6 aprile 2014

3:32 Sei Aprile 2009 #5annidopo

Cinque anni.
Cifra tonda.
Sono passati cinque anni da quel tragico giorno.
Se mi guardo indietro, purtroppo, non vedo che macerie.
Non sono più tornato all'Aquila.
Non ho più avuto contatti con la gente di Tempèra.
Nè con gran parte degli altri soccorritori.
All'Aquila so che ci sono ancora macerie.
Macerie per strada, macerie nelle vite delle migliaia di sfollati, esiliati, macerie in un'Italia peggiore di quella di cinque anni fa.
Macerie nelle nostre vite che si sono ritrovate  su strade inimmaginabili in quei giorni.
Non è raro che io pensi alla mia esperienza lì, nella tendopoli a pochi giorni dalla catastrofe.
Non è raro che ripensi a quella Messa di Pasqua di cinque anni fa, in una tenda bianca sporca di sofferenza.
Eppure non riesco a collocare quell'esperienza nella mia Vita con precisione.
Sono andato in Abruzzo perchè non sopportavo l'idea di un me stesso inerte ed indifferente.
E non sono più sicuro che fosse un buon motivo.
L'Italia non ha saputo ricostruire L'Aquila.
Gli italiani che sono andati lì a soccorrere altri italiani hanno fatto bene o male?
Hanno contrbuito ad una Solidarietà Umana di qualche tipo o ad una cosmesi sociale di livello ben più basso?
Ricordo la prima notte a Tempèra.
Avete presente il cambio gomme dei gran premi di Formula 1?
Invece che monoposto, su quel piazzale di terra battuta illuminato a giorno dalle fotoelettriche si alternavano, veloci, tir e camion scaricati a tempo di record dai team della Protezione Civile.
Un impegno formidabile.
Quella notte sentivo fondata la speranza che alla devastazione si sarebbe presto posto rimedio.
Non era più l'Italia delle eterne ricostruzioni del sisma dell'80.
Ma le macerie sono ancora lì.
Siami partiti, abbiamo lavorato, condiviso, siamo tornati.
Cosa resta di quegli otto giorni? Qualche foto ed un attestato di benemerenza.
Persone e cose sono rimaste lì, sotto le tende azzurre, incapaci di spostarsi dal mio ricordo ad un vissuto quotidiano di relazione.
Nel corso degli anni i miei sentimenti sono mutati.
Appena tornato sentivo preponderante la forza dell'esperienza vista e vissuta come Servizio.
Oggi, invece, è lo sconcerto per l'apparente futilità di quei giorni a prevalere.
Uso il termine apparente in maniera soggettiva.
Se non ci fossi andato cosa sarebbe cambiato?
Qualcun altro avrebbe ascoltato e distribuito scarpe e viveri.
Qualcun altro avrebbe dato le sue braccia e le sue orecchie.
Ma io non sono il miglior giudice di questa vicenda.
E chi lo è?
Mi fiderei del giudizio di Marco se lui avesse voglia di darne.
Cinque anni fa esisteva una bella città tra le montagne.
E nella mia memoria è un cumulo di macerie abbagliate dal blu dei lampeggianti.
C'erano persone, ma le ho perse.
E se tornassi lì ritroverei le sole macerie.
Non mie, non loro, ma di una Nazione Intera.

1 aprile 2014

Wild Turkey


Ho amato Istanbul, la seconda volta.
Una città ospitale e mistica.
Abitata da gente sorridente, allegra, efficiente.
Potrei ricordare tanti episodi, di allegria, sapore, colori.
Il venditore di tappeti, con cui abbiamo intavolato una trattativa allo zio paperone condita da "Mamma litaliani!" vari e durante la quale non è stato troppo doloroso farsi fregare.
L'impossibilità di parlare inglese in una Città in cui tutti gli addetti al turismo parlano Italiano.
Il the pagato 20 centesimi in un mercato privo di turisti.
E un signore gentile, da cui ho acquistato il mio attuale portafoglio, che, di fronte all'immancabile tazza di the, mi diceva, anni fa: "Putin, Berlusconi ed Erdogan: mafiosi e basta" In un italiano quasi privo di accento.
Ricordo il negozio colmo di colori caldi dei lavorati in pelle, il profumo di menta e kebab e gli occhi tristi di un uomo disilluso.
Il primo ed unico turco che non mi aveva dato l'impressione di una straripante vitalità.
Il portiere dell'albergo ci prendeva in giro per la tirchieria e Berlusconi.
Il cameriere del ristorantino a cui ci eravamo affezionati non aveva che sorrisi per premiare la nostra fedeltà.
Un anziano custode di una moschea di pietra, piccola e lontana dai circuiti turistici, che ci offre acqua fresca circondato dai suoi gatti, mentre l'improvviso silenzio, un dono di Allah, ci inebriava il cuore a due passi dal caos del traffico.
Una piccola counità di cristiani (tra cui una ragazza iraniana che ci ha consigliato un ristorante iraniano spettacolare... Ehm, sapete com'è, a buona tavola prima di tutto...
Ho amato Istanbul, ma Istanbul non è la Turchia.
La Turchia è un'Anatolia aspra in cui il dogma laico di Ataturk è ormai agonizzante.
La Turchia trasmette in televisioni video di cantanti bellissime e addirittura sit com sul potente esercito turco.
Ma ha un cuore di ferro dal lago di Van all'Egeo.
La Turchia delle proteste di piazza è minoritaria.
Le elezioni le vince Erdogan, nonostante la corruzione, repressione, violenza e clientelismo: forse è per quello che Istanbul mi piace tanto, mi ricorda casa...
Ma la Turchia non è Istanbul, meraviglia dell'Umanità.
E' manganellate, proiettili, bombardamenti sul Kurdistan, censura e repressione. Malaffare, corruzione, crescita economica, sperequazione, islamismo strisciante.
Poi, basta appoggiare le varie freedom flottilla che le bombe sul Kurdistan vengono dimenticate, così come i lacrimogeni gli arresti e i morti.
Ah, Turchia, che hai letto la verità e l'hai seppellita in un'urna. Il signore da cui ho comprato il mio portafoglio lo vedo ancora, sconsolato, seduto in poltrona con il the nel bicchiere di vetro sul tavolino i tek.
A subire, come me, l'azione della banda dei tre.
















16 marzo 2014

la strada verso il successo.

In Branca E/G si dà moltissima importanza all'impegno: dopotutto, gli Esploratori promettono di fare del proprio meglio, non di essere perfetti.
Fare del proprio meglio è qualcosa che ben poche persone fanno davvero, quindi sarebbe più che sufficiente limitarsi a questo.
Quando i ragazzi passano in Noviziato, però, in Primavera, gli viene proposto di partecipare al Challenge.
E' un week end in cui i ragazzi, a coppie, si mettono alla prova in una gara che non è nè sfida di sopravvienza nè una competizione contro l'altro.
Ma una sfida a se stessi.
Esiste un bellissimo manuale che approfondisce le tematiche del Challenge, potete trovarlo qui
Datevi una lettura, è davvero un bel testo.
Ecco, durante il Challenge lo Scoutismo fa un salto di qualità.
Si passa dalla sufficienza del Proprio Meglio alla necessità di conseguire un risultato.
Facciamo un esempio:
Se la prova è superare un ruscello senza bagnarsi i piedi, beh, ci sono molti modi per riuscirci ed uno solo per fallire: bagnarsi i piedi.
Ci sono molti momenti, nella Vita, in cui la differenza è nel ruscire o meno a non bagnarsi i piedi.
Ci sono molti momenti, nella Vita, in cui fare del proprio meglio è condizione necessaria ma non sufficiente a raggiungere il traguardo.
E' un'amara verità che prescinde da tutte le buone intenzioni e da tutte le utopie di cui lo Socutismo è intriso.
La prova può essere o superata o non superata.
Quindi, per quanto in apparenza il Challenge sia organizzato come una gara, nella pratica è una sfida a se stessi e non con gli altri.
Per arrivare ad una consapevolezza semplice: il successo non è un fattore da cui si possa prescindere.
Ecco, quindi, che posso guardare con sereno distacco alla mia esperienza politica passata.
E' stato fatto del proprio meglio e forse anche qualcosa di più, tuttavia il ruscello non è stato superato coi piedi asciutti.
Anzi, non è stato proprio superato, in compenso i piedi si sono bagnati.
Chi vuole riformare la Sinistra e portarla al governo del Paese, come chi si dichiara il più puro dei puri, dovrebbe confrontarsi con questa semplice realtà.
Il successo rispetto agli obiettivi sbandierati non è l'unico metro di giudizio, ma è un elemento imprescindibile.
E questo vale per Renzi come per Civati oltre, ovviamente, che per M5S, nei rispettivi ambiti d'azione.
Voglio misurare solo il successo e, per ora, sono tutti a punteggio nullo.

3 marzo 2014

Flashpoint Ukraine

Una cosa deve essere chiara: l'appeasement verso Putin deve finire.
Cecenia, Bielorussia, Georgia, Ucraina, Crimea.
Renania, Austria, Sudeti, Cecoslovacchia... Polonia.
Sequenze piuttosto inquietanti.
Che sarebbe bene interrompere.
In Crimea non è stato sparato un colpo, per fortuna, quindi l'irreparabile non è ancora accaduto e ci sono discrete probabilità che la situazione si stabilizzi in uno smembramento dell'Ucraina senza spargimento di sangue.
Dopodichè basta.
Come evidenziato dal mio precedente post, l'Unione Europea è militarmente assai superiore all'orso russo. Purtroppo, 28 gatti non fanno un leone e per ora Putin ha buon gioco di fare quello che gli pare e piace anche se il suo orso ha artigli finti e dentiera.
Non sto qui a descirver ela crisi Ucraina, ma a illustrare il bilancio delle forze in campo.
La Russia dispone di 39 brigate di combattimento, su tutto il territorio, immenso, che va dal Pacifico al Mar Nero. Meno della metà sono in Europa Orientale.
Ad oggi si hanno pochisisme notizie sulla provenienza delle truppe russe di occupazione in Crimea, probabilmente si tratta di paracadutisti ma non vi è nessuna evidenza.
Sulla carta l'Ucraina può contrapporre una dozzina di brigate, di cui è sconosciuta l'attuale consistenza numerica e la fedeltà al governo provvisorio: di certo non si potrà contar molto sulle brigate composte da una maggioranza di russi etnici,
Un'altra incognita è data dalla mobilitazione generale che l'Ucraina ha proclamato nei giorni scorsi: se fosse effettivamente portata a termine potrebbe portare l'esercito ucraino ad oltre un milione di uomini.
La mobilitazione generale è un qualcosa che ricorda più le due guerre mondiali che il XXI secolo, significa che gli ex soldati di leva tornano sotto le armi decuplicando il personale disponibile nel giro di un paio di settimane. E', se fatto seriamente, un gesto equivalente ad una dichiarazione di guerra.
Ecco, non sono molto propenso a prendere sul serio la mobilitazione ucraina, è un processo complesso, di lunga durata e che prevede almeno un minimo di partecipazione attiva da parte dei mobilitandi.
E tutto mi sembra, l'Ucraina, salvo che pronta a qualcosa di così definitivo come un'effettivo schieramento di un esercito mobilitato.
C'è ancora tempo per evitare il peggio.
Aggiornerò questo post, se è il caso, con ulteriori dati sulle forze in campo man mano che riesco a reperirli.
Nel frattempo, vi prego di riflettere su cosa avrebbe fatto Putin se sul suo confine ci fossero state 15 brigate dell'Esercito Europeo dall'Estonia alla Romania.
Io dico: Niente.

2 marzo 2014

La Sicurezza dell'Europa Occidentale: unificazione?

A che serve lo Stato?
A garantire Sicurezza e Giustizia e un po' di infrastrutture.
Ecco perchè, da italiano medio, trovo lo Stato del Bel Paese inutile e dannoso.
Ma non divaghiamo.
Avevo in mente di scrivere qualcosa di più specifico sulla sicurezza europea da molto tempo e, purtroppo, lo stimolo a completare questo lavoro è arrivato dai recenti, tragici, avvenimenti ucraini.
L'Europa spende un sacco di soldi in armi, in compenso è un nano geopolitico.
Il perchè?
Esempio banale: provate a dare un pugno (ad un cuscino eh) e a dare lo stesso colpo usando ... solo il mignolo della mano sinistra. Anzi, non lo fate perchè correte il rischio di rompervi il mignolino.
Prima di tutto la tesi:
Un Esercito Comune Europeo migliorerebbe di gran lunga la qualità della vita del mezzo milardo di abitanti dell'Unione e anche di quella dei suoi vicini.
Vediamo un po' come stanno le cose adesso.
Gran parte dei membri della UE è anche membro della NATO.
Rispetto alla fine degli anni '80 i paesi dell'UE hanno disarmato parecchio in termini di uomini e mezzi, meno in termini di bilanci. Per esempio, dove i tedeschi schieravano 12 divisioni ora ne schierano 'solo' tre.
La nostra fonte è questo preziosissimo articolo di wikipedia che mi ha risparmiato la fatica di compilare da me le varie tabelle (avevo iniziato a farlo e per fortuna ho avuto l'idea di cercare se qualcun altro avesse avuto la cortesia di compilarle per me, grazie Wikipedia).
Il mio suggerimento è di darsi una bella lettura dell'articolo che quasi rende superfluo questo post.
Le tabelle, soprattutto, svelano delle realtà interessanti.
Iniziamo dai soldi.
L'UE spende un sacco, complessivamente, quasi duecento miliardi di €.
Mantiene in armi un milione e mezzo di uomini ( di cui solo 425mila truppe di prima linea operative) dotate di qualcosa come 6500 carri armati, 46mila veicoli corazzati, più di 5mila cannoni e oltre mille lanciarazzi appoggiati da 338 elicotteri d'attacco.
Nei cieli c'è spazio per 2000 cacciabombardieri di vario tipo, la cui puntao di lancia sono 378 Typhoon, 121 Rafale, 162 Gripen 140 F18 e 393 F16 per tacere dell'anziano ma non obsoleto Tornado ancora in servizio con 312 esemplari.
Nei mari, poi, possiamo schierare oltre 500 navi di cui 4 portaerei (una 5a è in arrivo)  37 Sommergibili e 21 Sottomarini a propulsione nucleare.
Ok, ma questi numeri cosa dicono?
Nulla, presi da soli.
Beh, quasi nulla: 193 Miliardi di € dicono, 2mila caccia dicono,  6500 carri armati dicono eccome.
Qualche confronto, però, aiuta.
Gli USA spendono più di tutti: 682 Miliardi di $, seguiti dall'Europa, da Cina (166 Milardi) e Russia (90 Miliardi).
Per esempio, la Russia, cosa ci fa coi suoi 90 miliardi di $?
Per prima cosa  la Russia è la più grande nazione del mondo e molte delle sue unità sono schierate sul Pacifico ed in Asia con ben poca mobilità strategica, quindi non ci riguardano direttamente. Inoltre la spesa per il mantenimento dell'arsenale nucleare non  deve incidere poco su quella somma...
Comunque la Russia mette in campo un totale di 766mila uomini. 
La metà di quanti ne mette in campo l'Europa.
Parliamo di circa 2500 carri armati, 3200 veicoli corazzati ed oltre 4mila cannoni (oltre ad una gran quantità di sistemi contraerei).
Nei cieli ci sono 1200 caccia tutti moderni, a cui aggiungere un paio di centinaia di bombardieri (l'Europa non ne ha nessuno).
Nei mari abbiamo una portaerei, 5 incrociatori, 13 cacciatorpediniere, 13 Sottomarini lanciamissili, 21 Sottomarini d'attacco e 18 sommergibili.
Ora, diciamo che in pratica solo 2/3 di questo po' po' di roba si trova dalle parti nostre e ricordiamoci che in Russia vige la leva obbligatoria. Questo ed altri fattori (i Russi non buttano via niente, tengono in magazzino anche roba degli anni 50-80) implicano che i 1500 carri armati che la Russia ha nella sua parte Europea potrebbero diventare il doppio in poche settimane con la mobilitazione generale delle riserve.
E quindi?
Facciamoci due conti.
La potenziale minaccia Russa è, nei fatti, una frazione della potenza militare teorica complessiva dell'UE. 
Al netto della crisi ucraina, di cui spero non dover scrivere nulla, da un punto di vista militare non è quella orientale  la frontiera europea più critica.
E' il Mediterraneo, casa nostra.
La sponda sud e sudorientale dell'Ex Mare Nostrum è in fiamme.
Tra gli stati che hanno una stabilità inferiore a quello di un medio governo italiano si contano Alegeria, Tunisia, Libia, Egitto mentre in Siria, beh...
Nessuno di questi stati dispone di marine tali da impensierire quelle europee, anzi, probabilmente neppure la sola italiana. Ma dispongono di un bel mucchio di aerei, come ricordo di aver descritto qui.
Insomma, al Est la cronaca dimostra come sia presente una minaccia terrestre credibile, a Sud un'altra,  aerea.
A conti fatti, l'Europa è troppo armata rispetto alle potenziali minacce.
Soprattutto da un punto di vista delle forze di terra.
Ma è un calcolo virtuale.
Quell'impressionante totale di 6500 carri armati va diviso per 28 parti disuguali per numero, tipo, qualità e dislocazione. Idem per aerei e navi.
Le forze armate europee, infatti, non esistono.
E non esisteranno per un bel pezzo, perchè ben pochi hanno interessi a costituirle, di sicuro non i ricchi e potenti stati del Nord Europa, per miopia, nè quelli più poveri ed esposti dell'Est e del Sud, per ignoranza e ingiustificata tracotanza.
Eppure...
Un Esercito Europeo che dovesse schierare 3mila carri armati 1500 caccia e 400 navi da guerra probabilmente costerebbe ai cittadini meno della metà di quanto spendono oggi in sicurezza.
Ogni italiano spende € 338 all'anno, da paragonarsi ai 497 di  un tedesco fino ai   691 degli inglesi e 597 dei francesi. La media europea è 387.
Ecco, una difesa comune europea probabilmente farebbe scendere tale spesa più vicina ai 200 che ai 300.
Nel nostro caso probabilmente ci potremmo risparmiare una decina di miliardi di € all'anno.
Mica noccioline.
Ma c'è di più:
si sa, i soldi non sono tutto nella vita... Anche la vita stessa vale più di un paio di centinaia di € a cranio:
proprio all'Italia, vaso di coccio tra vasi di ferro, farebbe davvero comodo una vera integrazione della difesa Europea.
Siamo il paese più esposto, meno efficiente e più in crisi, avremmo tutto da guadagnare da un taglio di spesa in cambio di un incremento di sicurezza.
Per non parlare di altri piccoli vantaggi, quali l'indipendenza "amichevole" dalla protezione USA, su cui, piaccia o non piaccia (e a me non piace), si basa la nostra libertà pratica e l'inserimento di un potente elemento di stabilità: uno strumento militare in cui in ogni caserma si trovassero soldati di tutta Europa sarebbe per forza di cose uno strumento di esclusiva efficacia difensiva essendo fin troppo evidente l'impossibilità di mettere d'accordo tutti per eventuali operazioni tipo Iraq o Afghanistan.
Sogni? Utopie?
No, solo un progetto razionale di miglioramento della qualità della vita di tanta gente.
Avevo iniziato a scrivere questo articolo pensando, come esempio pratico (ispirato dall'ultimo romanzo di Tom Clancy eh, non mi prendo meriti non miei), proprio a quanto sta accadendo in queste ore in Ucraina.
Tuttavia, mi è sembrato di cattivo gusto parlar qui di combattimenti virtuali proprio mentre si sta scivolando verso quelli reali e vi risparmio parte della mia proverbiale logorrea: sulla situazione ucraina scriverò senz'altro, ma a titolo informativo e non speculativo.
Cos'altro aggiungere: vuoi vedere che dove sta fallendo l'Europa delle Banche potrebbe riuscire l'Europa della Pace?
Così la NATO va in soffitta e salviamo la Lunga Pace.






23 febbraio 2014

Buonanotte, Capofortuna!

Avevo votato per uscire dal PD e dire No a Renzi.
Per poco ho perso.
50,1% per il Sì.
Non me ne faccio un cruccio, in ogni caso non avrei rinnovato la tessera del PD.
Oggi c'era il Sole a Bologna.
Tanta gente, discorsi sensati sia per il pro che per il contro.
Io mi sarei moderatamente impegnato per un soggetto politico unitario (sel e cespugli inclusi) della Sinistra ma non vedo ragione per lavorare attivamente a favore di Renzi e D'Alema.
Certo, la posizione di Civati non mi sembra insostenibile. 
Lo è la mia.
Quindi la lascio.
Ritorno a fare azione politica come so farla meglio, se potrò appoggiare la causa della sinistra moderna lo farò a cuore aperto ma non mi sento di appoggiare il PD che appoggia Renzi  che si appoggia ad Alfano che appoggia il Caimano che appoggia, non so, un ministro delle finanze pro austerity.
Il guaio di una giornata come quella di oggi è che ti illudi.
Ti illudi che sia normale arrivare ad una sintesi tra posizioni inconciliabili, tipo No alla fiducia e fuori dal PD e Sì alla Fiducia e Dentro il PD.
Ti illudi che una stanza come quella dove sono stato stamattina sia la normalità d'Italia.
Ma un'assemblea di Civatiani che discute in italiano usando i congiuntivi senza sparare balle propagandistiche non è la regola.
E' l'eccezione.
L'Italia di Caporetto, dell'8 Settembre, del tradimento di Renzi è la regola.
Quella di Vittorio Veneto l'eccezione.
L'Italia si inoltra verso un decennio di larghe intese e a me non sta bene.
Non ce la faccio a votare questo PD.
Che poi, è tutta teoria, la mia: alle europee vedra che scoppola il nostro segretario, eppure dovrebbero averglielo spiegato bene che non puoi servire Dio e Mammona.
Quindi, niente tessera 2014 per me.
Niente voto in bianco al PD per come stanno le cose.
Denuncia delle malefatte di Renzi & soci, dito nella piaga M5S e ritorno al mio Dovere appena sarà possibile.
Caro Segretario, ti dedico questa canzoncina, buona metamorfosi in centrodestra (But not in my name).




20 febbraio 2014

La battaglia di Kiev

Anzio, Kiev, Europa.
E noi?
Quando si perdono le parole finisce sempre così


19 febbraio 2014

"Io non sono democratico con voi"

Quasi tutte le parole pronunciate da Renzi e Grillo durante l'incontro di oggi erano destinate non all'interlocutore ma ai propri fan.
Mi sembra abbastanza ragionevole affermarlo
Non sono, da tempi non sospetti, un fan nè dell'uno nè dell'altro e ho ascoltato i pochi minuti dell'incontro con la segreta speranza che facessero entrambi una bella figuraccia coi rispettivi fan.
Francamente, ho ben poco da dire sulle parole che i due signori si sono scambiati sul palcoscenico.
Il comportamento di Grillo e le battute di Renzi mi lasciano del tutto indifferente.
Ad un anno dalle Elezioni, il contributo di M5S (o del PD), che so, allo spostamento della pressione fiscale dal lavoro alle rendite da speculazione edilizia e non o a qualsivoglia altro dei problemi reali del lavoro e della società italiana,  è peggio che nullo. 
E' negativo.
Purtroppo (o per fortuna?) una sola singola frase nella caciara mi ha profondamente colpito.
Grillo che dice a Renzi "Io non sono democratico con voi".
Con voi.
Voi chi?
Beh, certo, Renzi ha appena fatto la solita italianata, magari ti può venire di dirgli che non si può considerare il massimo del comportamento.
Un momento.
Grillo non ha solo detto peste e corna del comportamento di Renzi.
Ha detto che non intende comportarsi democraticamente con 'voi'
Voi Dirigenti del PD?
Voi Renziani?
Voi non appartenenti ad M5S?
Voi non elettori del M5S?
Chi sono questi voi?
Queste domande me le sono poste nei primi due secondi.
Poi, me ne sono poste altre.
Ma non sei democratico solo con Renzi?
All'inizio te la ridi: non è democratico con Renzi!
Solo lui, magari.
Ma se non sei democratico con uno come fai ad esserlo con qualcuno?
Come si fa ad essere democratici solo a scelta?
Come si fa a sopportare che un uomo di tali responsabilità faccia un'affermazione come questa mirata anche al solo Matteo Renzi?
Cosa significa dichiarare di non essere democratico verso di te?
Che diritti ti tolgo?
Il diritto di Parola?
Questo l'abbiamo già visto in diretta.
Tu non puoi parlare.
Poi, tu non puoi passare.
Che altro ti impedirò di fare?
E quanti dei tuoi sostenitori sono disposti a seguirti in questo pensiero?
Poi, molto dopo, mi rendo conto che in quel voi potrei essere incluso io ed i miei cari.
Non c'è ragione per ritenere il contrario, dato che nè metodi, nè strumenti nè fini politici di Grillo mi trovano minimamente concorde.
Ecco come, in un pomeriggio d'inverno, si passa dal disincantato riso amaro all'indigniazione  finendo col freddo sapore dell'incredulità.
Chi decide di "non essere democratico" con te imbocca una china di cui la fine è nota.
E il brutto è proprio il percorso.
Non si può essere solo "un po'" razzisti, xenofobi, democratici o ... incinti.
Spero che non ci si meravigli se non avrò più molta simpatia per chi dichiara di non volersi comportare democraticamente con chichessia.







9 febbraio 2014

Un banchetto davanti ad una Chiesa

"Ehi, Andrea si è svegliato, ce l'ha fatta dopotutto!"
Ride una scolta additando  un rover che, più che portare la chitarra, ci si appogga a mo' di bastone per non cascare dal sonno.
Il banchetto per l'autofinanziamento è di fianco all'ingresso della Chiesa.
Dolciumi di vario tipo fanno bella mostra di sè ben allineati sul tavolo di legno coperto appena da una tovaglia non stirata.
I ragazzi si ammassano dietro il banchetto un po' per scaldarsi, un po' per formare una linea di sorrisi per accogliere le persone che vanno a Messa.
Saluto una Capofuoco intirizzita che mi racconta di quanto sia cara la partecipazione alla Route Nazionale e la necessità di non pesare sulle famiglie in questo momento così difficile.
La capisco e le dico che da Capo Clan quasi non ho avuto necessità di toccare la cassa in assenza di attività così particolari.
Ci salutiamo ed entro in Chiesa.
Capi Reparto e Capi Branco si affannano per mettere in ordine nel fantastico caos organizzato di squadriglie e sestiglie.
Le panche si riempiono giusto in tempo per l'inizio della messa ma Akela e il Capo Reparto si aggireranno tra le panche per tutta la Messa.
Quando la Messa finisce guadagno l'uscita in fretta, non voglio trovarmi imbottigliato nella calca.
Torno dai ragazzi al banchetto e compro un dolcetto e in più lascio qualche centesimo come Penny per la prossima Giornata del Pensiero.
Su Bologna, proprio in quel momento, esce il Sole.
Auguro Buona Strada ai ragazzi e torno a casa.
Ci sono molti mondi.


1 febbraio 2014

La Peste

Ho letto per due volte questo potente romanzo.
La prima molti anni fa, al liceo.
Ho il ricordo, per quella lettura, di una costruzione complessa, di un'umanità dolente, di una compassione impassibile dell'io narrante.
Una città, una malattia, la lotta degli uomini, il coraggio, le miserie.
Ho ascoltato, in queste settimane, l'audiolettura fatta da Radio Tre del Romanzo di Camus.
Oggi ne ho un'impressione di perfezione in quelle parole di denuncia rigorosa della condizione umana.
"La Peste" è un romanzo in cui la trama, intesa come sequenza di accadimenti, ha un'importanza secondaria. Eppure di cose ne accadono.
Tuttavia, non sono le cose narrate ad avermi colpito così profndamente, ad avermi quasi ferito nella mia seconda lettura.
Albert Camus non ha certo scritto un romanzetto tipo 'virus letale' e sia il titolo che la nuda catena dei fatti possono fuorviare.
Ed, infatti, mi hanno fuorviato a suo tempo.
Cos'è la Peste?
Una malattia.
Una malattia che parte dai topi e colpisce gli uomini.
Tutti gli uomini.
La Peste di Camus è una malattia anche di chi non ha addosso nè febbre nè bubboni.
E' la malattia non dei grandi peccati, come l'omicidio e il furto.
E' la malattia di ogni distratta prevaricazione, la malattia degli appestati asintomatici che contagiano di indifferenza ed odio gli altri.
Camus costringe i suoi personaggi a confrontarsi con se stessi (con la Peste ?) in una Orano appestata, isolata, in cui diventa evidente il meccanismo infernale del contagio.
Chi è malato, chi è morto e soprattutto chi è sano e commette ogni nefandezza pur di conquistarsi l'illusione della salute, chi è sano e combatte la Peste senza riuscire a spiegarsi il perchè, chi vorrebbe fuggire e poi rinuncia e forse, anche chi è sano e vede, finalmente, com'è fatto davvero il proprio cuore.

Vi lascio, qui sotto, alcune frasi di quello che, secondo me, è il culmine del romanzo, il dialogo tra due dei personaggi principali in cui Camus scopre le carte.
Peccato che mi ci siano voluti così tanti anni per imparare a leggerle.
Tuttavia, guardando indietro, per quanto non possa che accettare il fatto di essere da lunghi anni un appestato e non un medico, posso individuare lunghi periodi in cui, pur malato, pur infetto, sono riuscito ad evitare qualche contagio.

Solo di una categoria di persone Camus non ha scritto.
Quella dei guariti.
E mi spingo ad azzardarne un perchè: gli mancava la fede e non poteva andare oltre la lotta dell'uomo sano per rimanere sano.







«Diciamo per semplificare, Rieux, che io soffrivo della peste molto prima di conoscere questa città e questa malattia. Basti dire che io sono come tutti quanti; ma ci sono persone che non lo sanno, o che si trovano bene in tale stato, e persone che lo sanno e vorrebbero uscirne. Io, ho sempre voluto uscirne. ...

Quando ebbi diciassett'anni, mio padre m'invitò ad andarlo a sentire. Si trattava d'una causa importante, in Corte d'assise, e lui aveva pensato di figurarvi sotto la luce migliore. Credo, inoltre, che contasse su tale cerimonia, atta a colpire le fantasie giovanili, per spingermi a entrare nella carriera che lui stesso si era scelta. Avevo accettato, perché facesse piacere a mio padre, e perché, anche, ero curioso di vederlo e di ascoltarlo in una parte diversa da quella che recitava tra noi. Non pensavo a nient'altro. Quanto accadeva in un tribunale mi era sempre sembrato naturale e inevitabile come una rivista del 14 luglio o una premiazione. Ne avevo un'idea molto astratta, che non mi disturbava.
«Di quel giorno, tuttavia, non ho serbato che una sola immagine, quella del colpevole. Credo che fosse colpevole davvero, importa poco di che; ma quell'ometto di pel rosso e povero, d'una trentina d'anni, pareva sì deciso a tutto ammettere, sì spaventato di quello che aveva fatto e che stavano per fargli, che dopo alcuni minuti, io non ebbi occhi se non per lui. Aveva l'aria d'un gufo intontito da una luce troppo viva; il nodo della cravatta non gli si adattava con precisione al giro del collo; si rosicchiava le unghie di una sola mano, la destra... In breve (non voglio insistere), lei ha capito ch'era un uomo vivo. ...

la requisitoria di mio padre...
«Trasformato dalla toga rossa, né bonario né affettuoso, la sua bocca gorgogliava di frasi immense, che senza tregua ne uscivano come serpenti. E capii che chiedeva la morte di quell'uomo in nome della società...

 Da quel momento in poi, m'interessai con orrore alla giustizia, alle condanne a morte, alle esecuzioni, e constatai, con una impressione di vertigine, che mio padre aveva dovuto assistere parecchie volte all'assassinio, e ch'era proprio nei giorni in cui si alzava prestissimo.
....
 ho fatto mille mestieri per guadagnarmi la vita, e non mi è riuscito troppo male. Ma quello che m'interessava, era la condanna a morte; volevo regolare un conto col gufo rosso. Di conseguenza, ho fatto della politica, come si dice. Non volevo essere un appestato, insomma. ...
Mi sono quindi messo con gli altri che amavo, e che non ho cessato di amare...

«Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste.

«La faccenda mia, in ogni caso, non era il ragionamento; era il gufo rosso, quella sudicia avventura in cui sudice bocche appestate annunciavano a un uomo in catene che doveva morire e regolavano tutte le cose per farlo morire, infatti, dopo notti e notti d'agonia durante le quali egli si aspettava di essere assassinato a occhi aperti...

«Per questo, inoltre, l'epidemia non m'insegna nulla, se non che bisogna combatterla al suo fianco, Rieux. Io so di scienza certa (tutto so della vita, lei lo vede bene) che ciascuno la porta in sé, la peste, e che nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune. E che bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d'un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l'integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d'una volontà che non si deve mai fermare. L'uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere
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«Bisognerebbe di certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, dev'essere difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime, in ogni occasione, per limitare il male. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla terza categoria, ossia alla pace».
Terminando, Tarrou faceva oscillare una gamba, sì che il piede batteva piano contro la terrazza. Dopo un silenzio, il dottore, sollevandosi un poco, domandò se Tarrou avesse una idea della strada da prendere per arrivare alla pace.
«Sì, la partecipazione al dolore degli altri»."