Sarebbe il momento giusto per scrivere del primo Volo del Cerchio dei Ciclamini.
La partenza, l'entusiasmo delle bambine, la fatica della salita fino a San Luca, il sudore, la soddisfazione nel ritrovarsi sotto la Croce all'arrivo, la serenità delle normali attività scout.
Durante la messa ho iniziato ad avere freddo.
Ed è successo.
Durante il Vangelo di Giovanni.
"Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato".
E mi sono sentito colpire, nel freddo, dal ricordo dell'atroce vicenda del bambino siriano morto di freddo ai confini dell'Europa (non più) cristiana.
Mentre il freddo della nebbia di novembre ci avvolgeva tutte, non potevo fare a meno di pensare a quel povero bambino.
Guardavo le coccinelle intirizzite dai 7°C della nebbia bolognese e sono stato travolto dalla fine di un bambino solo, abbandonato a morire al gelo della foresta.
Non mi sono venuti in mente Putin, Lukashenko, i polacchi o gli xenofobi nostrani.
Ma il sangue sulle mie mani.
Mentre il volo proseguiva lieto, l'angoscia per l'accaduto mi poneva di fronte alla dicotomia tra un gruppo di bambine infreddolite ma gioiose e un corpo freddo, innocente, alla cui morte i più sono indifferenti.
Ma io no.
Solo che non è servito a niente.
Non servono a niente i Linux Day, lo scautismo, l'impegno politico, la bicicletta e la fede nella scienza se un bambino muore di freddo a due passi da una birreria Europea.
Sono rimasto a pensarci per tutta la Messa, poi per gran parte del resto del Volo.
Era facile:
faceva freddo.