stile o il valore letterario.
Ve lo consiglio perchè voglio condividere con altri un po' della mia angoscia, nel riconoscere come del tutto possibile la ripetizione di eventi simili in questo momento storico.
"Di questi tempi, in Germania, ci sarebbe quasi da augurarsi di essere un cavallo" 
Scriveva l'ambasciatore.
Perchè i tedeschi del 1934 vedevano i cani nei cani. E i cavalli nei cavalli. Li amavano, ne avevano compassione e nessuno li maltrattava.
Ma avevano dimenticato come riconoscere l'uomo nell'uomo.
Anni ed anni di parole d'odio iniettate nei cervelli da tutti i media hanno grandemente contribuito a quello che poi fu.
Una divisione di SS non si costruisce solo con cannoni, carri tigre, corpi di uomo ed uniformi.
Bisogna parlare agli uomini, prima.
Con parole d'odio.
E la Storia dimostra che le parole d'odio funzionano.