Raffaele
‘Anna, Amore mio’.
Tre parole e due segni di punteggiatura che in quegli anni erano sempre nei suoi pensieri.
Quando Raffaele entrò in casa al ritorno dalla Route Estiva ebbe una breve crisi di pianto.
Finalmente era finita e la tensione accumulata, sia per la responsabilità, che per controllare il proprio stato emotivo, esplose in pochi minuti di lacrime silenziose.
‘Anna, Amore mio’.
Le notti di quella settimana erano state durissime, come tutte le notti di Campo.
Il cielo stellato sopra il Gran Sasso aveva riempito di meraviglia i ragazzi, ma, per Raffaele, era solo memoria del lavoro unita alla nostalgia del volto di Anna.
‘Quando conosci i nomi delle stelle’. Pensava: ‘Quando ne conosci la natura, quando quella meraviglia che anche io provavo sin da bambino si infrange sempre contro la tua mancanza, il cielo stellato è una maledizione’.
La Route era andata bene, nonostante l’assenza di Mario e Michela.
Beh, forse grazie alla loro assenza.
Una cattiveria per cui si sarebbe, a suo tempo, confessato.
Dopo essersi lavato mise in moto la prima lavatrice e iniziò a sistemare il resto dello zaino.
Gavetta, spiritiera, tazza, posate: in lavastoviglie.
Il coltello l’avrebbe lavato a mano.
Si interruppe e accese lo stereo che aveva in soggiorno.
Finalmente, il silenzio fu spezzato da Mozart.
Sarebbe andato a pranzo dai suoi genitori, poi una pennichella sul suo letto di ragazzo.
Piano piano, la musica iniziò a raddrizzargli la giornata.
La malinconia, a cui era ormai abituato tanto da non distinguere più la sua presenza dalla sua assenza, si diluì tra le note.
Qualche ora dopo, quando si svegliò, nel tardo pomeriggio, a casa dei suoi genitori, la malinconia aveva lasciato spazio alla soddisfazione per la Route così felicemente conclusa.
La stanchezza per un ennesimo anno da Capo era compensata più che a sufficienza dai frutti che aveva raccolto.
Luca e Marco avevano preso la Partenza, era stato deciso di rifare la Carta di Clan, la Strada aveva compattato i ragazzi dopo un anno difficile.
Ma soddisfazione non equivale a entusiasmo.
Era stanco, ma non c’era sollievo all’orizzonte.
Si sentiva condannato a continuare a fare il Capo anno dopo anno, impegnando tutte le energie che gli restavano nello Scoutismo.
E, negli intervalli, come da ora a Ottobre, il vuoto.
Raffaele si preparò per la pizza di Clan con la costante e ondivaga altalenanza di intenzioni.
Diviso a metà tra la voglia di salutare i ragazzi e non incontrarli più per un pezzo.
Diviso a metà tra il desiderio delle voci giovani e quello del silenzio.
Non aveva ancora compiuto trent’anni e i ragazzi di venti gli sembravano suoi figli.
Ma non aveva modo di sottrarsi ai suoi doveri: disertare la pizza di Clan era fuori discussione, i ragazzi avrebbero potuto mal interpretare la sua assenza.
La calura del pomeriggio era opprimente.
Raffaele, salutati i suoi, se ne tornò a casa per rinfrescarsi e cambiarsi.
Aveva appena finito di farsi la doccia quando chiamò Michela, la Capo Fuoco.
Era un Medico piuttosto noto in città i cui impegni lavorativi avevano ostacolato la sua partecipazione alle attività del Clan. Era una donna diretta e pochissimo diplomatica, qualità che, invece, aveva in abbondanza il Capo Clan, professore di Italiano in un Istituto Tecnico. Erano stati Capi per molti anni ma, ultimamente, avevano lasciato sulle inadeguate spalle di Raffaele gran parte della conduzione dell’Unità.
«Ciao Raffaele, fatta la doccia?»
«Sì Miki, fatta la doccia fatta la pappa da mamma e fatta pure la nanna. Ci vediamo stasera?»
«Sì, almeno quello ve lo devo. E’ andato tutto bene? Anzi, scusami, mi avresti già chiamato se fosse andato storto qualcosa, quindi, tu come stai?»
Michela era radiologa e non psichiatra ma sapeva della sua lunga depressione.
«Sono stato molto peggio, sono cautamente ottimista ma non mi azzardo a risponderti ‘bene, grazie e tu’».
«Senti Raffaele, tu che intenzioni hai per l’anno prossimo?»
«Dovrei andarmene, vorrei restare».
«Giusto il contrario di quanto sarebbe sano. Lo faresti il Capo Clan con me?»
‘Oddio, no!’
«Lo odi così tanto il Gruppo?»
Michela rise.
«Il mio diarca non ce la fa più e io nemmeno, ma a livello formale posso comunque darti una mano, i numeri della Co.Ca. li conosci: siamo in sette e resteremo in sei a ballare l’alligalli, di cui una, la sottoscritta, sulla carta».
«Ci sono Luca e Marco».
«Sono bravi ragazzi ma non puoi contare su di loro, su Marco soprattutto: dureranno un po’ ma poi università e lavoro se li papperanno. Ah, a proposito, come l’ha presa Marta la nostra decisione?»
Raffaele pensò a Marta.
La Marta bambina del primo anno di reparto, la Marta giovane donna che aveva salutato alla stazione poche ore prima.
Ognuno delle ormai centinaia di ragazzi di cui era stato Capo era stato speciale ai suoi occhi e Marta non faceva eccezione.
E non per i suoi talenti di cui Raffaele aveva, da tempo, perso il conto.
Nuotatrice, cuoca, sarta, infermiera, atleta, campeggiatrice, aveva finito lo spazio sulla manica della camicia per le specialità e i brevetti. Ma per quella sua rara capacità di non riversare mai sugli altri il proprio dolore. Nell’ultimo anno Marta era molto cambiata. Non era mai stata arrendevole ma ora la sua determinazione sfiorava la cocciutaggine. Raffaele le voleva bene per un motivo semplice: nonostante fosse popolarissima nella ristretta cerchia del Clan, nonostante la sua stretta amicizia con Giulia, Marco e Luca, sentiva a pelle che era terribilmente sola. Non era pronta a lasciare la protezione del Clan, forse l’unico gruppo di suoi pari in cui nessuno l’avesse mai presa in giro o umiliata per il suo aspetto fisico. E, poi, Raffaele sapeva di essere stato l’idolo di Marta per molti anni, ma era bastato un ‘no’ inaspettato per crollare ai suoi occhi. Una cosa del tutto normale: quando era Capo Reparto la maggior parte dei suoi ragazzi passati in Clan lo salutava a stento.
Ma lui non se l’era mai presa: faceva parte del gioco. Però, pensare che anche Marta di lì a qualche tempo gli avrebbe solo fatto ciao con la manina dall’altro lato della strada gli faceva pregustare l’amarezza del momento.
O, più probabilmente, non era pronto a smettere di proteggerla.
Cosa che, negli anni, aveva dovuto fare molte volte con tanti ragazzi.
Ma il dovere prima di tutto.
«Male: da quando le ho detto di no mi ha guardato con ostilità».
«Ma hai assolutamente ragione: non è pronta per la Partenza anche se da fuori sembra una Giovane Marmotta piena di medaglie del Gran Mogol la ragazza avrebbe bisogno di ben altri stimoli e di maturare emotivamente».
«Beh, come futuri Capi del Clan almeno partiamo bene: una decisione scomoda presa noi due contro il resto del mondo».
«Già, non ci avevo pensato. E’ giusto che segua la sua strada ma un altro anno di Clan le avrebbe fatto bene o almeno ci sarebbe stato spazio per provare a farla sbloccare. Sai, nel caso, l’avrei mandata a fare Servizio extrassociativo. Tu che la conosci da sempre convincila ad entrare in un Gruppo lì a Torino, magari c’è un Clan Universitario».
«Marta è molto …»
Sfortunata? Sofferente? Sola?
«Marta mette una grande forza e tutta la sua intelligenza in tutto quello che fa, se la caverà benissimo anche senza scautismo. Comunque, ci proverò».
«Raffaele?»
«Sì?»
«Scusami per averti abbandonato. Se pensi che non sia possibile fare come ti ho proposto, troveremo un’altra soluzione».
«Grazie Michela, ci penserò. Ci vediamo lì allora?»
«No, ti passo a prendere: il minimo che posso fare è lasciarti tracannare un paio di birre in serenità».
Michela arrivò puntuale e Raffaele si meravigliava sempre di quanto, senza uniforme scout addosso, fosse così diversa.
«Ti sei abbronzato uaglio’ e sei un fascio di muscoli! Hai messo su proprio un bel figurino».
«Grazie Michela, anche tu sei in gran forma, a casa tutto bene?»
«Ah, sposati una scout, ti dico solo questo».
«Ci ho provato».
Raffaele non poteva credere di aver pronunciato una battuta di così cattivo gusto, oltraggiosamente offensiva per tutte le persone coinvolte.
Ma Michela non solo non si scompose ma evitò silenzi imbarazzati.
«Stai decisamente meglio se fai ‘ste battute. Forza e coraggio uaglio’ che hai solo trent’anni e per almeno altri quaranta devi continuare a fare il Capo!»
Che bella prospettiva.
Michela era una Capo competente e attenta.
Si informò su tutti i ragazzi, uno per uno, senza dimenticarne nessuno.
«Giulia l’anno prossimo sarà pronta. Per lei sarà dura senza Marta ma c’è poco da fare. Tra l’altro, sono sempre più convinto che andare a Torino sarà la salvezza di ‘sta ragazza. Ma per Giulia saranno mesi difficili: fa tanto la spavalda ma era Marta a tenerla in riga, speriamo non si perda».
Raffaele pensò si suoi compagni di strada nel Clan.
Non glie ne era rimasto accanto neppure uno.
Università e lavori lontani avevano prevalso su quel senso di fratellanza che era vivo e vitale quando erano ragazzi.
I due Capi furono tra i primi ad arrivare in pizzeria e Raffaele colse al volo l’opportunità offertagli da Michela. Si precipitò al bancone per la prima birra gelata dopo una settimana abbondante di astinenza.
Il Clan arrivò alla spicciolata.
I ragazzi erano di una bellezza che gli feriva gli occhi.
Raffaele pensò: ‘Tra cinquant’anni, se sarò ancora vivo, saranno miei coetanei. Anche tra venti. Oggi, invece, i dieci anni di differenza sembrano un abisso invalicabile. Per fortuna’.
Le ragazze erano semplicemente splendide ma, per lui, erano ancora le bambine che aveva accolto in Reparto otto anni prima.
La birra fredda tracannata di getto (senza testimoni scomodi) attenuò il senso di angoscia e l’opprimente sensazione di essere guardato come su un piedistallo dal gruppo di ragazzi che iniziò ad affollarsi attorno ai due adulti.
L’esaltazione per la bella Route appena conclusa rendeva i ragazzi chiassosi ed eccitati.
Purtroppo, mentre l’angoscia si attenuava, gli cresceva in mente il disincantato cinismo che vedeva tutta la fragilità di quella Comunità Ideale.
Quei ragazzi, che assieme erano capaci di dedicarsi sia ai piccoli che agli ultimi in un Servizio sincero ed efficace, si sarebbero dispersi per il mondo.
All’epoca, Raffaele era troppo giovane per guardare oltre il suo limitato orizzonte e non aveva idea di come maturassero i frutti dello scoutismo, pur essendo lui stesso uno di loro.
La festa in pizzeria proseguì allegra ma si concluse abbastanza presto: erano tutti molto stanchi.
Marta si avvicinò per salutare, dato che sarebbe partita a giorni per Torino.
Raffaele fece la solita battuta che ripeteva a tutte le Scolte su quanto fosse bella e le raccomandò di scrivere per ogni necessità.
Non era certo la prima volta che uno dei ragazzi del Clan che aveva conosciuto sin dall’infanzia se ne partiva per il Nord e, anche se non ci si fa mai il callo, sapeva anche quanto fosse inutile rimuginarci su.
Fu Michela a notare un piccolo dettaglio: «E’ la prima volta che vedo Marta vestita come le altre ragazze».
«E pensi che sia grave?»
«No, anzi, meglio tardi che mai, ma di sicuro vuol dire qualcosa».
Raffaele era alla terza birra impegnato da ore a scacciare cattivi pensieri e profonde riflessioni e l’abbigliamento di Marta, che era stata antipaticissima con lui per tutta la settimana, gli interessava ben poco.
Ma Michela proseguì: «Stacci dietro Raffae’, scrivile, mi raccomando».
つづく
Nota di fine capitolo.
Con l'introduzione del punto di vista di Raffaele si chiude il primo capitolo del romanzo.
Spero che vi abbia incuriosito.
Procederò alla condivisione a puntate del secondo capitolo mentre inizio a preparare la pubblicazione su Kindle direct publishing (non è una faccenda banale).
Quando sarò pronto, ovviamente, ve lo farò sapere.
Penso di impostare il prezzo di acquisto sul minimo possibile, sia per la versione e-book che per quella cartacea.
Mi interessa che il testo sia diffuso: anche a pensare di fare soldi ne dovrei vendere centomila copie solo per potermi comprare un'utilitaria.
il mercato editoriale italiano è così, inutile pensare di guadagnare dalla scrittura, molto meglio guadagnare in merito per aver diffuso parole di speranza e conforto (che spero di aver scritto).
Grazie per la condivisione e l’aiuto.
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