23 febbraio 2014

Buonanotte, Capofortuna!

Avevo votato per uscire dal PD e dire No a Renzi.
Per poco ho perso.
50,1% per il Sì.
Non me ne faccio un cruccio, in ogni caso non avrei rinnovato la tessera del PD.
Oggi c'era il Sole a Bologna.
Tanta gente, discorsi sensati sia per il pro che per il contro.
Io mi sarei moderatamente impegnato per un soggetto politico unitario (sel e cespugli inclusi) della Sinistra ma non vedo ragione per lavorare attivamente a favore di Renzi e D'Alema.
Certo, la posizione di Civati non mi sembra insostenibile. 
Lo è la mia.
Quindi la lascio.
Ritorno a fare azione politica come so farla meglio, se potrò appoggiare la causa della sinistra moderna lo farò a cuore aperto ma non mi sento di appoggiare il PD che appoggia Renzi  che si appoggia ad Alfano che appoggia il Caimano che appoggia, non so, un ministro delle finanze pro austerity.
Il guaio di una giornata come quella di oggi è che ti illudi.
Ti illudi che sia normale arrivare ad una sintesi tra posizioni inconciliabili, tipo No alla fiducia e fuori dal PD e Sì alla Fiducia e Dentro il PD.
Ti illudi che una stanza come quella dove sono stato stamattina sia la normalità d'Italia.
Ma un'assemblea di Civatiani che discute in italiano usando i congiuntivi senza sparare balle propagandistiche non è la regola.
E' l'eccezione.
L'Italia di Caporetto, dell'8 Settembre, del tradimento di Renzi è la regola.
Quella di Vittorio Veneto l'eccezione.
L'Italia si inoltra verso un decennio di larghe intese e a me non sta bene.
Non ce la faccio a votare questo PD.
Che poi, è tutta teoria, la mia: alle europee vedra che scoppola il nostro segretario, eppure dovrebbero averglielo spiegato bene che non puoi servire Dio e Mammona.
Quindi, niente tessera 2014 per me.
Niente voto in bianco al PD per come stanno le cose.
Denuncia delle malefatte di Renzi & soci, dito nella piaga M5S e ritorno al mio Dovere appena sarà possibile.
Caro Segretario, ti dedico questa canzoncina, buona metamorfosi in centrodestra (But not in my name).




20 febbraio 2014

La battaglia di Kiev

Anzio, Kiev, Europa.
E noi?
Quando si perdono le parole finisce sempre così


19 febbraio 2014

"Io non sono democratico con voi"

Quasi tutte le parole pronunciate da Renzi e Grillo durante l'incontro di oggi erano destinate non all'interlocutore ma ai propri fan.
Mi sembra abbastanza ragionevole affermarlo
Non sono, da tempi non sospetti, un fan nè dell'uno nè dell'altro e ho ascoltato i pochi minuti dell'incontro con la segreta speranza che facessero entrambi una bella figuraccia coi rispettivi fan.
Francamente, ho ben poco da dire sulle parole che i due signori si sono scambiati sul palcoscenico.
Il comportamento di Grillo e le battute di Renzi mi lasciano del tutto indifferente.
Ad un anno dalle Elezioni, il contributo di M5S (o del PD), che so, allo spostamento della pressione fiscale dal lavoro alle rendite da speculazione edilizia e non o a qualsivoglia altro dei problemi reali del lavoro e della società italiana,  è peggio che nullo. 
E' negativo.
Purtroppo (o per fortuna?) una sola singola frase nella caciara mi ha profondamente colpito.
Grillo che dice a Renzi "Io non sono democratico con voi".
Con voi.
Voi chi?
Beh, certo, Renzi ha appena fatto la solita italianata, magari ti può venire di dirgli che non si può considerare il massimo del comportamento.
Un momento.
Grillo non ha solo detto peste e corna del comportamento di Renzi.
Ha detto che non intende comportarsi democraticamente con 'voi'
Voi Dirigenti del PD?
Voi Renziani?
Voi non appartenenti ad M5S?
Voi non elettori del M5S?
Chi sono questi voi?
Queste domande me le sono poste nei primi due secondi.
Poi, me ne sono poste altre.
Ma non sei democratico solo con Renzi?
All'inizio te la ridi: non è democratico con Renzi!
Solo lui, magari.
Ma se non sei democratico con uno come fai ad esserlo con qualcuno?
Come si fa ad essere democratici solo a scelta?
Come si fa a sopportare che un uomo di tali responsabilità faccia un'affermazione come questa mirata anche al solo Matteo Renzi?
Cosa significa dichiarare di non essere democratico verso di te?
Che diritti ti tolgo?
Il diritto di Parola?
Questo l'abbiamo già visto in diretta.
Tu non puoi parlare.
Poi, tu non puoi passare.
Che altro ti impedirò di fare?
E quanti dei tuoi sostenitori sono disposti a seguirti in questo pensiero?
Poi, molto dopo, mi rendo conto che in quel voi potrei essere incluso io ed i miei cari.
Non c'è ragione per ritenere il contrario, dato che nè metodi, nè strumenti nè fini politici di Grillo mi trovano minimamente concorde.
Ecco come, in un pomeriggio d'inverno, si passa dal disincantato riso amaro all'indigniazione  finendo col freddo sapore dell'incredulità.
Chi decide di "non essere democratico" con te imbocca una china di cui la fine è nota.
E il brutto è proprio il percorso.
Non si può essere solo "un po'" razzisti, xenofobi, democratici o ... incinti.
Spero che non ci si meravigli se non avrò più molta simpatia per chi dichiara di non volersi comportare democraticamente con chichessia.







9 febbraio 2014

Un banchetto davanti ad una Chiesa

"Ehi, Andrea si è svegliato, ce l'ha fatta dopotutto!"
Ride una scolta additando  un rover che, più che portare la chitarra, ci si appogga a mo' di bastone per non cascare dal sonno.
Il banchetto per l'autofinanziamento è di fianco all'ingresso della Chiesa.
Dolciumi di vario tipo fanno bella mostra di sè ben allineati sul tavolo di legno coperto appena da una tovaglia non stirata.
I ragazzi si ammassano dietro il banchetto un po' per scaldarsi, un po' per formare una linea di sorrisi per accogliere le persone che vanno a Messa.
Saluto una Capofuoco intirizzita che mi racconta di quanto sia cara la partecipazione alla Route Nazionale e la necessità di non pesare sulle famiglie in questo momento così difficile.
La capisco e le dico che da Capo Clan quasi non ho avuto necessità di toccare la cassa in assenza di attività così particolari.
Ci salutiamo ed entro in Chiesa.
Capi Reparto e Capi Branco si affannano per mettere in ordine nel fantastico caos organizzato di squadriglie e sestiglie.
Le panche si riempiono giusto in tempo per l'inizio della messa ma Akela e il Capo Reparto si aggireranno tra le panche per tutta la Messa.
Quando la Messa finisce guadagno l'uscita in fretta, non voglio trovarmi imbottigliato nella calca.
Torno dai ragazzi al banchetto e compro un dolcetto e in più lascio qualche centesimo come Penny per la prossima Giornata del Pensiero.
Su Bologna, proprio in quel momento, esce il Sole.
Auguro Buona Strada ai ragazzi e torno a casa.
Ci sono molti mondi.


1 febbraio 2014

La Peste

Ho letto per due volte questo potente romanzo.
La prima molti anni fa, al liceo.
Ho il ricordo, per quella lettura, di una costruzione complessa, di un'umanità dolente, di una compassione impassibile dell'io narrante.
Una città, una malattia, la lotta degli uomini, il coraggio, le miserie.
Ho ascoltato, in queste settimane, l'audiolettura fatta da Radio Tre del Romanzo di Camus.
Oggi ne ho un'impressione di perfezione in quelle parole di denuncia rigorosa della condizione umana.
"La Peste" è un romanzo in cui la trama, intesa come sequenza di accadimenti, ha un'importanza secondaria. Eppure di cose ne accadono.
Tuttavia, non sono le cose narrate ad avermi colpito così profndamente, ad avermi quasi ferito nella mia seconda lettura.
Albert Camus non ha certo scritto un romanzetto tipo 'virus letale' e sia il titolo che la nuda catena dei fatti possono fuorviare.
Ed, infatti, mi hanno fuorviato a suo tempo.
Cos'è la Peste?
Una malattia.
Una malattia che parte dai topi e colpisce gli uomini.
Tutti gli uomini.
La Peste di Camus è una malattia anche di chi non ha addosso nè febbre nè bubboni.
E' la malattia non dei grandi peccati, come l'omicidio e il furto.
E' la malattia di ogni distratta prevaricazione, la malattia degli appestati asintomatici che contagiano di indifferenza ed odio gli altri.
Camus costringe i suoi personaggi a confrontarsi con se stessi (con la Peste ?) in una Orano appestata, isolata, in cui diventa evidente il meccanismo infernale del contagio.
Chi è malato, chi è morto e soprattutto chi è sano e commette ogni nefandezza pur di conquistarsi l'illusione della salute, chi è sano e combatte la Peste senza riuscire a spiegarsi il perchè, chi vorrebbe fuggire e poi rinuncia e forse, anche chi è sano e vede, finalmente, com'è fatto davvero il proprio cuore.

Vi lascio, qui sotto, alcune frasi di quello che, secondo me, è il culmine del romanzo, il dialogo tra due dei personaggi principali in cui Camus scopre le carte.
Peccato che mi ci siano voluti così tanti anni per imparare a leggerle.
Tuttavia, guardando indietro, per quanto non possa che accettare il fatto di essere da lunghi anni un appestato e non un medico, posso individuare lunghi periodi in cui, pur malato, pur infetto, sono riuscito ad evitare qualche contagio.

Solo di una categoria di persone Camus non ha scritto.
Quella dei guariti.
E mi spingo ad azzardarne un perchè: gli mancava la fede e non poteva andare oltre la lotta dell'uomo sano per rimanere sano.







«Diciamo per semplificare, Rieux, che io soffrivo della peste molto prima di conoscere questa città e questa malattia. Basti dire che io sono come tutti quanti; ma ci sono persone che non lo sanno, o che si trovano bene in tale stato, e persone che lo sanno e vorrebbero uscirne. Io, ho sempre voluto uscirne. ...

Quando ebbi diciassett'anni, mio padre m'invitò ad andarlo a sentire. Si trattava d'una causa importante, in Corte d'assise, e lui aveva pensato di figurarvi sotto la luce migliore. Credo, inoltre, che contasse su tale cerimonia, atta a colpire le fantasie giovanili, per spingermi a entrare nella carriera che lui stesso si era scelta. Avevo accettato, perché facesse piacere a mio padre, e perché, anche, ero curioso di vederlo e di ascoltarlo in una parte diversa da quella che recitava tra noi. Non pensavo a nient'altro. Quanto accadeva in un tribunale mi era sempre sembrato naturale e inevitabile come una rivista del 14 luglio o una premiazione. Ne avevo un'idea molto astratta, che non mi disturbava.
«Di quel giorno, tuttavia, non ho serbato che una sola immagine, quella del colpevole. Credo che fosse colpevole davvero, importa poco di che; ma quell'ometto di pel rosso e povero, d'una trentina d'anni, pareva sì deciso a tutto ammettere, sì spaventato di quello che aveva fatto e che stavano per fargli, che dopo alcuni minuti, io non ebbi occhi se non per lui. Aveva l'aria d'un gufo intontito da una luce troppo viva; il nodo della cravatta non gli si adattava con precisione al giro del collo; si rosicchiava le unghie di una sola mano, la destra... In breve (non voglio insistere), lei ha capito ch'era un uomo vivo. ...

la requisitoria di mio padre...
«Trasformato dalla toga rossa, né bonario né affettuoso, la sua bocca gorgogliava di frasi immense, che senza tregua ne uscivano come serpenti. E capii che chiedeva la morte di quell'uomo in nome della società...

 Da quel momento in poi, m'interessai con orrore alla giustizia, alle condanne a morte, alle esecuzioni, e constatai, con una impressione di vertigine, che mio padre aveva dovuto assistere parecchie volte all'assassinio, e ch'era proprio nei giorni in cui si alzava prestissimo.
....
 ho fatto mille mestieri per guadagnarmi la vita, e non mi è riuscito troppo male. Ma quello che m'interessava, era la condanna a morte; volevo regolare un conto col gufo rosso. Di conseguenza, ho fatto della politica, come si dice. Non volevo essere un appestato, insomma. ...
Mi sono quindi messo con gli altri che amavo, e che non ho cessato di amare...

«Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste.

«La faccenda mia, in ogni caso, non era il ragionamento; era il gufo rosso, quella sudicia avventura in cui sudice bocche appestate annunciavano a un uomo in catene che doveva morire e regolavano tutte le cose per farlo morire, infatti, dopo notti e notti d'agonia durante le quali egli si aspettava di essere assassinato a occhi aperti...

«Per questo, inoltre, l'epidemia non m'insegna nulla, se non che bisogna combatterla al suo fianco, Rieux. Io so di scienza certa (tutto so della vita, lei lo vede bene) che ciascuno la porta in sé, la peste, e che nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune. E che bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d'un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l'integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d'una volontà che non si deve mai fermare. L'uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere
...
«Bisognerebbe di certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, dev'essere difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime, in ogni occasione, per limitare il male. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla terza categoria, ossia alla pace».
Terminando, Tarrou faceva oscillare una gamba, sì che il piede batteva piano contro la terrazza. Dopo un silenzio, il dottore, sollevandosi un poco, domandò se Tarrou avesse una idea della strada da prendere per arrivare alla pace.
«Sì, la partecipazione al dolore degli altri»."