15 febbraio 2024

Messerschmitt Bf 110: un Martello usato come Chiodo













Oggi vi parlo di un ottimo aereo tedesco della Seconda Guerra Mondiale:

il ME-110.

Ottimo sotto ogni aspetto:

veloce, ben armato, versatile e dotato di un ottimo potenziale di crescita.

Ha volato per la prima volta il 12 Maggio 1936.

Tanto per farci due amare risate, il primo volo del Fiat C.R.42, BIPLANO, è del maggio 1938.

Due anni dopo, in un'epoca in cui gli aerei invecchiavano più in fretta dei telefoni cellulari.

Ma della corruzione del fascismo e delle sue catastrofiche conseguenze anche sui piloti della Regia Aeronautica ne ho già parlato e non vi annoierò oltre.

Il ragionamento alla base della nascita del ME-110 fu qualcosa tipo: raddoppio i motori, raddoppio l'autonomia, raddoppio l'armamento, raddoppio l'efficacia.

Tutto vero eccetto un dettaglio: quando il ME-110 si scontrava con caccia monomotori alleati, da cacciatore diventava quasi automaticamente preda.

Non c'era modo per questo aereo di competere per manovrabilità con un caccia monomotore.

Durante la Battaglia d'Inghilterra, i bombardieri tedeschi scortati da questo caccia pesante fecero una brutta fine dato che le loro scorte erano facili prede degli intercettori inglesi.

La Luftwaffe insistette per settimane ad usare un intercettore pesante come caccia di scorta e caccia per superiorità aerea subendo perdite disastrose: l'aereo era ottimo, i nazisti scemi.

Nel resto della guerra il ME-110 fu adoperato per ruoli più congeniali: cacciabombardiere e soprattutto intercettore di bombardieri sia diurni che notturni (era abbastanza grosso da poter imbarcare i primi, pesanti, radar aviotrasportati per intercettori).








13 febbraio 2024

Sei un Capo Tiger o un Capo Sherman?

A sinistra un Carro Tigre, a destra uno Sherman


Durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazisti misero a punto un carro armato pesante la cui sinistra fama è arrivata sino ai giorni nostri: il carro Tigre.
Ufficialmente noto come Panzer VI Tiger I, questo carro armato poteva fare il bello e cattivo tempo sul campo di battaglia.
Era quasi invulnerabile, ma non era molto affidabile: la maggior parte delle perdite fu per guasti meccanici e non per azione nemica.
E, come recitava il manuale del carro americano Sherman: "Per affrontare un Tiger servono 5 Sherman con la prospettiva di perderne 3 (o 4 a seconda delle fonti)".
Lo Sherman, invece, era il carro armato americano standard.
Era molto meno imponente del carro tedesco, aveva una corazza meno resistente e un cannone più piccolo.
Il confronto tra il Tiger e lo Sherman era impietoso: non c'era speranza, per uno Sherman, di affrontare un Tiger in duello a singolar tenzone.
Ecco, siamo nel cuore dell'Anno Scout.
Tra un po' ci sarà il Thinking Day con il suo carico extra di organizzazione intra gruppi.
Per qualche Capo, dalle Alpi al canale di Sicilia, la stanchezza inizia a farsi sentire.
E la fatica, beh, quella c'è tutta per quasi tutti.
Ammetto che lo scoraggiamento, di fronte ad un compito interminabile come quello di Sisifo, non è ingiustificato.
E anche l'insicurezza legata alla sensazione (del tutto apparente, io credo) di non essere in grado di far fronte agli impegni, previsti o imprevisti che siano.
Lo so, la versione ufficiale ci vorrebbe tutti Capi Tigre.
Onnipresenti e, se dotati del dono dell'ubiquità, è meglio.
E' pieno il web di litanie sull'elenco degli impegni dei Capi Scout, non ne aggiungerò un altro alla teoria delle lamentazioni.
Il Capo Tigre mette il bene dei ragazzi di fronte al proprio.
E' vero eh.
Di Capi Tigre ne ho conosciuti un po'.
Pensano di mettere il bene dei ragazzi di fronte al proprio.
Purtroppo, la sostanza si vendica regolarmente sulla poesia.
Il Capo Tigre, forte della sua corazza, della sua competenza e della sua buona volontà, è presente a tutte le riunioni, le staff e c'è il suo zampino in ogni attività.
Ma ha un problema.
E' uno dei pochi.
Già, perché i nazisti costruirono solo poco più di mille carri armati Tigre.
Contro Cinquantamila Sherman.
E, beh, scusate, ma si sa come andò a finire.
Il Capo Tigre è praticamente perfetto, ma, se ci fossero solo loro in Associazione (la matematica dice 600 Capi Tigre su 30000 totali), invece del bene di centocinquantamila ragazzi, si potrebbe provvedere al bene di, boh,  3000? 18000? 
Vedete voi.
Il carro Sherman, però, non era affatto male.
Era costruito benissimo, era pratico, affidabile e c'era sempre sulla linea del fronte a guardar le spalle ai poveri fanti.
Ecco, il Capo Sherman non è in grado di sopportare lo stesso carico del Capo Tiger. 
Salterà le riunioni di Zona, ma si è formato e si legge i manuali di branca.
Il Capo Sherman di sicuro, ogni anno, legge il Patto Associativo.
Però se ha gli esami all'università o la bronchite cronica, magari l'uscita di gennaio può saltarla.
Certo, al contrario del Capo Tigre, magari non legge Proposta Educativa eh, nessuno è perfetto.
All'evento #666 irrinunciabile rinuncerà senza troppi sensi di colpa (eccetto quello di sapere che ci si sarebbe divertito un sacco, come a tutti gli eventi scout).
Ma la lotta educativa per un mondo migliore non si deciderà mai su un singolo episodio, su una singola battaglia.
E' una guerra d'attrito che non avrà mai fine.
Si basa sui numeri.
E su una piccola differenza tra un Capo Scout e, che so, un maestro di musica.
L'effetto positivo, salvifico, educativo dello scautismo è solo in parte dato dalla competenza, disponibilità e capacità del Capo di turno.
Lo scautismo funziona grazie all'interazione tra le ragazze ed i ragazzi.
E' questa l'intuizione rivoluzionaria di B.P.
Se lo scautismo si basasse sulla bravura dei capi ci saremmo estinti da tempo.
Non mi stancherò mai di ripetere che se lo scautismo fosse una scuola, il ruolo dei Capi non sarebbe quello  del Preside o dell'Insegnante.
Ma quello del bidello o dell'autista dello scuolabus: un ruolo logistico.
Effettuato da persone formate e consapevoli, certo, ma anche consapevoli della centralità dei ragazzi a cui permettono di vivere l'esperienza scout senza rubargli la scena com performances stratosferiche e rendersi protagonisti al loro posto.
Sì, sì: la Testimonianza, la Relazione, il volare alto, tutto vero ma tutto minoritario rispetto al dato di fatto che, due Capi Sherman sicuramente non varranno un'unghia di un Capo Tiger, ma sono efficaci il doppio dal punto di vista dei ragazzi.
Perché permetteranno ad un numero doppio di ragazzi di fare scautismo: 
due uscite invece che una.
Due campi invece che uno.
Due branchi invece che uno.
E così via.
E, poi, il Capo Tigre ha un altro problema: non dura mai a lungo.
L'attrito lo consuma.
Come si consumavano in pochi chilometri i cingoli dei pesantissimi Tiger I, come si consumavano a vista d'occhio guarnizioni e valvole di quei pesantissimi motori.
Per non parlare del fatto che bastava un ponte un po' stretto e l'inarrestabile marcia del Tiger era già finita.
Il Capo Tiger molla.
Prima o poi molla sempre.
E, alla fine, anche durante la Seconda Guerra Mondiale il confronto tra i pochissimi Tiger e i tantissimi Sherman fu impietoso: non ci fu alcuna speranza, per i Tiger, di resistere agli Sherman.
Ma, per fortuna, in AGESCI capi Tiger e capi Sherman sono dalla stessa parte.
E i capi Tiger possono anche diventare Sherman.
L'importante è non essere mai Carri fascisti tipo L o M, spesso e volentieri così scadenti da essere più pericolosi per gli equipaggi che per i nemici.
Storicamente, la decisione di Hitler di puntare così tante risorse sui carri Tigre fu un suo ennesimo errore: costavano troppo e richiedevano troppe preziose risorse (pensate a quanta benzina consumava un carro Tigre) e il loro piccolo numero non bilanciò mai la gigantesca spesa necessaria per costruirli e gestirli. Con tutto quell'acciaio, quella benzina, si sarebbero potuti costruire molti più carri medi / cacciacarri / cannoni d'assalto più utili di quei giganteschi mostri che, magari invulnerabili ai proiettili, finivano più che decimati dalla mancanza di benzina, dai guasti meccanici o, banalmente, impantanati nel fango da cui non era possibile trainarli via.
Più o meno come la versione Capo Tigre del sottoscritto, che ho abbandonato lustri fa dopo qualche breve stagione, per rifugiarmi in un più modesto Sherman che, sin da allora, funziona benissimo.
E non mi ha mai fatto sentire solo di fronte alle vere sfide del mio Servizio.


PS: magari qui è scritto meglio...


9 febbraio 2024

U-Boot Type XXI: l'ultimo sommergibile, il primo sottomarino


U-2540 Revell, 1:144


Ho voluto provare, complice offertona prime day, l'assemblaggio di un modellino navale.

Per la mia 'prina volta' ho scelto un sommergibile tedesco della Seconda Guerra Mondiale.

Il Type XXI, il modello più moderno di u-boot, entrato in servizio solo nel 1945.

Dunque, dico subito che l'esperienza modellistica non è stata un gran che.

Il kit non è certamente roba da principianti, soprattutto per le istruzioni che non mi sono sembrate all'altezza della complessità del montaggio.

Forse è solo il primo impatto con il mdellismo navale e le modalità di costruzione non familiari.

Ma ammetto di non essermi divertito fino a quando ho tagliato la testa al toro e ho deciso di dipingere tutti i pezzi residui direttamente sullo sprue.

Così, l'assemblaggio è diventato di gran lunga meno frustrante: delle 55 fasi previste dal manuale ho impiegato un mese a farne la prima trentina e, con questo metodo, meno di una settimana a completare il tutto.

Alla fine, il risultato è migliore delle aspettative, ma non so se ripeterò l'esperienza navale.

C'è anche da aggiungere che 'sto aggeggio è parecchio ingombrante e penso che lo regalerò appena possibile.

Tenete presente che, anche se appassionato, la mia competenza in ambito navale è rudimentale.

Veniamo, quindi, all'U-2540

E' il papà di tutti i moderni sommergibili diesel elettrici.

Iniziamo proprio dalla parola sommergibile.

In italiano c'è una netta distinzione tra sommergibile e sottomarino. 

Per gli anglosassoni non è così, ma noi, stranamente, siamo più precisi.

Dunque, il sommergibile è un battello che può immergersi ma per lo più naviga in emersione.

Quasi tutti i sommergibili della Prima e Seconda Guerra Mondiale erano, appunto, sommergibili: partivano e navigavano in emersione e si immergevano solo per il combattimento.

In immersione, i sommergibili si muovevano solo grazie all'energia accumulata nelle batterie sfruttando motori elettrici di potenza limitata.

Autonomia e velocità erano scarsine.

Per non parlare della riserva d'aria...

Giusto per farvi un'idea, gli u-boot Type VII (il modello più diffuso, con oltre 700 esemplari, usato dai nazisti) aveva una velocità massima di 17 nodi in superficie usando i motori diesel e solo 7 in immersione  usando i motori elettrici (velocità a cui le batterie si sarebbero esaurite in pochissimo tempo).

I sottomarini, invece, sono in grado di navigare e combattere in immersione senza mai emergere.

Ad esempio, i moderni sottomarini a propulsione nucleare sono, appunto, sottomarini: energia (e anche il riciclo dell'aria) sono forniti da un reattore nucleare, quindi l'autonomia in immersione è legata solo alla resistenza dell'equipaggio (e alle scorte di cibo).

Il nostro Type XXI è stato, probabilmente, tra i primi sottomarini in quanto poteva navigare usando i motori diesel in immersione, era dotato di batterie più moderne e più capienti tanto che la sua velocità massima in immersione era di ben 17 nodi.

Il Type XXI era dotato di Snorkel: non siete mai andati al mare con maschera e boccaglio? Ecco, allora anche voi avete usato uno snorkel.

In parole povere, dalla falsa torre del sottomarino spuntavano un paio di tubi che, mentre il natante era immerso a pelo d'acqua (ma invisibile), aspiravano l'aria fresca da un lato e buttavano fuori quella viziata e i gas di scarico dei motori diesel dall'altro.

Il sistema funzionava mediocremente per quanto riguarda la qualità dell'aria cosiddetta fresca a disposizione dell'equipaggio, ma permetteva al battello di restare praticamente sempre immerso (cosa obbligatoria dopo il 1944 quando il dominio dei cieli Alleato sull'Atlantico era assoluto).

Inoltre, i tubi degli snorkel erano ben visibili e rilevabili dai radar.

Nota: quello del ritardo nell'adozione dello snorkel è un capitolo che andrebbe trattato a parte: pur disponendo già nel 1940 della tecnologia necessaria (con tanto di esemplari funzionanti trovati su sottomarini olandesi di preda bellica), la marina nazista si decise ad installare gli snorkel solo alla fine del 1944 sui Type VII quando era ormai troppo tardi. Se avete visto il film U-Boot 96 (Das Boot) o letto il romanzo omonimo di  Lothar-Günther Buchheim da cui il film è tratto potete ben immaginare quanto sarebbe stato fondamentale, per gli equipaggi dei Type VII, disporre, fin dal 1941, dello snorkel.

Ecco, mi imbatto spesso in discorsi più o meno teorici su cosa avrebbe permesso ad Hitler di vincere la Seconda Guerra Mondiale.

Questi ragionamenti, in genere, sono piuttosto sterili perché non tengono quasi mai conto della complessità della guerra industriale. I "sarebbe bastato che" si sprecano esattamente come quelli sull'Ucraina o Israele. Nella maggior parte dei casi ci si riferisce a sistemi d'arma singoli che se tempestivamente sviluppati e correttamente utilizzati avrebbero solo aumentato il conto del macellaio o prolungato la guerra (ES: il Me-262 usato subito come intercettore puro), oppure a possibilità altamente irrealistiche (tipo la conquista dell'Inghilterra).

Ma l'introduzione dello snorkel a fine 1940 (magari a seguito della cattura dell'esercito inglese a Dunkerque), beh, quello sì che avrebbe potuto metter fuori gioco l'Inghilterra entro l'estate del 1941.

Con tutte le conseguenze del caso.

Ma torniamo al nostro sottomarino.

Poveva viaggiare in immersione a 17 nodi e rimanerci ben più a lungo dei vecchi modelli.

Solo due esemplari entrarono in servizio nel 1945 ma, in pratica, non entrarono mai in combaattimento.

Dopo la guerra, un gran numero di battelli più o meno completi fu confiscato dai vincitori e i primi sommergibili diesel elettrici sia sovietici che americani del dopoguerra sono visibilmente ispirati al Type XXI.

Un  unico esemplare fu ripescato dagli abissi, restaurato e usato dalla nuova marina tedesca per addestramento e sperimentazione, appunto l' U-2540.

Nonostante la meritata fama, le campagne sottomarine tedesche  delle due guerre mondiali furono un fallimento.

Quella della Prima Guerra Mondiale provocò l'ingresso in guerra degli USA senza riuscire a strangolare l'Inghilterra.

Quella della Seconda Guerra Mondiale non riuscì a bloccare i convogli alleati.

Di contro, ci fu un'altra offensiva sottomarina che raggiunse i risultati prefissati da chi l'aveva scatenata: quella che gli USA effettuarono contro il Giappone che vide colare a picco la maggior parte della propria flotta mercantile.

Ah, visto che ci sono: anche durante la guerra delle Falkland, quarant'anni dopo, i sottomarini ebbero un ruolo strategico fondamentale costringendo la marina argentina nei porti.

Mi sono dilungato troppo e non è questo certo il luogo per fare un bignami di storia della guerra sottomarina.

I sottomarini sono macchine affascinanti, dai limitati impieghi pacifici.

Ma sono anche delle vere e proprie 'astronavi', perché permettono all'uomo di vivere e viaggiare in un ambiente completamente ostile, inospitale e letale.

Hanno il loro fascino legato all'esplorazione ma sono per lo più macchine letali e come tali vanno considerati.

























3 febbraio 2024

Il Cavallo Rosso: Vita e Destino in Brianza



Mi sono accostato a Eugenio Corti per caso: ho scovato, su una bancarella, una vecchia copia de "Gli ultimi soldati del Re", un suo romanzo autobiografico ambientato tra i soldati italiani che combatterono i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Sono stato attratto soprattutto dall'argomento, dato che i libri sulla lotta al nazifascimo da parte dell'Esercito Italiano sono pochissimi, soprattutto se confrontati con quelli sulla lotta al nazifascimo da parte dei partigiani.

Trovo solo malafede in chi vorrebbe contrapporre in qualsivoglia misura questi due esempi di sacrificio e lotta per la Libertà.

Ma poi sono stato coinvolto dalla sua scrittura.

Dal suo pensiero.

E ho deciso di affrontare il suo romanzo più famoso.

Non sapevo nulla de "Il Cavallo Rosso", solo quello che riportava wikipedia.

Beh, quando mi sono trovato di fronte un tomo di oltre mille pagine (1080 per la precisione) ho immediatamente pensato che sarebbe stato un bel viaggio.

E così è stato.

Il Cavallo Rosso è il "Vita e Destino" degli italiani.

Perché, è vero, c'è una parte del romanzo che è completamente obsoleta (quella sulla morale sessuale cattolica), ma tutto il resto, purtroppo per noi tutti, è terribilmente attuale.

Il romanzo è una saga plurifamiliare che inizia con la Seconda Guerra Mondiale e si conclude nei primi anni '70.

I momenti più drammatici sono quelli legati alla ritirata di Russia e alle disumane condizioni in cui erano tenuti non solo i prigionieri di guerra italiana, ma una rilevante fetta della stessa popolazione sovietica vittima della ferocia di Stalin.

Se Vita e Destino è il romanzo della Libertà, Il Cavallo Rosso è quello della responsabilità.

La responsabilità fraterna.

La responsabilità dell'uomo verso l'uomo, sia il prossimo che lo sconosciuto.

La responsabilità che attanaglia l'industriale, lo scalpellino, il contadino, l'ufficiale e persino lo scrittore.

La responsabilità duplice della testimonianza cristiana e del benessere materiale di chi ci circonda, incluso l'Ambiente.

Un elemento originalissimo è quello della trascendenza nell'aldilà che Corti inserisce nel testo come elemento naturale della Vita.

Ma c'è un altro aspetto che ci tengo a sottolineare:

la Brianza e Milano.

Devo confessarlo: fino all'esperienza nella redazione di Proposta Educativa i milanesi sono stati piuttosto indecifrabili ai miei occhi.

Nel senso che ne avevo conosciuti da vicino un paio, ma non mi tornavano i conti.

Ecco, il Cavallo Rosso contiene una descrizione della fibra morale di una comunità che è sopravvissuta, minoranza tra le minoranze, alla Milano da bere, al ventennio berlusconiano e alla catastrofe edonistica del XXI secolo.

Non credo siano rimasti in molti, oltre agli scout per intenderci, a vivere secondo quell'etica industriosa e cristiana.

Ma penso che siano ancora abbastanza tanto da dar seme e portar frutto.

Capisco bene come un capolavoro come Il Cavallo Rosso abbia incontrato l'ostracismo della sinistra (e della destra se è per questo).

E' un romanzo che si oppone alle ideologie del XX secolo considerandole, proprio come in Vita e Destino, due facce della stessa medaglia: quella della disumanità del totalitarismo.

Non è un romanzo semplice e non è qualcosa che farei leggere nelle scuole (ma all'università sì).

Ma è una lettura che dovrebbe far parte del bagaglio di chi fosse intenzionato a ricostruire un'etica condivisa estranea a scelte ideologiche, base per una proposta politica che vada ad incunearsi tra i populismi e i resti ideologizzati di una sinistra completamente incoerente e priva di lungimiranza.

Sì, mi riferisco all'antioccidentalismo per partito preso e alle femministe/movimenti LGBTQ che marciano per Hamas.

Non ho gli strumenti per una critica ragionata e tecnica, quindi non vado oltre.

Probabilmente qualcuno storcerà il muso di fronte al mio paragone tra l'opera di Corti e quella di Vasilij Grossman. Ma prima di farlo suggerisco di leggere entrambe le opere soprattutto alla luce della crisi legata all'ascesa delle dittature neofasciste/ neostaliniste di questi anni.

E dedico queste righe a Vanda di Marsciano Corti,  Moglie di Eugenio, venuta a mancare proprio questa settimana.









31 gennaio 2024

Operation Carthage: War, War never changes.

Nel 1945 la Resistenza Danese chiese agli Alleati di bombardare un edificio di Copenaghen: il quartier generale della Gestapo Nazista.

La situazione della Resistenza era disperata e, nonostante la presenza di partigiani detenuti usati come scudi umani dai nazisti,  Ole Lippmann, uno dei capi della Resistenza Danese, chiese più volte che la RAF distruggesse l'edificio.

Gli inglesi erano riluttanti a causa degli elevati rischi di attaccare in pieno giorno un obiettivo ben difeso al centro di un'area densamente popolata da civili alleati ma, alla fine, cedettero.

La Shellhus (un moderno edificio di acciaio e cemento) apparteneva alla compagnia petrolifera Shell ma era stato confiscato dalla Gestapo ed usato come quartier generale.

L'attacco fu effettuato il 21 marzo 1945 da tre ondate di bombardieri leggeri Mosquito scortati da caccia Mustang.

I bombardieri della prima ondata colpirono il bersaglio.

Purtroppo, la contraerea tedesca abbattè un Mosquito che precipitò in una strada adiacente ad una scuola.

Le ondate d'attacco successive scambiarono l'incendio scaturito dal bombardiere abbattuto per quello proveniente dal quartier generale della Gestapo colpito e attaccarono quel punto invece che il bersaglio distruggendo la scuola.

La missione fu considerata un successo dai partigiani danesi dato che in Danimarca la Gestapo, praticamente, smise di funzionare per il resto della guerra.

20 partigiani danesi riuscirono a scappare e 9 aviatori inglesi morirono nel raid.

Assieme a 55 membri della Gestapo e 47 danesi collaborazionisti.

E, purtroppo, assieme a 123 civili danesi, di cui 8 prigionieri della Gestapo (gli scudi umani) e ben 87 bambini che erano nella scuola.

Fonti:

https://milhist.dk/the-bombing-of-the-shellhus/

https://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Carthage

Storia Militare N.365

memoriale per le vittime civili


Veniamo al dunque: i piloti inglesi commisero un crimine di guerra?

Di chi è la responsabilità di queste morti innocenti?

Io ritengo che la corretta risposta a queste domande sia alla base della nostra democrazia assediata e del nostro benessere e libertà (assai poco meritati).

Tra un soldato che ammazza e si fa ammazzare per impedire lo stupro e l'omicidio di una donna, un aviatore che sgancia una bomba sui nazisti ma colpisce una scuola e le SS di Auschwitz c'è o non c'è differenza?

Scelgo di non dare qui risposte, eccetto ricordare che la guerra è di per sé un crimine.

E' piuttosto evidente come non sia stato completato il passaggio culturale, in Occidente, che, da un lato vede la guerra illegale e criminale (ma solo se a sparare sono gli Occidentali) e dall'altro vagheggia di una guerra ideale simile alle giostre dei cavalieri medievali (con tanto di patriarcato).

Non solo: citando De André: Un ladro non muore di meno.

E concludo con Manzoni:

 «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi»

C'è o non c'è differenza ?


27 gennaio 2024

La Giornata della Memoria di Kfar Aza



Questo 27 gennaio è un giorno di lutto.

La memoria è andata perduta assieme al discernimento.

L'Oblio è sceso sulla speranza e quel che è stato sarà ancora, anche grazie a chi non si è mai neppure accorto del Pogrom di Kfar Aza.

Altro che memoria.

L'Oblio è fatto da una cappa di ignoranza ciuccia e presuntuosa, banale come il male, a livello di terrapiattismo.

L'antisemitismo è il cancro dell'Occidente e ne divora la libertà uccidendo dove si illude di parlare di pace.

Le folle di Chamberlain sono le stesse di Barabba.

E si vede.


 

18 gennaio 2024

#Bologna30 accelerare e decelerare non fa arrivare prima...

Velocità media il 17/01/2024 su un percorso con limite orario 50 (Benzinaio IP di via dell'Industria --> Sede Scout di Villanova di Castenaso)

Questa foto indica la velocità media della mia auto su un percorso di poco meno di 3 km.

Ma dove?

No: non in zona 30.

Ho fatto il pieno alla IP di Via dell'Industria direzione Castenaso.

Ho azzerato il contachilomentri ed il computer di bordo.

E sono andato ad una riunione scout a Villanova (Castenaso, non Bologna).

Tutte strade con limite 50.

Ho fatto il tragitto alle ore 19: traffico scarso o nullo.

Eppure, la velocità media è stata di 29 km/ora.

E non ho neppure trovato il passaggio a livello abbassato.

Perché?

Perché è normale così: un minimo di traffico, la normale prudenza nel rallentare alle intersezioni, alle rotonde.

E poi basta aspettare meno di trenta secondi in coda alla rotonda e trovarsi il semaforo pedonale rosso ed ecco che la realtà si impone su questa ennesima levata di scudi a difesa del diritto di uccidere al volante.

Le limitazioni di Bologna30 sono immaginarie, le vittime della velocità sono reali.

Rallentare non significa allungare il viaggio ma solo diminuire il tempo passato in coda (in attesa del verde o semplicemente in coda e basta).

Date retta alle vostre stesse auto: accelerare e decelerare non fa arrivare prima...


la velocità media dell'auto a giugno 2023 su percorsi ora zona 30 (tipicamente dentro il quartiere San Donato)


PS: questa seconda foto indica la velocità media dell'auto a giugno 2023 su percorsi ora zona 30 (tipicamente dentro il quartiere San Donato) quando il limite era di 50. Come Volevasi Dimostrare. 

#bologna30 #bologna #bastamortinstrada

17 gennaio 2024

VOI NON MERITATE IL NOSTRO DOLORE

 Ci avete chiamati. Ci avete accolti con calore nelle vostre scuole. O anche in sale istituzionali dove abbiamo incontrato partecipi cittadini.

Avrete capito che sto alludendo a me ma, naturalmente, anche ai tanti ebrei della mia generazione che hanno scelto di testimoniare.

Ci avete chiesto frastornati “ma perché non vi siete difesi?”. Ci avete chiesto indignati “Come è possibile che il nostro pianeta abbia permesso questa strage?”. Gli abitanti dei paesi contigui sapevano, dicevate. Sapevano di quella colossale industria della morte ad un passo da casa loro. Potevano provare a gridarlo forte.

Ammirevoli docenti hanno diviso con noi lo sforzo di far percepire tracce di quel racconto che non si può raccontare. Validi sindaci di numerose città hanno organizzato per voi viaggi nei campi dello Sterminio. Molti ragazzi ne sono usciti sconvolti, qualcuno non riusciva più a destreggiarsi in mezzo a quel tumulto di emozioni.

Sia chiaro però. Non era la trasmissione della sofferenza che volevamo riversare su voi. Ci mancherebbe! Era solo un invito a mettere in moto la conoscenza, quella che, se funziona, si trasforma in coscienza.

È appena capitata l’occasione di parlarvi del 16 Ottobre (1943) data simbolo della retata di ebrei italiani per mano degli invasori tedeschi.

Sono passati ottanta anni da quel sabato nero.

E ora?

Come è possibile? Come è possibile che sia successo ancora una volta? Un altro ottobre del tutto simile a “quell’ottobre lì”.

Di nuovo porte ebraiche abbattute con violenza. E con la stessa mirata violenza strage di giovani in festa, di neonati al calore delle loro madri, di bambini e giocattoli, di anziani all’insegna di una aggrovigliata saggezza, di donne braccate come prede.

“L’irraccontabile” è riuscito a riproporsi. Non ci avremmo mai creduto.

E cosa ha risposto l’opinione pubblica? Intendo dire molti tra quelli che ci domandavano “perché non vi siete difesi?”.

Ora ci siamo difesi e voi avete incominciato (o ricominciato) a odiarci.

Un attimo di raccapriccio appena appresa la notizia, questo sì, ma proprio un attimo.

Subito dopo, ecco riaffiorare i “però”, e i “ma”, “insomma è Israele il vero colpevole di quanto è accaduto. Israele che non ha mai voluto prendere atto dei diritti del popolo palestinese”.

Ho detto “subito dopo” non per caso. Va ricordato che questa presa di distanza è cominciata ben prima che lo Stato ebraico desse inizio all’attacco di risposta nella striscia di Gaza. La guerra è sempre terribile e nessuno di noi, ebrei o non ebrei, riesce ad emergere dall’angoscia di fronte alle tragiche immagini di civili innocenti martoriati che scorrono davanti ai nostri occhi. Ma questa condivisione dovrebbe trovare riscontro anche dall’altra parte. Come è successo che di colpo il male del mondo sia rappresentato solo dall’israeliano o, in modo più spicciativo, dall’ebreo?

Ma come mai i predoni del 7 ottobre 2023 si vantavano al telefono con un “mamma! Ho ucciso 30 ebrei”. Ebrei, non Israeliani. La cosiddetta giustificazione politica ha mostrato il suo vero volto. Si tratta solo del classico antico odio antisemita.

Su questi particolari però l’opinione pubblica preferisce non soffermarsi. Non ci ha messo molto tempo a far sua la vecchia-nuova variante.

Un altro chiarimento però. Non è andata così per tutti. Le menti pensanti, coloro che formano il loro giudizio basandosi sulla conoscenza, su studi specifici, sulla difesa dei valori democratici, hanno fatto sentire in gran numero la loro voce.

Per quello che mi riguarda personalmente posso affermare, senza aver inforcato i classici occhiali rosa, che nella mia cerchia nessuno ha pensato di schierarsi coi nemici dello Stato ebraico. Ne vedevano gli errori politici, questo sì, ma anche noi ebrei li vediamo e ci ragioniamo sopra.

Io parlavo di “opinione pubblica” riferendomi alle ondate che hanno invaso le piazze, le scuole, le Università, là dove si gridava “sono con Hamas” senza pensare (o forse sì) che con una piccola frase stavi aderendo al “morte agli Ebrei” unico vero obiettivo della Hamas-militanza.

Ed ecco di conseguenza gli israeliani e gli ebrei respinti dalle fiaccolate, dalla Marcia della Pace, dal manifestare contro la violenza sulle donne, mentre la Rettrice di una Università americana di fronte al quesito: “invocare il genocidio degli ebrei viola le nostre regole di condotta?” sceglie di rispondere “dipende dal contesto”.

Ma allora l’attenzione che ci avevate dedicato nelle vostre aule non era autentica. Ha fatto così presto a volar via!

È volata via per correre a far parte di quel paradiso progressista (così l’ha chiamato lo scrittore israeliano Etgar Keret) dove scatta dall’alto una specie di parola d’ordine. È là che si fanno scelte tra Stati buoni e Stati malvagi. Va da sé che Israele rientra nella seconda categoria.

È per questo che mi sento di dirvi: VOI NON MERITATE IL NOSTRO DOLORE.

Il dolore è sacro. Il dolore ha bisogno di grande rispetto. Chiunque non lo percepisce nel suo senso profondo, profana e immiserisce anche la tua sofferenza. Un mi dispiace e via non ci aiuta, anzi.

Su come rapportarci quest’anno con le celebrazioni del Giorno della Memoria si sta molto discutendo in ambienti ebraici. Non è facile individuare la posizione giusta. L’ebraismo è una religione di studi, di dubbi, domande e discussioni. Il dogma non esiste. Ognuno farà la sua scelta giusta o sbagliata.

Per quello che mi riguarda sono assillata dai dubbi.

È vero: ho appena espresso quel voi non meritate il nostro dolore e quindi la mia risposta dovrebbe essere di conseguenza.

Invece no. Il pessimismo è un lusso che l’ebraismo non si può permettere ha scritto un Nobel della letteratura.

Non è solo questo. Nelle scuole che comunque ci attendono i ragazzi ascolteranno quello che, nei nostri limiti, cercheremo ancora di trasmettere. Forse qualcosa gli resterà dentro.

Parafrasando il celebre “chi salva una vita salva il mondo” mi viene da immaginare che chi contribuisce a salvare una coscienza potrà salvare il pensare del mondo. 

Lia Levi. Sopravvissuta all'Olocausto.

Sopravvissuta?

12 gennaio 2024

Pivpn su sistemi debian/ubuntu based non supportati - PiVPN for unsupported Debian/ubuntu derivatives



 PiVPN è un ottimo sistema per realizzare velocemente un server vpn domestico.

E a che serve?

Beh, fondamentalmente a collegarsi da remoto al pc di casa vostra.

Realizzare una vpn è una faccenda relativamente complessa e richiede un minimo di competenza anche usando PiVpn che è un software in grado di automatizzare il 95% delle attività di installazione e configurazione.

Ma quel 5% residuo (procurarsi un DNS dinamico, aprire le porte del router, definire un IP statico per il server ecc.) va fatto a mano. Il wizard di PiVpn è ben fatto ma non fa miracoli.

Tuttavia tra 100 e 5 c'è una bella differenza e un gran risparmio di tempo e fatica.

Personalmente, infatti, ho configurato più volte server VPN partendo da zero ed è un compito, ormai, più noioso che impegnativo e preferisco usare PiVpn e risparmiarmi la noia.

Ma c'è un problema:

PiVPN si installa solo e soltanto su 

Raspbian and Raspberry PI OS bastai su Debian Stretch, Buster e Bullseye. Su Ubuntu Server, DietPi e

Alpine Linux.

E le derivate di Debian/Ubuntu?

Beh, la documentazione dice che potrebbe funzionare ma loro non danno supporto in merito.

Di fatto, l'installer di PiVPN si rifiuta di proseguire se non rileva i sistemi operativi supportati ufficialmente.

E allora come si fa?

Ecco qua il trucchetto:

Per esempio, da Linux Mint è necessario modificare (momentaneamente) il file /etc/os-release come segue: dopo il setup si può rimettere tutto come stava prima. Su Mint 21.1 e LMDE6 poi PiVPN si installa e funziona perfettamente:


#NAME="Linux Mint"

#VERSION="21.2 (Victoria)"

#ID=linuxmint

#ID_LIKE="ubuntu debian"

#PRETTY_NAME="Linux Mint 21.2"

#VERSION_ID="21.2"

NAME="Ubuntu"

VERSION="22.04 (Jammy)"

ID=ubuntu

ID_LIKE="ubuntu debian"

PRETTY_NAME="Ubuntu 22.04"

VERSION_ID="22.04"

HOME_URL="https://www.linuxmint.com/"

SUPPORT_URL="https://forums.linuxmint.com/"

BUG_REPORT_URL="http://linuxmint-troubleshooting-guide.readthedocs.io/en/latest/"

PRIVACY_POLICY_URL="https://www.linuxmint.com/"

VERSION_CODENAME=victoria

UBUNTU_CODENAME=jammy


oppure, per LMDE


#PRETTY_NAME="LMDE 6 (faye)"

#NAME="LMDE"

#VERSION_ID="6"

#VERSION="6 (faye)"

#VERSION_CODENAME=faye

#ID=linuxmint

#HOME_URL="https://www.linuxmint.com/"

#SUPPORT_URL="https://forums.linuxmint.com/"

#BUG_REPORT_URL="http://linuxmint-troubleshooting-guide.readthedocs.io/en/latest/"

#PRIVACY_POLICY_URL="https://www.linuxmint.com/"

#ID_LIKE=debian

NAME="Debian"

VERSION="12"

DEBIAN_CODENAME=bookworm

ID=debian


Dopodiché, basta lanciare curl -L https://install.pivpn.io | bash da un terminale root e seguire il wizard. Ed il gioco è fatto: in pochi minuti avrete il vostro server vpn.


In Google Translator's English:


PiVPN is an excellent way to quickly create a home VPN server.

And what's the point?

Well, basically to connect remotely to your home PC.

Creating a VPN is a relatively complex matter and requires a minimum of expertise even using PiVpn which is software capable of automating 95% of installation and configuration activities.

But that remaining 5% (procuring a dynamic DNS, opening the router ports, defining a static IP for the server, etc.) must be done by hand. The PiVpn wizard is well done but doesn't work miracles.

However, between 100 and 5 there is a big difference and a great saving of time and effort.

Personally, in fact, I have configured VPN servers several times starting from scratch and it is now a task that is more boring than challenging and I prefer to use PiVpn and save myself the boredom.

But there's a problem:

PiVPN installs only and only on Raspbian and Raspberry PI OS based on Debian Stretch, Buster and Bullseye. On Ubuntu Server, DietPi and Alpine Linux.

What about Debian/Ubuntu derivatives?

Well, the documentation says it might work but they don't support it.

In fact, the PiVPN installer refuses to continue if it does not detect officially supported operating systems.

So how do you do it?

Here's the trick:

For example, from Linux Mint it is necessary to (temporarily) modify the /etc/os-release file as follows: after setup you can put everything back as it was before. On Mint 21.1 and LMDE6 then PiVPN installs and works perfectly:

#NAME="Linux Mint"

#VERSION="21.2 (Victoria)"

#ID=linuxmint

#ID_LIKE="ubuntu debian"

#PRETTY_NAME="Linux Mint 21.2"

#VERSION_ID="21.2"

NAME="Ubuntu"

VERSION="22.04 (Jammy)"

ID=ubuntu

ID_LIKE="ubuntu debian"

PRETTY_NAME="Ubuntu 22.04"

VERSION_ID="22.04"

HOME_URL="https://www.linuxmint.com/"

SUPPORT_URL="https://forums.linuxmint.com/"

BUG_REPORT_URL="http://linuxmint-troubleshooting-guide.readthedocs.io/en/latest/"

PRIVACY_POLICY_URL="https://www.linuxmint.com/"

VERSION_CODENAME=victoria

UBUNTU_CODENAME=jammy


and, for LMDE


#PRETTY_NAME="LMDE 6 (faye)"

#NAME="LMDE"

#VERSION_ID="6"

#VERSION="6 (faye)"

#VERSION_CODENAME=faye

#ID=linuxmint

#HOME_URL="https://www.linuxmint.com/"

#SUPPORT_URL="https://forums.linuxmint.com/"

#BUG_REPORT_URL="http://linuxmint-troubleshooting-guide.readthedocs.io/en/latest/"

#PRIVACY_POLICY_URL="https://www.linuxmint.com/"

#ID_LIKE=debian

NAME="Debian"

VERSION="12"

DEBIAN_CODENAME=bookworm

ID=debian


After that, just run curl -L https://install.pivpn.io | bash from a root terminal and follow the wizard. And that's it: in a few minutes you will have your VPN server.