Le righe che seguono sono ispirate dalla lettura dell'opera dell'Ing. Giulio Cesare Valdonio: Frecce, Saette, Folgori e Veltri: storia critica dei caccia italiani della Seconda Guerra Mondiale, Edizioni Rivista Aeronautica.
Ragionaiamo subito sull'editore: l'Aeronautica Militare Italiana.
Dato che il contenuto del testo non è proprio lusinghiero nei confronti dell'organizzazione che l'ha preceduta nel tempo (La Regia Aeronautica fondata dal governo fascista) registriamo una concreta presa di distanza dall'aeronautica fascista.
Bene!
L'opera dell'Ing. Valdonio è semplicemente monumentale e analizza genesi, progettazione, collaudi e produzione dei velivoli da caccia italiani costruiti sotto il Fascismo.
Le analisi sono accurate e l'autore si mantiene in un sentiero di rigore scientifico lasciando ben poco all'interpretazione personale.
Tuttavia non ci si deve attendere un elenco di dati tecnici e relativi riferimenti storici.
L'opera è appassionante e si ha sempre voglia di leggere una pagina in più.
Come un giallo.
Già, perchè dietro i diagrammi, i disegni tecnici e le fotografie ci sono molte vittime.
E, in maniera pur asettica, l'Ing. Valdonio indica a viso aperto mandanti ed esecutori materiali.
Ho molto apprezzato l'opera anche per un egoistico puntiglio di soddisfazione: nel testo ho trovato piena conferma alle mie velenose considerazioni di qualche anno fa a seguito di una mia visita al Museo Storico dell'Aeronautica Militare di Vigna di Valle sul lago di Bracciano.
L'aeronautica fascista fu la meno capace delle tre forze armate (contende il primato con la Regia Marina le cui corazzate riuscirono a mettere in tutta la guerra solo 7 colpi a segno sulle navi nemiche), incapace di difendere il territorio nazionale dai bombardamenti alleati sin dai primi giorni di guerra, anche quando aveva la superiorità numerica sugli avversari.
Ovviamente l'incapacità bellica non è sinonimo di vigliaccheria dei piloti e di incompetenza dei tecnici.
Proprio il contrario: provateci voi ad affrontare in piena coscienza un nemico superiore di numero, superiore per qualità degli aerei, superiore per organizzazione tattica, in due contro venti, armati di mitragliatrici contro cannoni, su velivoli più lenti e meno protetti di quelli degli avversari.
Eppure la Regia Aeronautica stupì il mondo a forza di record e imprese memorabili e si comportò benissimo durante la Guerra di Spagna.
Come mai pochi anni dopo i risultati contro le pur inizialmente modeste forze alleate (i moderni Sptifires inglesi arrivarono tardi nel Mediterraneo) furono così disastrosi?
La genesi della catastrofe è sagacemente descritta dall'Autore in una commistione (diciamocelo pure: molto probabilmente interessata) tra industria e gerarchie politiche e militari.
Possiamo elencare alcuni di questi fatti:
Prima di tutto la Regia Aeronautica non aveva le idee chiare (ma questo è giusto: era o non era l'Arma fascistissima?) ed emetteva regolarmente requisiti errati (ma come, il teorico della guerra aerea poi attuata dagli alleati non era il Generale Italiano Giulio Douhet?).
Il caccia deve essere veloce ma col tettuccio aperto, deve arrampicarsi ad alta quota in un battibaleno ma può essere anche lento (il concorso del 1936 prescriveva una salita a 6000m in 4 minuti e tenete presente che il superlativo spitfire ne impiegava 9, ma una velocità massima praticamente da biplano: 450km/h). Di radio, cannoni e serbatoi autosigillanti poi se ne fa tranquillamente a meno.
Poi, le industrie strappavano contratti in cui era retribuito in pratica il numero di ore lavorate per singolo aereo: va da sè che c'era pochissimo incentivo a produrre 10 aerei al giorno quando si guadagnava di più a produrne 10 al mese...
Incredibili, poi le arretratezze tecniche imposte dalla necessità di tutelare i processi produttivi esistenti: nonostante fosseri note tecniche di calcolo delle strutture aeronautiche di tipo moderno molti degli aerei italiani erano progettati e costruiti secondo criteri di vent'anni prima con strutture in tubi saldati invece che a semiguscio con un aggravio di pesi, costi e tempi di produzione in cambio di una maggiore debolezza strutturale. I profili alari erano costruiti a senso invece che usando i profili NACA e non si faceva nessuno sforzo per facilitare la produzione in serie.
Quasi sconosciuta la radio ricetrasmittente (Guglielmo Marconi forse era Sovietico?): il coordinamento sia da terra che tra piloti era, pertanto, praticamente nullo.
E le armi? Due misere mitragliatrici mentre il nemico ne aveva minimo 4 e spesso accompagnate da cannoni a tiro rapido.
Senza entrare nel dettaglio tecnico, quindi, i velivoli italiani erano costruiti PEGGIO non solo di quelli avversari, ma PEGGIO di come l'industria italiana avrebbe saputo costruirli.
L'aeronautica fascista mandava in battaglia piloti formidabili (ma senza addestramento alle tattiche moderne) e coraggiosi a bordo di aerei che avrebbe potuto serenamente equipaggiare molto meglio.
Riporto un ultimo esempio: il caccia FIAT CR-42 (rifacendomi al mio precedente post):
era un biplano che volò dopo il Caccia monoplano MC200 (che aveva vinto il concorso per il nuovo caccia del 1936).
Era antiquato prima ancora di lasciare il tavolo di disegno, decrepito ancora prima del volo di collaudo, un dinosauro.
Eppure alla FIAT la Regia Aeronautica "fascistissima" ne ordinò 1800 esemplari mentre dei ben più validi MC200 prima ed MC202 poi, si superò a stento una produzione di un migliaio di esemplari.
La produzione aeronautica inglese, nel 1939, era praticamente pari a quella italiana.
Nel giro di 2 anni gli inglesi ci surclassavano Dieci ad Uno.
E anche i migliori caccia italiani di seconda e terza generazione, con tutti i loro pregi e difetti, furono semplicemente sommersi dal numero.
PS:
Per gli interessati suggerisco di recuperare su ebay una copia di questo testo di Giuseppe D'Avanzo:
E, alla fine della fiere, c'è poco da girarci intorno: più un'organizzazione è fascista meno è efficace ed efficiente.
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