3 settembre 2025

Capitolo 2 Primo Volo, tarda estate 2001: Marta, 27 Agosto 2001

 

La lite tra Marta e la Madre


Mia madre mi tirò giù dal letto alle sette e mezzo del mattino del mio ultimo lunedì Materano.

Dopo una notte insonne in treno, dopo una settimana di sacco a pelo e tenda ed una media di dodici km al giorno di sentieri di montagna zaino in spalla, dormire otto ore era considerato troppo per una brava figlia di famiglia.

Quasi un atto blasfemo.

Non la sentii entrare in camera, fui svegliata dal fragore delle tapparelle tirate su con rabbia e dalla luce accecante del sole che mi investì in faccia.

La sveglia di soprassalto mi riportò allo stato d’animo della sera prima e la mia reazione fu feroce: una litigata nucleare con tante urla, suppellettili rotte e porte sbattute.

Le litigate di questa portata sono state rarissime e sono figlie di una combinazione di due fattori: precisa volontà di mia madre di trascendere tutti i limiti e mio stato di estrema esasperazione.

Il primo componente è piuttosto comune, il secondo piuttosto raro.

Per la prima volta, mia madre corse il rischio di vedersi restituire uno dei numerosi ceffoni elargiti negli anni con monotona generosità.

La litigata durò tutta la mattina e mio padre ebbe il suo bel da fare per calmare gli animi.

Le cose non migliorarono nel pomeriggio. Il veleno nell’aria non smise di accumularsi.

Vivevamo in uno stato di tensione che anche la proverbiale pazienza di mio Padre stentava a controllare.

Nel corso della settimana mi congedai senza freddezza da Marco che promise di scrivermi.

Mi venne a trovare una mattina in vespa, ‘per fare una pausa studio’.

Fu molto gentile, incoraggiante, affettuoso e amichevole come al solito.

E io pure.

Ci demmo appuntamento a Natale, si mise il casco e partì voltandosi a salutare con la mano.

Il congedo con Giulia fu più doloroso.

Nessuna di noi aveva altre amichette del cuore.

Avevamo fatto assieme tutte le scuole partendo dall’asilo, le elementari e le medie fino alle superiori.

Sorella Scout, sorella di fatto.

Quando mi venne a salutare l’ultimo giorno d’agosto, io ero in vantaggio: volevo andare a Torino, non sopportavo più il clima di casa mia, volevo capire chi ero.

Giulia avrebbe iniziato a breve Scienza della Formazione Primaria, probabilmente all’Università di Basilicata a Matera.

Nel recente passato aveva cercato di convincermi ad iscrivermi a Ingegneria a Bari, ma lì, all’epoca, non c’era Ingegneria Informatica e, come diceva lei stessa, ero un piccolo genio dei computer, non del cemento armato.

Mi ero preparata a consolarla, ma, modestamente, era una Scolta, oltre che mia amica.

Facemmo le forti, girando attorno al vuoto imminente cincischiando di email, cellulari, videochiamate via computer, di tutti gli strumenti per mantenersi in contatto.

Prima di salutarci mi raccomandò: «Tetto’, ti lascio andare perché penso che così prima o poi sarai felice. Solo che se non ci sarò io a prenderti a calci in culo tutte le volte che te lo meriti come farai?»

«Nessun altro lo farà al posto tuo, zoccole’, ti toccherà venire a Torino».

Mentivo.

Quando tornai a casa mi chiusi in camera e piansi a lungo. 


Marta e Giulia si salutano prima della partenza per Torino


Giulia, Marco, gli scout.

Lo studio, la piscina, i libri.

Mio Padre.

La mia vita.

Mi ero lasciata convincere di non aver nessun diritto agli affetti e neppure a una serata in un locale per festeggiare il compleanno di qualcuno.

Sapevo di altri che sarebbero partiti per il test di ingresso e che sarebbero, poi, tornati a casa in attesa dei risultati.

Io no.

Avevo già ottenuto il posto letto al Collegio delle suore e la borsa di studio.

Se non avessi superato l’esame di ammissione al Politecnico mi sarei semplicemente iscritta a matematica alla Statale.

Poi, francamente, avevo bisogno di distaccarmi da casa ed ebbi buon gioco a fare la ragazza laboriosa ed economa che preferiva risparmiare un altro viaggio Torino Matera e viceversa.

L’ultimo giorno passato a Matera fu straziante.

Volevo partire, volevo restare.

Volevo vivere.

E dovevo vivere.

La scena più dolorosa fu vedere dal finestrino i volti dei miei genitori diventare piccoli, poi sagome, poi puntini e  poi sparire.


Marta parte per Torino


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