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24 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA

 



«Tutto bene bambina?»

Era il saluto di prammatica di papà.

Aspettò educatamente che il Clan finisse l’ultimo cerchio e le foto di rito sul marciapiede della stazione FAL di Matera. Poi, incurante delle mie proteste, prese il mio zaino ma io glie lo tolsi di dosso e lo abbracciai stretto, serenamente ricambiata sempre nello stesso modo da quasi vent’anni.

Un bacio sulla fronte conclude la cerimonia.

Per uno Scout di ritorno da un campo, la prima doccia a casa rappresenta un rituale mistico dai concreti risvolti fisiologici.

Con la porta del bagno chiusa alle spalle mi lanciai in uno spogliarello supersonico subito dopo aver aperto l’acqua calda.

Via gli scarponi, via i calzettoni blu, la camicia, la maglietta, reggiseno e mutandine, via l’elastico dai capelli e di corsa sotto l’acqua ancora fredda.

Finalmente!

E dopo i vestiti via il sudore incrostato di polvere, via l’unto dai capelli, via lo sporco accumulato dentro tutte le pieghe orifizi ed affini, sollievo alle croste, alle punture di insetto, alla pelle segnata ed arrossata dalle cinghie dello zaino, ai piedi vessati da una settimana di scarponi.

Via quel residuo di un piccolo miracolo di serenità e gioia pagato anche da  quei segni sulla pelle.

Restai sotto la doccia almeno mezz’ora, finchè la pelle delle dita non si raggrinzì.

Scrutai nello specchio appannato per vedere se c’ero ancora.

Già, sono sempre io, la vergine di ferro.

Una ragazza alta, con un corpo flessuoso, snello e con una perfetta forma a clessidra che ondeggia su gambe lunghe dalle cosce ben tornite da dieci anni di nuoto ma con tratti del viso marcatamente sproporzionati.

La classica bella scopata con il cuscino in faccia.

Me lo dico da sola dopo averlo sentito fin dalle scuole medie.

Dovrei esserci abituata tanto da non soffrirne più ma non è così.

Lo guardo tutte le volte il mio nasone, tutte le volte che sono davanti allo specchio.

Lo guardo coi miei occhi piccoli e un po’ porcini.

Li conto ad uno ad uno i miei incisivi da cavalla perché potrebbero essere dodici tanto son larghi.

Anche in quel momento in cui avrei avuto altro da controllare.

Le spalle erano segnate dalle cinghie dello zaino.

Avevo una puntura di zanzara proprio tra i seni: un gigantesco brufolo, fastidioso ad ogni respiro.

Esibivo una abbronzatura da muratore: bianca fino a metà polpaccio, quasi nera fino a mezza coscia, bianca fino alle spalle e scura sugli avambracci.

Le gambe erano coperte di graffi, entrambe le ginocchia sbucciate e le zanzare avevano banchettato a sciami sulle mie cosce.

Pensai a cosa mettermi per la pizza di Clan.

Un Burqa?

Mia madre avrebbe apprezzato.

‘Finirò per morire di caldo in una camicetta e jeans, già me lo sento’.

Ma avevo  una questione più urgente.

Dovevo depilarmi per bene tra le gambe.

E’ più di una settimana che non lo faccio e i risultati si vedono. E devo anche fare in fretta, avevo promesso una foto entro pranzo di oggi’.


«Marta, manco sei arrivata e già ti appiccichi al computer?»

Mia madre non gradì il mio scapicollarmi davanti al mio vecchio portatile dopo la doccia.

«Almeno ti potresti degnare di mettere quegli stracci schifosi in lavatrice invece di lasciarli lì per terra».

La ignorai, tattica pericolosa ma di gran lunga meno pericolosa che risponderle.

Del resto, avevo bisogno solo di pochi minuti.

Il mio Notebook dell’epoca era vecchiotto, un Compaq Armada M700,  ma ero riuscita ad aggiornarlo con tanta RAM di seconda e terza mano.

Debian 2, quindi, partì in fretta.

Meno di due minuti dopo ero collegata alla mia identità segreta.

Scaricai le foto dal cellulare, le cancellai dal telefono (lo so, non è una modalità sicura ma andavo maledettamente fretta) e me le ritrovai sul desktop.

Con la solita scossa elettrica che mi parte dal basso ventre, passa dallo stomaco ai capezzoli diretta poi al cervello, feci login al mio account katamail segreto.

«Cavolo, non mi ha scritto… Durante tutta la settimana non mi ha scritto nemmeno una riga».

Cercai la sua ultima mail:

«Voglio un po’ di tue foto nuda appena torni a casa, entro mezzogiorno del 30 agosto. Mi raccomando, niente ritardi, niente peli»

Sono le 11:57.

Clicca su ‘rispondi’ e poi allega le foto.

L’upload della connessione 56k faceva cagare ma erano solo 4 immagini scattate dal mio vecchissimo cellulare con fotocamera da zero virgola megapixel.

Invio.

Ore 11.58

Le urla di mia madre superarono in volume il livello di guardia.

Spensi il notebook e mi precipitai fuori dalla stanza.


«Sempre tutto in disordine, te ne freghi della tua famiglia e non fai altro che perdere tempo, è un disastro continuo»

La destinataria di questi apprezzamenti ero io, Marta Montemurro, M & Menns per i compagni di classe.

Alta 1,83, quinta di reggiseno, naso formato proboscide, appena maturata con cento e lode al  Liceo Scientifico Statale «Dante Alighieri», Lupetta, Guida, Scolta nel locale Gruppo Scout Agesci Matera 5, vergine (e no, non il segno zodiacale: sono dei pesci), media del 9 da sempre, mai una nota a scuola, mai un ritardo, mai un filone, mai tornata a casa da una festa dopo mezzanotte e attualmente iscritta al test di ingresso per l’accesso al corso di Laurea in Ingegneria Informatica del Politecnico di Torino.

La nostra Marta, per esempio, pulisce il bagno tutte le domeniche dalla terza elementare (un impegno iniziato per una qualche faccenda di Lupetta), passa regolarmente la domenica pomeriggio a studiare (dato che il sabato è sempre stato per gli scout) e non ha mai avuto un fidanzatino.

Non beve, non fuma e si è anche pagata la patente, il cellulare e l’upgrade del portatile facendo la promoter del latte al supermercato. Cosa che ho potuto fare solo grazie all’intercessione ferma di mio padre, perché, se no, ‘vestita da zoccola con le cosce di fuori’  nella quasi casta uniforme aziendale, non sarei potuta andare nemmeno lì.

Certo, non sono tutto ‘sto concentrato di perfezione.

Passo troppo tempo a giocare ai videogames. Pirata, ovviamente.

Sono affetta da una scomoda parafilia che maschero senza problemi ma che mi sbrana dentro.

Chissà cosa ne direbbe la mamma che mi da il tormento per una ciocca di capelli fuori posto, la camicia dell’uniforme lasciata per cinque minuti di troppo sul pavimento o perché «non ci si siede sul letto» manco fossimo nella caserma del Sergente Hartman, cosa ne penserebbe delle mie fantasie sessuali o delle fotografie che spero bene stiano piacendo molto a chi dico io.

Nella mia tenuta di brava ragazza di famiglia, capelli annodati con un semplice elastico, maglietta bianca e pantaloncini ricavati da un vecchio jeans (ma con cui non posso andare nemmeno a buttare l’immondizia perché sono troppo corti) me ne stavo ad ascoltare le lamentele di mia madre dopo otto giorni passati fuori casa.

Per distrarmi dalla sua voce e dalla mia che mi urlava nel cervello di andare a cliccare compulsivamente sul tasto ‘controlla la posta’ per vedere se e cosa mi era stato risposto, mi concentrai sul cibo.

Mia madre aveva cucinato un pranzo un po’ speciale: calzone, spaghetti con le vongole, pesce fritto. Dopotutto era domenica, mancavo da casa da 8 giorni e la settimana successiva sarei partita per Torino.

Era un vero peccato che le sue parole mi chiudessero così lo stomaco.

Feci appello a tutti i buoni propositi maturati in route e, forse, fu proprio la carica di energia positiva che accumulata in quella settimana zaino in spalla sui monti abruzzesi a darmi la forza di non reagire come al solito e a tentare di smussare la lite che mia madre cercava, ormai palesemente, da quando avevo messo piede in casa.

Raffaele, ne sono sicuro, sarebbe già arrivato in un attimo al nocciolo della questione, cosa che io ho fatto solo anni dopo: mia madre era semplicemente terrorizzata per la mia partenza e reagiva così: torturandomi.

Ancora una settimana, ancora una settimana, ancora una settimana!

Per evitare di complicare la situazione, anche se avrei voluto scappare a dormire e scappare a controllare la posta in egual misura, mi misi a sparecchiare.

Mia madre è tutt’ora contraria alla lavastoviglie (che hanno) e se ne sbatte del suo minore impatto ambientale rispetto a dover lavare con detersivo e tanta tanta acqua la montagna di padelle usata per cucinare il calzone, la pasta e la frittura di pesce.

Ma mi lamento, tutt’ora,  a vuoto.





Eravamo in tre in cucina e, dopo tutto, in meno di mezz’ora la stanza era pronta per una visita reale.

Mia madre mi diede, a malincuore, il permesso di andare ‘a perdere tempo’.

Di come sia andata la route, di cosa abbia provato in questi ultimi giorni non le importava nulla.

Ovviamente, appena in camera, mi fiondai sul computer: c’era risposta.





SEGUE