E come parlerò di questo triste romanzo che ho divorato in qualche pomeriggio d'Agosto?
Triste nella sua purezza fuori fase, triste nella coscienza della damnatio memoriae a cui questi ragazzini che fecero così tanto sono condannati senza appello.
L'autobiografia romanzata di due anni di guerra del 23 enne (nel 1945) sottotenente Eugenio Corti ci trasporta non solo in un tempo lontano, ma in una dimensione parallela a quella della narrazione mainstream di ciò che accadde in Italia dopo la caduta del Fascismo e l'ignominiosa fuga del re che abbandonò il Regio Esercito (e milioni di civili inermi) al suo destino di disfatta, morte e imprigionamento nei lager.
Si sa: gli Alleati che avanzavano lentamente da Sud, i Tedeschi coi loro fantocci fascisti a Nord, assieme ai Partigiani che li contrastavano.
Quello che non si sa è che anche alcune unità dell'Esercito Italiano parteciparono alla Guerra di Liberazione.
Sono loro "Gli ultimi soldati del re" a cui fa riferimento il titolo.
Ho già trattato altrove le implicazioni negative di questa frattura tra i liberatori d'Italia, voglio, ora, concentrarmi sul romanzo.
Corti descrive le offensive a cui ha partecipato al comando della sua unità di artiglieria, le mortificazioni di una burocrazia ottusa passata indenne attraverso la disfatta, l'ospitalità e la gioia dei contadini liberati, l'indifferenza degli abitanti delle città, ma, soprattutto, le sofferenze di soldati giovanissimi, consci già allora di andare a morire senza speranza di ringraziamento o riconoscimento alcuno.
Eppure andavano all'assalto, prima coi residuati bellici e poi con le armi alleate.
Andavano all'assalto laceri come durante la Ritirata di Russia, comandati da ufficiali superiori che non erano certo migliorati in sagacia tattica, ma affiancati, ad esempio, dai polacchi al cui sacrificio l'Italia deve tanto.
I polacchi che si fecero ammazzare perchè speravano che gli fosse concesso, dopo Milano di marciare fino a Varsavia.
I polacchi che reimportarono lo scoutismo.
I polacchi che difendevano Corti e i suoi commilitoni dagli insulti e dallo scherno degli stessi civili italiani che non capivano come si potesse ancora far parte dell'Esercito.
I polacchi consolati da Corti alla notizia dei tragici fatti della rivolta di Varsavia
Corti attraversa l'Italia liberata più volte vivendone le miserie e assistendo impotente allo sfacelo materiale e morale e alle sofferenze subìte dalla popolazione civile.
Narra con precisione l'angoscia ed il dolore di dover usare i cannoni su città e paesi pieni di civili.
Il linguaggio può sembrare un po' antiquato mentre di sicuro sono ormai desuete le romanticherie dei tempi.
Ma è attualissima la ricerca di un uomo giovane, colmo di fede e di coraggio in egual misura, caricato della responsabilità di vita e morte di soldati ancor più giovani, che si interroga sul senso di essere scampato alla Ritirata di Russia per tornare a combattere quando il 99% dei suoi concittadini si erano orgogliosamente imboscati.
E nemmeno la fine della Guerra, che per lui e per l'Italia non era certo una vittoria, riesce a dargli pace.
Non è un romanzo semplice, ma è un romanzo necessario.
Necessario alla ricostruzione, alla riconciliazione, all'analisi di ciò che è stato perchè non accada più.
Corti si interroga sul senso della Storia e delle proprie azioni. Nel marzo del 1945, mentre torna in Linea, è chiaro a tutti che è questione di settimane prima che la Guerra finisca.
Ma, allora, perchè andare? Perchè rischiare?
Si sa: gli Alleati che avanzavano lentamente da Sud, i Tedeschi coi loro fantocci fascisti a Nord, assieme ai Partigiani che li contrastavano.
Quello che non si sa è che anche alcune unità dell'Esercito Italiano parteciparono alla Guerra di Liberazione.
Sono loro "Gli ultimi soldati del re" a cui fa riferimento il titolo.
Ho già trattato altrove le implicazioni negative di questa frattura tra i liberatori d'Italia, voglio, ora, concentrarmi sul romanzo.
Corti descrive le offensive a cui ha partecipato al comando della sua unità di artiglieria, le mortificazioni di una burocrazia ottusa passata indenne attraverso la disfatta, l'ospitalità e la gioia dei contadini liberati, l'indifferenza degli abitanti delle città, ma, soprattutto, le sofferenze di soldati giovanissimi, consci già allora di andare a morire senza speranza di ringraziamento o riconoscimento alcuno.
Eppure andavano all'assalto, prima coi residuati bellici e poi con le armi alleate.
Andavano all'assalto laceri come durante la Ritirata di Russia, comandati da ufficiali superiori che non erano certo migliorati in sagacia tattica, ma affiancati, ad esempio, dai polacchi al cui sacrificio l'Italia deve tanto.
I polacchi che si fecero ammazzare perchè speravano che gli fosse concesso, dopo Milano di marciare fino a Varsavia.
I polacchi che reimportarono lo scoutismo.
I polacchi che difendevano Corti e i suoi commilitoni dagli insulti e dallo scherno degli stessi civili italiani che non capivano come si potesse ancora far parte dell'Esercito.
I polacchi consolati da Corti alla notizia dei tragici fatti della rivolta di Varsavia
Corti attraversa l'Italia liberata più volte vivendone le miserie e assistendo impotente allo sfacelo materiale e morale e alle sofferenze subìte dalla popolazione civile.
Narra con precisione l'angoscia ed il dolore di dover usare i cannoni su città e paesi pieni di civili.
Il linguaggio può sembrare un po' antiquato mentre di sicuro sono ormai desuete le romanticherie dei tempi.
Ma è attualissima la ricerca di un uomo giovane, colmo di fede e di coraggio in egual misura, caricato della responsabilità di vita e morte di soldati ancor più giovani, che si interroga sul senso di essere scampato alla Ritirata di Russia per tornare a combattere quando il 99% dei suoi concittadini si erano orgogliosamente imboscati.
E nemmeno la fine della Guerra, che per lui e per l'Italia non era certo una vittoria, riesce a dargli pace.
Non è un romanzo semplice, ma è un romanzo necessario.
Necessario alla ricostruzione, alla riconciliazione, all'analisi di ciò che è stato perchè non accada più.
Corti si interroga sul senso della Storia e delle proprie azioni. Nel marzo del 1945, mentre torna in Linea, è chiaro a tutti che è questione di settimane prima che la Guerra finisca.
Ma, allora, perchè andare? Perchè rischiare?
Piccola nota di riflessione.
Ho conosciuto le gesta dell'Esercito Cobelligerante in primis attraverso il bel libro di Alfio Caruso "In Cerca di Una Patria" che racconta la storia di questi uomini.
Nello scrivere questa recensione ho ripreso in mano il volume di Caruso e sono andato a spulciare nella (breve: meno di 30 voci) bibliografia e nell'indice dei nomi.
Non c'è traccia nè di Eugenio Corti nè del suo romanzo.
Data la specificità del tema è una assenza piuttosto pesante.
Un po' come parlare dell'Olocausto degli Ebrei italiani senza mai citare Primo Levi o, per restare in tema, della Ritirata di Russia senza citare Il Sergente nella Neve o Centomila Gavette di Ghiaccio.
Si può fare, certo.
Ma perchè?