I Baustelle mi fanno compagnia in questo uggioso pomeriggio di Maggio.
Non ho voglia di sentire il concertone.
Ho letto, tentato di scrivere due righe, perso un po' di tempo tra la messa a punto del PC dei miei con Ubuntu 11.04 ( avanzamento di versione da una 10.10 che era stata una 10.04 che era stata una 9.10 che era stata una 9.04 ). Tra parentesi, nessun problema.
Rachele Bastreghi canta l'Aeroplano ed io penso a Baghdad.
Non so se capiti anche a voi.
A me succede sempre più spesso.
Non di pensare a Baghdad.
Faccio colazione e penso alla colazione in quel di Misurata.
Conto le monetine per il caffè e mi viene in mente un ragazzino con un AK47 che scava la terra con le mani per nascondersi dal fuoco che cade dal cielo.
Freno di botto di fronte ad un cretino che non mi da la precedenza per poi accomodarsi a dieci all'ora al centro della strada e mi viene in mente un ben diverso traffico di carri armati in Siria.
Quando, a Pasqua, ho fatto una passeggiata sul mare non ho potuto guardare l'orizzonte senza immaginarci dietro una barca piena di disgraziati nel mare plumbeo.
Quasi mi vergogno a scriverlo.
Perchè scrivere è facile: che ci vuole?
Il difficile è agire e temo che stia diventando quasi impossibile.
Stiamo accumulando un debito di disperazione e dolore che non potremo mai ripagare.
Mi guardo attorno e noto che è così difficile persino parlarne, figuriamoci agire.
Mi sembra di assistere ad una specie di corsa a chi mette per primo e meglio la testa sotto la sabbia.
Le conseguenze pratiche e reali sono volatili, la logica è addomesticabile, non ci si deve neppure preoccupare dell'autoreferenzialità delle proprie azioni.
Il governo più impresentabilmente agisce meglio è.
E da queste parti non è che vada tanto meglio.
Io inizio ad avvertire sul petto un senso di catastrofe incombente che non se ne va nemmeno dopo un round di boxe, nemmeno nella musica, nemmeno in un camino acceso.
Sogno la Scandinavia. Sarebbe comodo andarsene da qui.
Andarsene così.
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