Cinque anni.
Cifra tonda.
Sono passati cinque anni da quel tragico giorno.
Se mi guardo indietro, purtroppo, non vedo che macerie.
Non sono più tornato all'Aquila.
Non ho più avuto contatti con la gente di Tempèra.
Nè con gran parte degli altri soccorritori.
All'Aquila so che ci sono ancora macerie.
Macerie per strada, macerie nelle vite delle migliaia di sfollati, esiliati, macerie in un'Italia peggiore di quella di cinque anni fa.
Macerie nelle nostre vite che si sono ritrovate su strade inimmaginabili in quei giorni.
Non è raro che io pensi alla mia esperienza lì, nella tendopoli a pochi giorni dalla catastrofe.
Non è raro che ripensi a quella Messa di Pasqua di cinque anni fa, in una tenda bianca sporca di sofferenza.
Eppure non riesco a collocare quell'esperienza nella mia Vita con precisione.
Sono andato in Abruzzo perchè non sopportavo l'idea di un me stesso inerte ed indifferente.
E non sono più sicuro che fosse un buon motivo.
L'Italia non ha saputo ricostruire L'Aquila.
Gli italiani che sono andati lì a soccorrere altri italiani hanno fatto bene o male?
Hanno contrbuito ad una Solidarietà Umana di qualche tipo o ad una cosmesi sociale di livello ben più basso?
Ricordo la prima notte a Tempèra.
Avete presente il cambio gomme dei gran premi di Formula 1?
Invece che monoposto, su quel piazzale di terra battuta illuminato a giorno dalle fotoelettriche si alternavano, veloci, tir e camion scaricati a tempo di record dai team della Protezione Civile.
Un impegno formidabile.
Quella notte sentivo fondata la speranza che alla devastazione si sarebbe presto posto rimedio.
Non era più l'Italia delle eterne ricostruzioni del sisma dell'80.
Ma le macerie sono ancora lì.
Siami partiti, abbiamo lavorato, condiviso, siamo tornati.
Cosa resta di quegli otto giorni? Qualche foto ed un attestato di benemerenza.
Persone e cose sono rimaste lì, sotto le tende azzurre, incapaci di spostarsi dal mio ricordo ad un vissuto quotidiano di relazione.
Nel corso degli anni i miei sentimenti sono mutati.
Appena tornato sentivo preponderante la forza dell'esperienza vista e vissuta come Servizio.
Oggi, invece, è lo sconcerto per l'apparente futilità di quei giorni a prevalere.
Uso il termine apparente in maniera soggettiva.
Se non ci fossi andato cosa sarebbe cambiato?
Qualcun altro avrebbe ascoltato e distribuito scarpe e viveri.
Qualcun altro avrebbe dato le sue braccia e le sue orecchie.
Ma io non sono il miglior giudice di questa vicenda.
E chi lo è?
Mi fiderei del giudizio di Marco se lui avesse voglia di darne.
Cinque anni fa esisteva una bella città tra le montagne.
E nella mia memoria è un cumulo di macerie abbagliate dal blu dei lampeggianti.
C'erano persone, ma le ho perse.
E se tornassi lì ritroverei le sole macerie.
Non mie, non loro, ma di una Nazione Intera.
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