20 dicembre 2017

1987 - 2017 - parte seconda: Trent'anni di Scoutismo

Ho promesso al mio fraterno amico Luciano di regalargli il più proverbiale pippone logorroico sui miei Trent'anni di Scoutismo.
Ho pensato a lungo, per anni, sul significato ultimo di questa esperienza.
Una esperienza che ha un valore e consistenza diversa ad ogni età, anche nelle impercettibili differenze di ogni giorno che passa da adulti.
Quindi:


Ieri



Quello che ho vissuto da esploratore non è lo stesso che ho vissuto, poi, da Rover, giovane Capo, Capo Brevettato e, oggi, Padre.
Il mio primo ricordo scout risale all'infanzia.
Una visita alla sede scout di Piccianello assieme a mio Padre, anche lui Scout e Capo che quest'anno di anni di Scoutismo ne festeggia 60.
Dovevo avere non più di 4 anni perchè all'epoca abitavo in Via Istria in cui ho vissuto, appunto, fino alla fine del 1978.
Ricordo una luce calda ed una bevanda dolce in quel seminterrato pieno di cose strane ed affollato di 'grandi' vestiti tutti uguali.
Pareti ricoperte da cartelloni, lavori in legno, cordini intrecciati in maniera complicata.
Poi, il ricordo si sposta al mio ingresso in Reparto.
Il Reparto Sagittario aveva sede in un grosso garage/scantinato e le prime settimane non sono certo state idilliache: ci volle tempo per inserirmi.
Ma, una volta ingranata la quarta, non mi sono più fermato.
Molto semplicemente, lo scoutismo si incastrava perfettamente con la mia persona.
Gli anni di Reparto sono passati in un lampo.
Ricordo molto, ho dimenticato di più.
Quegli autobus di ritorno dai Campi, nel tramonto infuocato nel cuore della Lucania. Chi se li scorda quei momenti, ripetuti ed unici, con il Paradiso alle spalle e la realtà di fronte.
Nel mio caso, va analizzato il contesto: giovanotto di buona famiglia che vive in un quartiere dormitorio di una povera città del Sud.
Il Reparto è stato un porto sicuro ma non una scatola di bambagia. 
Le squadriglie maschili non corrispondono allo stereotipo tipo Qui Quo Qua / Giovani Marmotte.
Non c'è parlar forbito nè particolare affetto fraterno, all'inizio.
Anzi, visto che ci siamo, sgombriamo subito il campo da un piacevole luogo comune:
gli scout non sono il paradiso terrestre e dentro gli scout non si costruiscono sempre e per forza relazioni idilliache. L'amicizia alla "Stand By Me (o Stranger Things, per usare un paragone più moderno) si esaurisce spesso con l'adolescenza.
Da questo punto di vista, per me, lo scoutismo non ha rappresentato un qualcosa di completamente positivo, anzi, più alte erano le speranze e le aspettative più alte sono state, nel tempo, le delusioni e le disillusioni su un piano strettamente umano.
Nonostante tutto ritengo che una esperienza scout o paragonabile sia fondamentale per l'educazione di un giovane.
Non sto dicendo che sia impossibile farne di equivalenti altrove (si pensi, ad esempio, al caso Islanda in cui le attività extrascolastiche offerte a tutti i giovani hanno dato clamorosi risultati in termini di diminuzione di abuso di sostanze ed innalzamento della qualità della vita).
Lo studio di uno strumento musicale, una attività tipo teatro assieme ad una seria attività sportiva possono dare ottimi risultati.
Sto dicendo che una educazione grosso modo equivalente quella scout è parecchio onerosa se fatta privatamente.
I miei primi Otto anni di scoutismo sono stati densi di doni.
L'opportunità di riconoscere i talenti.
E il tempo dei Capi.
Le Persone, scoprirle tutte.
Le ragazze, fin da subito ragazze e mai oggetti.
Ricordo perfettamente il costante spaesamento, alle superiori, di fronte a linguaggi e a valori che non mi appartenevano. 
Per almeno due anni non sono riuscito a capire di cosa parlassero i miei compagni di classe.
Ecco, niente di tutto questo è mai successo nel Reparto e nel Clan.
Che valenza pratica ha avuto lo scoutismo nella mia educazione?
Mah, difficile dare una risposta univoca.
Per esempio, non sono mai riuscito ad imparare a suonare la chitarra ad orecchio: anche oggi senza accordi manco il Kamaludu...
Di contro, sono un discreto cuoco, un discreto infermiere, un discreto campeggiatore e me la cavo piuttosto bene con carta topografica e bussola.
Sarebbe presuntuoso definirmi un team leader, ma sono senz'altro un discreto team manager, nel senso che mi è rimasto l'imprinting di gestire le situazioni valorizzando il meglio di ognuno e questo è molto apprezzato in ambito lavorativo (E quando ho fatto la mia campagna elettorale, beh, è stata organizzata come una specie di Impresa di Squadriglia).
A livello emotivo lo scoutismo ha curato molti mali, ma ha anche lasciato una indelebile traccia positivista ed utopica che non sempre mi è stata utile:
l'idea di far parte di un gruppo di persone positive, costruttive, bravi ragazzi che sarebbero rimasti uniti fino a spazzar via un bel mucchio di monnezza dalle vite di chi ci stava accanto, beh, questo non lo metterei proprio col segno '+' di default.
Perchè l'idealismo non mi ha proprio avvantaggiato, nella vita.
La pausa universitaria ha piantato un chiodo di nostalgia nel mio cuore, tant'è che, laureato a Marzo, a Maggio ero già di nuovo sulla Pista.


Oggi



In questi anni lo scoutismo ha aumentato la sua importanza sociale.
Di molto.
Ma non perchè i Capi siano decuplicati o siano diventati più bravi.
E' tutto il resto del tessuto sociale che è rimasto indietro.
Ormai in certe periferie, troppe, ci siamo solo noi scout.
Spero che siano in pochi, tra i miei lettori, ad immaginare il sollievo che fin troppi ragazzini devono provare quando varcano la soglia della Quercia, della Tana, della Sede.
Lì non ci sono professori amareggiati, genitori divorziati, bulli, ansiolitici e povertà.
Non ci sono cellulari da desiderare, vuoto da riempire, cose da dimostrare.
C'è un sorriso, qualcuno che ascolta invece di dirti cosa fare.
Non c'è giudizio, ma confronto.
Non ci sono casermoni di periferia e squallide fermate di autobus vandalizzate, dentro le Sedi, ma calore e colori.
Chi altro è in grado di portare questo sollievo?
In tanti, è vero, non siamo presuntuosi. Ma non per così molti.
L'Agesci è una associazione molto efficace nel raggiungere i suoi obiettivi.
E' sempre meno efficiente (per raggiungere gli stessi risultati degli anni '80 servono, ormai, almeno il triplo delle ore/uomo).
Ed è certo che esistano delle realtà di volontariato specializzate ancora più efficaci, ma qui parliamo di quasi duecentomila persone (150mila ragazzi), che non si adagiano mai sugli allori.
Il mio rientro in Servizio, quindi, mi ha visto acerbo ma consapevole di altre realtà sociali, economiche e di Servizio.
Ho incontrato la povertà, la violenza, la disperazione post terremoto, la solitudine e soprattutto il desiderio di ascolto.
La necessità di un adulto che ascolti, che non ordini, che non si nasconda dietro un cellulare.
Io sono tutt'altro che perfetto e sono piuttosto sicuro di essere parecchio incoerente, ma non è poi troppo difficile mantenersi coerenti nel Servizio, cosa che non è semplicemente utile ai ragazzi, è consolatorio, rassicurante: l'Isola che non c'è non solo esiste ma è anche abitata.
Ecco perchè, tra Politica, Ambiente, Software Libero e Cicloattivismo, ad esempio, ho scelto lo Scoutismo.
La mia tessera Agesci ha bollini quasi ininterrottamente dal 2004 (e il primo della tessera da 'adulto' è del 1995).
Ormai, gli anni da Capo hanno superato quelli da Esploratore e Rover.
E', questo, il tempo di Comprendere, non di essere compreso.
Chi legge queste pagine sa che non risparmio all'Agesci nessuna critica per ogni minima imperfezione, ma quando si tratta di tirare le somme dubito che ci siano realtà più efficaci dello scoutismo nell'obiettivo di aiutare bambini, ragazzi e giovani adulti a realizzarsi nella felicità.
E, facendo polemica, ci riesce proprio perchè ci sono degli spaccamaroni a cui non piace la deriva tipo #buonascuola sul metodo, gli ossimori sulla formazione e le sforbiciate allo scouting e non si limitano a fare spallucce e fregarsene.
Come i ciclisti, anche gli scout sono malvisti dai più e per le stesse identiche ragioni.
L'ignoranza (e l'invidia?) porta a guardare con sospetto i "bambini vestiti da cretini guidati da cretini eccetera".
L'uniforme è presa a garanzie di simpatie militariste, la spiritualità (uso questo termine per includere tutti gli scout) è vista come un letale mix di ingenuità e bigotteria.
Ma è innegabilmente oggettivo che, negli ultimi 40 anni, l'Agesci è stata parte delle Soluzioni.
E' una palestra di educazione civica ed ambientale, una scuola di tolleranza ed un potente vaccino collettivo contro l'arroganza da italiano medio, il fascismo (e anche l'antisemitismo) che dilaga tra la gioventù.
E' un luogo di cultura e non solo di scarponi e zaini.
E' davvero uno dei Pilastri della Chiesa, quella giovane, che agisce più di quanto parli.
Il Cattolicesimo che vive nelle Sedi Scout non è mai di maniera: o c'è, nel sentire e nelle azioni di ragazzi e capi, o non c'è, anche quando siamo tutti schierati a parata.
In Agesci si legge, si scrive, si fa musica, teatro, 
E anche per quanto riguarda la famigerata questione di genere, l'Agesci è una realtà in cui la parità tra i sessi è completa e consolidata.
Non esiste, appunto, una questione di genere in Agesci: una ragazza di vent'anni appena entrata in Comunità Capi sarà corresponsabile esattamente come un vecchio elefante con brevetto e anzianità.
In Agesci argomentazioni tipo:
  • Sono più anziano;
  • Ho un livello di formazione superiore;
  • Ho un'esperienza molto maggiore alla tua 
Non hanno significato, soprattutto nel rapporto tra uomini e donne.
La nostra Diarchia funziona in maniera da dare un esempio concreto di collaborazione tra i sessi impostata a tutti i livelli: dal più piccolo Lupetto/Coccinella al Rover sul punto di concludere il suo percorso Scout tutti si trovano di fronte non il tradizionale paternalismo italico ma qualcosa che, forse, non c'è nemmeno in Scandinavia: la parità senza quote, la parità come collaborazione, la parità come naturalezza della complementarità tra Uomo e Donna.
Ogni bambina, ragazza, giovane donna, troverà nel suo percorso solo l'assoluta parità e complementarietà tra i suoi capi: una donna ed un uomo, non l'una o l'altro, ma entrambi assieme alla guida della Comunità.
Gli scout si mettono in cerchio perchè nessuno resti fuori e tutti possano guardarsi in faccia e questo modo di fare si conserva nel tempo.
Anche il mondo del Lavoro si è accorto delle potenzialità dello scoutismo e con colpevole ritardo, direi:
Ma pensateci un po' due minuti:
quale giovane donna/uomo di poco più di vent'anni ha come referenze la comprovata capacità di gestire la logistica di un campo scout?
Parliamo di trovare alloggio ad una cinquantina di persone, calcolare i fabbisogni di acqua, spaghetti, pane, latte, uova, detersivi, sapone, disinfettante.
Saper gestire  latrine, sicurezza, logistica, coordinamento con le autorità, permessi e normative, programmare al minuto 7-10 giornate di una quarantina di bambini o ragazzi , oh, francamente, ho incontrato ben pochi manager aziendali dotati di una capacità gestionale anche solo paragonabile.
Il mio essere Capo ha queste origini.
Oggi sono a mezzo servizio:
non posso partecipare ai campi e riesco a stento a star dietro agli impegni ordinari di Branca.
Ma la messe è troppa e ogni chicco una Vita.



Domani

Io non so per quanto reggerò.
Perchè, purtroppo, i numeri dimostrano inconfutabilmente che il ruolo di Capo in Agesci è INsostenibile, come le fonti di energia basate su combustibili fossili.
A Giugno completerò il mio quarto anno come Aiuto Capo Cerchio, poi si vedrà.
Ma voglio pensare seriamente al futuro del mio Servizio e a quello della mia amata Agesci.
Purtroppo, dati alla mano, la permanenza media di un Capo in Co.Ca. è inferiore al tempo medio necessario per ottenere la Nomina a Capo.
Questo significa, tanto per cominciare, che un sacco di unità sono condotte da Capi senza formazione completa.
Il che non è poi così grave come potrebbe sembrare.
Purtroppo, si va diffondendo un'idea dello scoutismo simil #buonascuola, ma ne ho già parlato abbondantemente in passato e non mi dilungherò.
Prima o poi ci si stanca di un servizio emotivamente e fisicamente così impegnativo?
No, secondo me ci si stanca degli extra e degli optional.
Ma è una mia opinione.
I numeri, anche quelli straottimistici pubblicati recentemente sulla stampa associativa Emiliana, sono catastrofici:
Il Servizio medio di un Capo dura meno di 4 anni e mezzo.
E ne servono 6, sempre in media, per diventare Capi Brevettati.
Ripeto: non mi voglio lanciare in analisi perchè non è questo lo scopo di questa mia riflessione.
Ammesso e non concesso che fosse passabile un paragone tra un Gruppo Scout ed una Scuola, bisogna schiaffarsi in testa che il ruolo del Capo non sarebbe quello dell'insegnante, ma quello del bidello o dell'autista dello scuolabus.
Lo Scoutismo non va avanti per grazia dei Capi splendidi e formati, ma perchè è un metodo educativo naturale, nel senso letterale del termine.
E a me piacerebbe che sempre più ragazzi avessero l'opportunità di crescervi dentro.
Al momento non è possibile e in molte realtà le liste d'attesa sono una dolorosa necessità.
E' vero, lasciare fuori  da una Comunità Cristiana qualcuno non è bellissimo.
Se ci sono bambini/ragazzi che vogliono fare scoutismo e non è possibile accoglierli perchè rischioso (fisicamente) ed irragionevole andare oltre certi numeri io credo che la soluzione sia nella sostenibilità del Servizio di Capo:
l'unico modo per allargare il cerchio è rendere il Servizio Sostenibile senza impantanarsi sui singoli segmenti dei vari problemi (sì, la formazione pensata per insegnanti degli anni '80 è un problema ma non è l'unico) ma ragionando a tutto tondo sullo Scoutismo per il XXI Secolo: formazione, programmazione, attenzione ai singoli e taglio degli sprechi di risorse.
Aevoglia a scrivere, su Proposta Educativa, articoli ecumenici sull'uso del tempo razionale, sulla necessità di non abusare delle energie dei capi... tanto due pagine dopo si trovano sempre nemmeno troppo velati inviti a gettare il cuore oltre l'ostacolo perchè se non ce la fai vuol dire che non ti azzecca e sei pigro e poco motivato: è colpa tua, Capo, che non ti formi e se dopo 5 anni ti sei stancato di avere al più 7 sere libere al mese vuol dire che non ami abbastanza lo scoutismo.
Ecco, sarebbe anche il caso di piantarla anche perchè ne va della qualità del Servizio: un Capo che non vive la quotidianità al di fuori delle Sedi e dell'ufficio e non ha altri interessi intacca gravemente la propria Testimonianza ed efficacia.
Non abbiamo bisogno di persone disposte a stare in sede ad libitum ma di gente che sa lavorare, ha piacere ad andare al Cinema, ai concerti, passare un week end con famiglia ed amici in un museo e che non sia solo il felice abitante dell'Isola che non c'è.
Insomma, alla fine, trent'anni dopo, penso sempre, dopo una riunione, che forse dovrei insegnare alle bambine la furbizia e la sopraffazione e non a dire tutti quegli 'eccomi'.
Ma queste bambine devono imparare a resistere: alla violenza, al neofascismo, al sessismo, allo stupro dell'ambiente, alla demolizione della Coesione Sociale e alla strumentalizzazione della Fede.
Penso che gli 'Alti' Ideali che ho inseguito da giovane e che sembrano il leitmotiv associativo sono troppo alti.
Il Pensare Alto non fa per me.
Da Ingegnere aerospaziale vi garantisco che troppo in alto manca l'ossigeno e si pensa male a quello che resta a Terra.
Sopra una certa quota volano solo i Palloni Gonfiati e nessuno di loro raggiungerà mai le Stelle.
Penso che, se qegli Alti Ideali si sono dimostrati futili pretesti per la vuota autoconservazione di certa classe dirigente del BelPaese, i Valori dello Scoutismo mi sono rimasti appicciati addosso anche quando mi sarebbe stato comodo lavermeli via di dosso.
Penso che se un giovane cattolico omosessuale ha speranza di accoglienza piena e completa ce l'ha tra i suoi fratelli scout e non perchè siamo migliori, ma solo dannatamente abituati chiudere quel benedetto cerchio e a non lasciare fuori nessuno.
Penso che, alla fine, quello che conta è mettersi l'uniforme tutti i sabati, sorridere e cantare e concentrarsi per decifrare ogni sorriso, ascoltare ogni "Bill, lo sai che..." come se fosse la più preziosa delle rivelazioni.
Penso che bisogna riflettere molto, molto, trarne conclusioni che non stonino rispetto a Scouting for Boys e lasciarsi alle spalle ansie, aziendalismo e grafici di produttività, indicatori e altre cose più adatte all'industria che alla Strada.
Lo scoutismo mi ha accompagnato per gran parte della mia Vita e solo con molta razionalità astratta posso accettare che prima o poi me ne dovrò andare in pensione.
E' già abbastanza difficile immaginare di dover lasciare le Coccinelle, seppur per il bellissimo Reparto o per il magico Clan.
Poi, oh! Alla fine, qua si semina gioia e tanto basti.

Canzone del giorno: Eirene.

7 dicembre 2017

La soluzione finale: tornare alle origini del conflitto Arabo Israeliano

Sono molti anni che penso a questo problema gigantesco.
La recente mossa di Trump di sicuro non è prudente, è davvero molto rischiosa ma, di certo, non rientra nel campo delle eccezioni dell'ambito del Conflitto Arabo Israeliano.
Il conflitto interno all'Islam sunnita si sovrappone al conflitto interno all'Islam tra sciiti e sunniti e fa da sfondo, cornice e compagnia alla faida tra ebrei ed arabi.
Come già detto più volte, ritengo poco costruttivo sia fare il tifo sia preoccuparsi di quello che dovrebbero/potrebbero fare gli altri.
Ecco, ancora una volta, pensiamo a quello che dovremmo fare NOI.
Io penso che la questione sarà chiusa da chi l'ha aperta.
La responsabilità è, ovviamente, maggiormente della Germania.
E, a seguire, l'Italia.
Ma sono molte altre le nazioni europee che hanno responsabilità in merito.
L'antisemitismo francese e polacco, le sciagurate promesse del governo britannico.
E cent'anni dopo eccoci qua.
Un popolo oppresso, un altro costantemente minacciato di genocidio e olocausto nucleare.
Non ci sarà Pace finchè non prevarrà una visione realistica ma anche storica del conflitto.
Non ci sarà Pace senza assunzione di Responsabilità.
L'Olocausto è stato un affaire europeo.
Siamo stati noi Europei a creare quella situazione (che i pacifinti invece attribuiscono agli americani, con un errore storico paragonabile a definire Napoleone una gentildonna di corte Scozzese)
Io ritengo che la Pace arriverà solo quando agli israeliani verrà fornita una garanzia credibile da parte dei paesi europei responsabili.
Una garanzia non condizionata ad eventi futuri, ma immediata, continuativa.
Israele non deve più essere messo in condizioni di usare la violenza per difendersi.
Perchè, se ancor prima che questo accordo di pace entri in vigore si dovrà ricostruire il sistema infrastrutturale palestinese (scuole, strade, acquedotti e ospedali), poi, ad ogni azione di violenza (inevitabile) contro gli israeliani dovrà registrare la reazione automatica di questa forza di garanzia.
Sia contro i terroristi che contro gli stati genocidi, in primis l'Iran.
Lo ripeterò fino alla risoluzione del problema. Anche se siete antisemit.. ehm, antisionisti e amate tanto i Palestinesi almeno quanto odiate i sionisti, l'Iran non farà distinzione tra grano e pula quando si verrà ai fatti: i preti sciiti odiano molto gli ebrei ma non amano nemmeno un po' quelli che considerano eretici e pure deboli: i Palestinesi.



L'atomica Iraniana risolverebbe, sì, la questione Palestinese ma non come pensate voi antisionisti.
La mossa di Trump è, probabilmente, solo altra benzina sul fuoco ma potrebbe (per caso, non per calcolo) anche capuitare di spegnere il fuoco con il fuoco.
A un certo punto si deve uscire dal pantano, magari uscirne sotto l'onda d'urto di una esplosione non è proprio intelligente e bisogna vedere se si ricadrà su terreno asciutto o nelle sabbie mobili.
Tra l'altro, Putin si è affrettato a seguire le orme del Presidente USA.
Singolare, no?
Ma è tutto un sanguinoso gioco delle parti: nè russi nè americani nè cinesi possono risolvere il problema, ma solo sfruttarlo a proprio vantaggio.
Spetta agli Europei risolverlo perchè è nel loro DNA l'origine del male.
Ecco, forse, perchè perdura da cent'anni: gli Europei non esistono e non possono fare quello che dovrebbero.

5 dicembre 2017

La Linea Maginot e poi Dunkerque: un gommone di speranza

La recente vicenda del gommone inserito nel Presepe di Castenaso mi spinge a lasciare qualche appunto, soprattutto a me stesso, per futura memoria.
Il Papa, tre anni fa, ne aveva regalato uno a Lampedusa.
Ma, niente. 
Lo stesso: scandalo e discordia.
Ecco, io non ho nulla da dire, davvero, sui e contro i contestatori, presbiteri inclusi.
E ho davvero poco da dire anche sul resto.
Matteo ci trasmette il pensiero di Gesù piuttosto chiaramente: " Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi."
Ma i nostri si sono nascosti per cento anni dietro la Linea Maginot delle discriminazioni di genere, intestarditi a combattere immaginari peccati sessuali, andando all'assalto frontale in difesa di una inesistente morale sessuale.
E adesso ci troviamo spiazzati, no?
Con le truppe che non sono addestrate a combattere questo nemico, con armi inadatte a difendere il gregge da questi nuovi terrori.
E così non resta che Dunkerque: la sconfitta.
La sconfitta di un Popolo che si ritiene cristiano e che si scopre tutt'un tratto senza identià alcuna: nè di Comunità (altrimenti le cose non andrebbero tanto male a livello politico), nè di intenti.
Tanto meno di Fede.
Chi credevate cristiani, nel voto, nella frequentazione dei Luoghi di Culto, beh, cristiani non vogliono più esserlo, di fronte a quel gommone.
Una volta sfondata la Linea Maginot, c'è Dunkerque, seppur non intesa come fuga.
Ma come speranza.
Se in quei gommoni c'è il Cristo, forse, la via dell'accoglienza non consiste nel facilitare lo sbarco.
Ma nel navigare tutti insieme, da Dunkerque, città della Sconfitta, come Castenaso, fino alle terre libere.
Non è che dobbiamo accogliere chi scende da quei gommoni: ci dobbiamo salire tutti. 
E salvarci tutti assieme in Cristo, non in Castenaso, Bologna, Italia, Europa.

PS: sarebbe utile smetterla con la caccia alle streghe su chi sparge fluidi corporei diversi da lacrime e sangue, no?