1 settembre 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: Raffaele

 




Raffaele

Anna, Amore mio’.

Tre parole e due segni di punteggiatura che in quegli anni erano sempre nei suoi pensieri.

Quando Raffaele entrò in casa al ritorno dalla Route Estiva ebbe una breve crisi di pianto.

Finalmente era finita e la tensione accumulata, sia per la responsabilità, che per controllare il proprio stato emotivo, esplose in pochi minuti di lacrime silenziose.

Anna, Amore mio’.

Le notti di quella settimana  erano state durissime, come tutte le notti di Campo.

Il cielo stellato sopra il Gran Sasso aveva riempito di meraviglia i ragazzi, ma, per Raffaele, era solo memoria del lavoro unita alla nostalgia del volto di Anna.

Quando conosci i nomi delle stelle’. Pensava: ‘Quando ne conosci la natura, quando quella meraviglia che anche io provavo sin da bambino si infrange sempre contro la tua mancanza, il cielo stellato è una maledizione’.

La Route era andata bene, nonostante l’assenza di Mario e Michela. 

Beh, forse grazie alla loro assenza.

Una cattiveria per cui si sarebbe, a suo tempo, confessato.

Dopo essersi lavato mise in moto la prima lavatrice e iniziò a sistemare il resto dello zaino.

Gavetta, spiritiera, tazza, posate: in lavastoviglie.

Il coltello l’avrebbe lavato a mano.

Si interruppe e accese lo stereo che aveva in soggiorno.

Finalmente, il silenzio fu spezzato da Mozart.

Sarebbe andato a pranzo dai suoi genitori, poi una pennichella sul suo letto di ragazzo.

Piano piano, la musica iniziò a raddrizzargli la giornata.

La malinconia, a cui era ormai abituato tanto da non distinguere più la sua presenza dalla sua assenza, si diluì tra le note.

Qualche ora dopo, quando si svegliò, nel tardo pomeriggio, a casa dei suoi genitori, la malinconia aveva lasciato spazio alla soddisfazione per la Route così felicemente conclusa.

La stanchezza per un ennesimo anno da Capo era compensata più che a sufficienza dai frutti che aveva raccolto.

Luca e Marco avevano preso la Partenza, era stato deciso di rifare la Carta di Clan, la Strada aveva compattato i ragazzi dopo un anno difficile.

Ma soddisfazione non equivale a entusiasmo.

Era stanco, ma non c’era sollievo all’orizzonte.

Si sentiva condannato a continuare a fare il Capo anno dopo anno, impegnando tutte le energie che gli restavano nello Scoutismo.

E, negli intervalli, come da ora a Ottobre, il vuoto.

Raffaele si preparò per la pizza di Clan con la costante e ondivaga altalenanza di intenzioni.

Diviso a metà tra la voglia di salutare i ragazzi e non incontrarli più per un pezzo.

Diviso a metà tra il desiderio delle voci giovani e quello del silenzio.

Non aveva ancora compiuto trent’anni e i ragazzi di venti gli sembravano suoi figli.

Ma non aveva modo di sottrarsi ai suoi doveri: disertare la pizza di Clan era fuori discussione, i ragazzi avrebbero potuto mal interpretare la sua assenza.

La calura del pomeriggio era opprimente.

Raffaele, salutati i suoi, se ne tornò a casa  per rinfrescarsi e cambiarsi.

Aveva appena finito di farsi la doccia quando chiamò Michela, la Capo Fuoco.

Era un Medico piuttosto noto in città i cui impegni lavorativi avevano ostacolato la sua partecipazione alle attività del Clan. Era una donna diretta e pochissimo diplomatica, qualità che, invece, aveva in abbondanza il Capo Clan, professore di Italiano in un Istituto Tecnico. Erano stati Capi per molti anni ma, ultimamente, avevano lasciato sulle inadeguate spalle di Raffaele gran parte della conduzione dell’Unità.

«Ciao Raffaele, fatta la doccia?»

«Sì Miki, fatta la doccia fatta la pappa da mamma e fatta pure la nanna. Ci vediamo stasera?»

«Sì, almeno quello ve lo devo. E’ andato tutto bene? Anzi, scusami, mi avresti già chiamato se fosse andato storto qualcosa, quindi, tu come stai?»

Michela era radiologa e non psichiatra ma sapeva della sua lunga depressione.

«Sono stato molto peggio, sono cautamente ottimista ma non mi azzardo a risponderti ‘bene, grazie e tu’».

«Senti Raffaele, tu che intenzioni hai per l’anno prossimo?»

«Dovrei andarmene, vorrei restare».

«Giusto il contrario di quanto sarebbe sano. Lo faresti il Capo Clan con me?»

Oddio, no!

«Lo odi così tanto il Gruppo?»

Michela rise.

«Il mio diarca non ce la fa più e io nemmeno, ma a livello formale posso comunque darti una mano, i numeri della Co.Ca. li conosci: siamo in sette e resteremo in sei a ballare l’alligalli, di cui una, la sottoscritta, sulla carta».

«Ci sono Luca e Marco».

«Sono bravi ragazzi ma non puoi contare su di loro, su Marco soprattutto: dureranno un po’ ma poi università e lavoro se li papperanno. Ah, a proposito, come l’ha presa Marta la nostra decisione?»

Raffaele pensò a Marta.

La Marta bambina del primo anno di reparto, la Marta giovane donna che aveva salutato alla stazione poche ore prima.

Ognuno delle ormai centinaia di ragazzi di cui era stato Capo era stato speciale ai suoi occhi e Marta non faceva eccezione. 

E non per i suoi talenti di cui Raffaele aveva, da tempo, perso il conto.

Nuotatrice, cuoca, sarta, infermiera, atleta, campeggiatrice, aveva finito lo spazio sulla manica della camicia per le specialità e i brevetti. Ma per quella sua rara capacità di non riversare mai sugli altri il proprio dolore. Nell’ultimo anno Marta era molto cambiata. Non era mai stata arrendevole ma ora la sua determinazione sfiorava la cocciutaggine. Raffaele le voleva bene per un motivo semplice: nonostante fosse popolarissima nella ristretta cerchia del Clan, nonostante la sua stretta amicizia con Giulia, Marco e Luca, sentiva a pelle che era terribilmente sola. Non era pronta a lasciare la protezione del Clan, forse l’unico gruppo di suoi pari in cui nessuno l’avesse mai  presa in giro o umiliata per il suo aspetto fisico. E, poi, Raffaele sapeva di essere stato l’idolo di Marta per molti anni, ma era bastato un ‘no’ inaspettato per crollare ai suoi occhi. Una cosa del tutto normale: quando era Capo Reparto la maggior parte dei suoi ragazzi passati in Clan  lo salutava a stento.

Ma lui non  se l’era mai presa: faceva parte del gioco. Però, pensare che anche Marta di lì a qualche tempo gli avrebbe solo fatto ciao con la manina dall’altro lato della strada gli faceva pregustare l’amarezza del momento. 

O, più probabilmente, non era pronto a smettere di proteggerla.

Cosa che, negli anni, aveva dovuto fare molte volte con tanti ragazzi.

Ma il dovere prima di tutto.

«Male: da quando le ho detto di no mi ha guardato con ostilità».

«Ma hai assolutamente ragione: non è pronta per la Partenza anche se da fuori sembra una Giovane Marmotta piena di medaglie del Gran Mogol la ragazza avrebbe bisogno di ben altri stimoli e di maturare emotivamente».

«Beh, come futuri Capi del Clan almeno partiamo bene: una decisione scomoda presa noi due contro il resto del mondo».

«Già, non ci avevo pensato. E’ giusto che segua la sua strada ma un altro anno di Clan le avrebbe fatto bene o almeno ci sarebbe stato spazio per provare a farla sbloccare. Sai, nel caso, l’avrei mandata a fare Servizio extrassociativo. Tu che la conosci da sempre convincila ad entrare in un Gruppo lì a Torino, magari c’è un Clan Universitario».

«Marta è molto …»

Sfortunata? Sofferente? Sola?

«Marta mette una grande forza e tutta la sua intelligenza in tutto quello che fa, se la caverà benissimo anche senza scautismo. Comunque, ci proverò».

«Raffaele?»

«Sì?»

«Scusami per averti abbandonato. Se pensi che non sia possibile fare come ti ho proposto, troveremo un’altra soluzione».

«Grazie Michela, ci penserò. Ci vediamo lì allora?»

«No, ti passo a prendere: il minimo che posso fare è lasciarti tracannare un paio di birre in serenità».

Michela arrivò puntuale e Raffaele si meravigliava sempre di quanto, senza uniforme scout addosso, fosse così diversa.

«Ti sei abbronzato uaglio’ e sei un fascio di muscoli! Hai messo su proprio un bel figurino».

«Grazie Michela, anche tu sei in gran forma, a casa tutto bene?»

«Ah, sposati una scout, ti dico solo questo».

«Ci ho provato».

Raffaele non poteva credere di aver pronunciato una battuta di così cattivo gusto, oltraggiosamente offensiva per tutte le persone coinvolte. 

Ma Michela non solo non si scompose ma evitò silenzi imbarazzati.

«Stai decisamente meglio se fai ‘ste battute. Forza e coraggio uaglio’ che hai solo trent’anni e per almeno altri quaranta devi continuare a fare il Capo!»

Che bella prospettiva.

Michela era una Capo competente e attenta. 

Si informò su tutti i ragazzi, uno per uno, senza dimenticarne nessuno.

«Giulia l’anno prossimo sarà pronta. Per lei sarà dura senza Marta ma c’è poco da fare. Tra l’altro, sono sempre più convinto che andare a Torino sarà la salvezza di ‘sta ragazza. Ma per Giulia saranno mesi difficili: fa tanto la spavalda ma era Marta a tenerla in riga, speriamo non si perda».

Raffaele pensò si suoi compagni di strada nel Clan.

Non glie ne era rimasto accanto neppure uno.

Università e lavori lontani avevano prevalso su quel senso di fratellanza che  era vivo e vitale quando erano ragazzi.

I due Capi furono tra i primi ad arrivare in pizzeria e Raffaele colse al volo l’opportunità offertagli da Michela. Si precipitò al bancone per la prima birra gelata dopo una settimana abbondante di astinenza.

Il Clan arrivò alla spicciolata.

I ragazzi erano di una bellezza che gli feriva gli occhi.

Raffaele pensò: ‘Tra cinquant’anni, se sarò ancora vivo, saranno miei coetanei. Anche tra venti. Oggi, invece, i dieci anni di differenza sembrano un abisso invalicabile. Per fortuna’.

Le ragazze erano semplicemente splendide ma, per lui, erano ancora le bambine che aveva accolto in Reparto otto anni prima.

La birra fredda tracannata di getto (senza testimoni scomodi) attenuò il senso di angoscia e l’opprimente sensazione di essere guardato come su un piedistallo dal gruppo di ragazzi che iniziò ad affollarsi attorno ai due adulti.

L’esaltazione per la bella Route appena conclusa rendeva i ragazzi chiassosi ed eccitati.

Purtroppo, mentre l’angoscia si attenuava, gli cresceva in mente il disincantato cinismo che vedeva tutta la fragilità di quella Comunità Ideale.

Quei ragazzi, che assieme erano capaci di dedicarsi sia ai piccoli che agli ultimi in un Servizio sincero ed efficace,  si sarebbero dispersi per il mondo. 

All’epoca, Raffaele era troppo giovane per guardare oltre il suo limitato orizzonte e non aveva idea di come maturassero i frutti dello scoutismo, pur essendo lui stesso uno di loro.

La festa in pizzeria proseguì allegra ma si concluse abbastanza presto: erano tutti molto stanchi.

Marta si avvicinò  per salutare, dato che sarebbe partita a giorni per Torino.





Raffaele fece la solita battuta che ripeteva a tutte le Scolte su quanto fosse bella e le raccomandò di scrivere per ogni necessità.

Non era certo la prima volta che uno dei ragazzi del Clan che aveva conosciuto sin dall’infanzia se ne partiva per il Nord e, anche se non ci si fa mai il callo, sapeva anche quanto fosse inutile rimuginarci su.

Fu Michela a notare un piccolo dettaglio: «E’ la prima volta che vedo Marta vestita come le altre ragazze».

«E pensi che sia grave?»

«No, anzi, meglio tardi che mai, ma di sicuro vuol dire qualcosa».

Raffaele era alla terza birra impegnato da ore a scacciare cattivi pensieri e profonde riflessioni e l’abbigliamento di Marta, che era stata antipaticissima con lui per tutta la settimana, gli interessava ben poco.

Ma Michela proseguì: «Stacci dietro Raffae’, scrivile, mi raccomando».

«Agli ordini, Capo».


つづく

Nota di fine capitolo.

Con l'introduzione del punto di vista di Raffaele si chiude il primo capitolo del romanzo.

Spero che vi abbia incuriosito.

Procederò alla condivisione a puntate del secondo capitolo mentre inizio a preparare la pubblicazione su Kindle direct publishing (non è una faccenda banale).

Quando sarò pronto, ovviamente, ve lo farò sapere.

Penso di impostare il prezzo di acquisto sul minimo possibile, sia per la versione e-book che per quella cartacea.

Mi interessa che il testo sia diffuso: anche a pensare di fare soldi ne dovrei vendere centomila copie solo per potermi comprare un'utilitaria.

il mercato editoriale italiano è così, inutile pensare di guadagnare dalla scrittura, molto meglio guadagnare in merito per aver diffuso parole di speranza e conforto (che spero di aver scritto).

Grazie per la condivisione e l’aiuto.











31 agosto 2025

La Guerra Civile Spagnola di Anthony Deevor



Il mio interesse per la Guerra Civile Spagnola risale alle letture dei romanzi di Manuel Vázquez Montalbán di cui sono stato fedele lettore in gioventù. I suoi gialli dipingevano una Spagna devastata dalle conseguenze della dittatura fascista di Franco e fu proprio la sua biografia romanzata scritta da Montalbàn, Io Franco, a spingermi ad approfondire il tema.

Sono passati molti anni e ho deciso di rinfrescarmi la memoria.

Ho appena terminato questa monumentale opera sulla Guerra Civile Spagnola, un conflitto sanuinosissimo e feroce (praticamente non si facevano prigionieri)  che fece da prequel alla Seconda Guerra Mondiale.

In due parole: i militari fascisti si ribellarono al governo legittimo e la guerra civile che ne scaturì fu combattuta tra una coalizione di fascisti, conservatori e monarchici ed una di democratici, comuisti ed anarchici. 


In prtica, ci furono due guerre civili. 

Una tra la Repubblica ed i fascisti spagnoli (appoggiati da quelli italiani e dai nazisti tedeschi) e l'altra all'interno dell'opposizione al fascismo.

E non parlo di una faccenda simbolica, ma parlo proprio di polizia segreta (NKVD) che arresta, tortura, detiene (senza processo) militanti antifascisti del colore diverso. Decine di migliaia di soldati repubblicani furono imprigionati, torturati, uccisi, sulla base della paranoia stalinista che, contemporaneamente, fece milioni di morti in URSS.

I fascisti non erano molto abili, ma i repubblicani perseguirono sempre obiettivi propagandistici piuttosto che militari fino all'inevitabile sconfitta.

Insomma, i fascisti erano scemi, i repubblicani erano più abili ma usavano questa abilità per combattersi tra loro

E si sa come andò a finire.

La propaganda stalinista era così potente da autoingannarsi e George Orwell finì ostracizzato per aver tentato di raccontare la verità sulla scandalosa conduzione della guerra da parte degli alti comandi repubblicani.

Novant'anni fa, quindi, l'aggressore era supportato da potenze fasciste mentre la Repubblica fu messa sotto embargo dalle democrazie assetate di appeasement coi fascisti.

La loro viltà, evidentemente, NON ha fatto scuola.

Franco  non fu un gran che come generale, ma fu abilissimo come politico e soprattutto fu un genio nel far fuori la concorrenza alla dittatura.

I suoi avversari, divisi fino alla fine, condussero gli spagnoli prima e gli europei dopo al massacro.

Non intendo, ora, fare un riassunto degli episodi pià 'disdicevoli' di condotta della guerra da parte degli antifascisti.

Mi basta evidenziare le inoppugnabili similitudini tra le due sedicenti forze antifasciste, quelle attuali e quelle di quasi cent'anni fa:


* divisioni a livello patologico;

* meglio che vinca il fascio piuttosto che il mio concorrente;

* le democrazie sono peggio delle dittature;

* le faccende militari sono da ignorarsi e secondarie rispetto al credo;

* se anche tu sei contro X ma non sei allineato alla mia posizione allora non sei contro X

e non vado oltre per non tediarvi.

Vi lascio con un breve brano tratto dal testo in cui l'autore non è più riuscito a mantenere il tradizionale British aplomb:


<<Attaccare un settore tanto vicino al grosso dell'armata di manovra nazionalista voleva dire che i franchisti potevano contrattaccare rapidamente, e scegliere di battersi con un vasto fiume alle spalle del fronte quando il nemico aveva una schiacciante superiorità aerea per distruggere le linee di rifornimento era da idioti; rifiutarsi di tornare indietro dopo una settimana, quando era chiaro che non sarebbe più stato possibile conseguire gli obiettivi prefissati, avrebbe comportato l'inutile sacrificio di un'armata insostituibile. Era al di là della stupidità militare: era un'illusione propagandistica.>>


Ed io, da lustri, solo questo vedo a sinistra: illusioni propagandiste mescolate a malafede, ignoranza ciuccia e presuntuosa, antisemitismo e antioccidentalismo da barzelletta.

E i risultati saranno gli stessi.


28 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA - segue2

 



Dopo un paio di telefonate con Marco e Giulia, decidemmo che Giulia  mi avrebbe dato un passaggio con la sua vecchia Uno color canna di fucile.

Usata più per appartarsi col poveraccio di fidanzato di turno che per altro (grazie al suo sedile reclinabile ‘con una mano sola’ ci teneva a precisare).

Con addosso due fazzoletti scarsi di stoffa, uno sopra ed uno sotto l’ombelico, Giulia mi accolse con un bacione e un flusso ininterrotto di chiacchiere che stoppai subito.

«Fermati al benzinaio sulla via de La Martella per favore».

«Perché? Dobbiamo andare in pizzeria a Timmari, mica a Bari: non dobbiamo fare benzina».

«No, ma ho un problema di carrozzeria». 

«Ma chi ti capisce, Tetto’!»

Comunque, il benzinaio era di strada, le indicai il parcheggio deserto e buio dopo le pensiline e appena lei si fermò mi slacciai la cintura di sicurezza e iniziai a sbottonarmi la castissima camicetta.

Il mio piccolo streap tease la sorprese e mi resi conto che sarebbe stato meglio dirle che mi dovevo solo cambiare.

«Oggi è festa». Le dissi: «E mi vesto da festa».

«Che peccato, Tetto’, speravo che stessi facendo coming out e che mi avresti supplicato di leccarmela, sono dieci anni che so che ti piacerebbe».

«Sì, sì, ma non oggi, aspetta un altro po’. Beh, come sto?» Dissi gettando sul sedile di dietro il jeans e la camicetta.

«Finalmente te la sei messa la mia gonna: che è successo, Tetto’? Oggi la vuoi dar via per forza?»

«Mo’ sarei io la troia? Vedi che sei più nuda di me. E poi sei sessista!»

«Marta dice parolacce, Marta dice parolacce, Akela, Akelaaa, Marta dice parolacce!»

«Muoviti Zoccole’, ho fame».

La Uno partì sgommando mentre Giulia mi dava un ceffone sulla coscia sinistra: 

«Visto che queste non sono per me per chi sono? Per Marco o per Luca?»

«Luca no, non mi prendo i tuoi scarti».

«Oh, ma guarda, è diventata subito preziosa la mia troietta».

Decisi di dire la verità, o almeno tutta la verità che ero disposta a confessare e  Giulia poteva capire.

«Le cosce non sono per i maschi, sono per me».

I pochi secondi di silenzio mi fecero capire che, almeno in parte, mi ero spiegata.

Giulia è praticamente mia sorella e non potevo ammettere che tra noi calasse tristezza nemmeno per pochi secondi.

Ma era difficile fermare Giulia o almeno la sua linguaccia: «Ah, ma allora ho capito, è tutta una mossa romantica. Lei ama lui che ama lei ma non è capace a dichiararsi finchè non gli viene così duro che si dichiara il suo cazzo al posto suo.

Già vedo le pubblicazioni, tra cinque anni: il Dottor Marco Ferrulli e l'ingegneressa Marta Montemurro annunciano il loro matrimonio, astenersi rattusi. Da Via degli Oschi a Via Gramsci, auguri e figli maschi!»

Sorrisi chinando il capo.

Le mie gambe erano segnate dal Cammino e non sarebbero state da esibire così, con una abbronzatura irregolare, croste e graffi.

Beh, farle vedere a Marco era una buona idea. 

Ma non era seduzione, solo il primo pezzo di me che rompeva la crisalide.

Le luci della città si spensero alle nostre spalle e la stretta strada si incuneò nella campagna estiva.

Il profumo delle stoppie bruciate mi investì assieme all’aria tiepida che si riversava dai finestrini abbassati.

Il profumo della Basilicata  è arido, ma io non lo sapevo ancora: lo avrei imparato solo immersa in quello umido dei boschi piemontesi.

Un bolide attraversò il cielo.

«Cazzo, hai espresso il desiderio?»

Purtroppo sì.

La pizzeria era a Timmari, in aperta campagna, immersa in un oliveto e assediata da una gigantesca colonia felina.

Le zanzare erano  legione ma, ormai, ero abituata ai nugoli di insetti della route e non ci facevo più caso.

«Oh, ricordati che non hai i pantaloncini, tienile chiuse le gambe» mi istruì Giulia.

Arrivammo  più o meno contemporaneamente agli altri e vorrei poter dire di aver attirato l’attenzione generale ma non fu così.

Tutte le scolte erano in tiro e non c’era nemmeno un jeans in vista. Abbondavano hot pants e minigonne e anche la Capo Fuoco ostentava un abitino estivo a fiori.

Mi sarei fatta notare di più nella mia solita, castissima,  tenuta a base di jeans larghi e camicia col colletto chiuso fino all’ultimo bottone.

Qualcuno, però, mi notò.





A Marco gli venne un mezzo colpo quando mi sedetti al suo fianco e ammutolì arrossendo.

Dalla sua bocca uscì solo una specie di ‘Ciao’ smozzicato.

Trovai l’esperimento interessante.

Era il mio miglior amico e condivideva con Giulia la relazione umana più piena della mia vita.

All’epoca non ero capace di portare la minigonna e la mia seduta era  più generosa di quanto necessario, ma non provavo nessun imbarazzo, nessuna vergogna.

E nemmeno voglia di provocare.

Ero così: nasone, cosce, tette e culo.

E un cuore di misura sotto-standard.

Marco non osò nemmeno voltarsi, guardando dritto di fronte a sè, muto.

D’accordo: non mi aveva mai vista con abiti succinti addosso.

E nemmeno io sapevo davvero cosa dire.

Magari gli avrei potuto passare un bigliettino stile scuola elementare con su scritto ‘ti vuoi mettere con me sì/no’.

E, poi, che cosa speravo di ottenere? Che mi dicesse: ‘sei bella?’ Ma io sono brutta. Che mi dicesse: ‘ti voglio bene?’ Ma questo lo sapevo già. Che mi dicesse: ‘sono innamorato di te?’ Sarei scappata via a gambe levate.

Per fortuna, l’elefante Giulia arrivò sul più bello con Luca, evidentemente già istruito a non fare troppi commenti.

«Hai visto Marta quanto è figa? Che peccato che se ne parte eh? Ormai per te è troppo tardi».

Marco, con me, era timido a livello patologico ma non era  un moccolone.

«Mi aspetterà, come tutte. E statt tranqui’ verrà anche il tuo turno».

Mi indispettiva che fosse così naturale con lei e così muto con me.

Qualcosa si materializza nella pancia come una cattiva digestione.

Giulia rideva con Marco e io mi feci riempire da un attacco di gelosia rabbiosa  da farmi piantare le unghie delle mani nella carne delle cosce.

Non mi sono messa ‘sta gonna per Marco. (Davvero?)

Non sono seduta qui per Marco. (Certo)

Di lì ad una settimana la distanza fisica tra me e Marco  sarebbe stata equivalente a quella sentimentale.

Di lì ad una settimana io stessa sarei stata ad una distanza abissale dalla me seduta a quel tavolo per una pizza tra scout.

Nel nostro Gruppo c’è tutt’ora questa tradizione scema di farsi una foto tutte assieme tornati dal Campo e mostrare le gambe graffiate, scorticate, abbronzate a metà.

Partecipai per la prima volta dalla pizza post campo del secondo anno di reparto quando mia madre mise il veto alla faccenda.

Ci mettemmo in fila in una caricatura di sfilata di moda in un continuo allegro chiacchiericcio.

Per una volta ero vestita normalmente: come le altre.

Lì, in fila, pensavo che: «Andare al Politecnico è quello che voglio. Andare a Torino è quello che voglio. So che lasciare il Clan sarà una mazzata. So che lasciare Giulia, Luca e Marco sarà una ferita».

Sapevo che la non relazione con Marco non si sarebbe risolta quella sera.

Ma non capivo perché mi sentissi così angosciata mentre mi mettevo in posa.

Anche se non era tardi eravamo tutti assonnati.

Dopotutto, 12 ore prima eravamo ancora in treno reduci da una route mica da ridere.

Non c’era molta voglia di trattenersi a chiacchierare.

Ma dovevo salutare, quindi iniziai a saltare da un capannello all’altro per dare appuntamento a Natale.

Mi pesava: erano i miei fratelli e le mie sorelle Scout con cui avevo condiviso gli ultimi 11 dei miei 19 anni di vita.

Salutai Roberta e Anna, che avevo accolto nel branco, bimbette spaurite, quando ero Capo Sestiglia dei Pezzati.

C’era Imma, arrivata da Garaguso ed entrata nel Reparto quando ero Vice delle Aquile.

Salutai i Capi e quando fu il turno di Raffaele mi disse: «Gesù Marta, sto entrando nella massima età di rischio infarto ma è proprio vero che il Signore ha fatto grandi cose per noi poveri peccatori».

Beh, almeno qualcuno, due complimenti era in grado di farmeli.

«La mia mail ce l’hai, Marta, non ti faccio raccomandazioni inutili ma scrivimi. E Buona Strada».






つづく

26 agosto 2025

Parte Prima: Andata. Capitolo 1 Detergente: MARTA - segue

 



L’estate, implacabile, mi soffocava.

Forse, anche per questo avevo scelto Torino: nebbia e pioggia, il posto giusto per me.

Sin dalla pubertà la mia pelle è stata un segreto gelosamente custodito da mia madre.

E alla calura estiva ha sempre aggiunto l’aggravio di stoffa mentre Giulia era libera di girare fresca e mezza nuda.

«Mi fai passare per la troia del duo» mi diceva. 

«E non sei contenta? Sanno che da me non avranno niente e sono tutti ai tuoi piedi». Le rispondevo.

Temo il sole come una vampira.

Dovevo decidere come vestirmi per la pizza di Clan.

Ovviamente, dovevo per forza uscire di casa vestita da suora, non era possibile fare altrimenti.

La divisa da brava ragazza era un obbligo e sapevo bene che sarei stata ispezionata fino al numero di bottoni della camicetta. 

Ma io, in jeans in pizzeria non avevo nessuna intenzione di andarci.

Da molto tempo nascondevo tra le cose scout una minigonna jeans  tipo velina di Striscia la Notizia.

Me l’aveva regalata Giulia per i miei 18 anni.

L’avevo indossata solo in casa per fare le mie fotine licenziose...

Ma per quella sera,  l’ultima che avremmo passato insieme chissà per quanto tempo, avevo deciso che le cose sarebbero andate diversamente.

E poi cosa volete che sia esibire un po’ di carne rispetto a quello che avrei fatto la settimana successiva?

Cercai il jeans più largo in mio possesso e feci due prove.

Ok, ad essere proprio pignoli si vedeva qualche rigonfiamento di troppo, ma avrei avuto la camicetta fuori dai pantaloni così mia madre sarebbe anche stata contenta che non mi si vedesse il culo. 

L’outfit era deciso: sandali, super mini, canotta,

Però, dove mi cambio, ossia: dove mi sfilo i jeans? E dove li metto jeans e camicia, poi? Ci penserò dopo. Ora è meglio farsi vedere dal Sergente prima che sospenda la libera uscita’.


つづく

25 agosto 2025

A fight to death




Biscia Vs Lucertola. 

Sotto casa mia.

 La biscia ha teso un agguato alla lucertola ma non so il finale:  mi sono allontanato venti secondi per chiamare la prole e al ritorno erano sparite, suppongo che la lucertola sia riuscita a fuggire.

La Natura è così.