Il Tenente Roberts sbucò dal portellone come un nuotatore dal fondo del mare. Diede una rapida occhiata attorno per avere conferma visiva di quello che sapeva già, ossia che tutti i suoi fossero sani e salvi e si accese un sigaretta, mettendoci un sacco di tempo: gli tremavano le mani nel sole accecante del novembre africano.
Tentava di darsi un contegno, in cima alla torretta del Crusader Mk II.
Ispirò la prima boccata di fumo e non fece neppure in tempo ad espirare che iniziò a vomitare sui fianchi della torretta del carro armato.
Al primo conato ne seguirono molti altri.
Roberts aveva ventiquattro anni ed era appena sopravvissuto al suo primo combattimento tra carri armati.
Il Sergente Petersen, un reduce di Dunkerque coetaneo dell’ufficiale, lo sollevò di peso dalla torretta e lo aiutò a scendere dal carro armato.
“Tenente, venga giù, si metta all’ombra e beva un po’ d’acqua.”
Roberts si lasciò accompagnare e si sedette nella sabbia sul lato in ombra.
I 4 tank del suo plotone erano fermi e distanziati tra loro in ordine sparso, esattamente dov’erano quando la rapida battaglia coi carri armati italiani era finita pochi minuti prima.
Peteresen era contento del suo Tenente. Vomitare dopo aver appena scansato una morte atroce è perfettamente normale, che sia la prima come la centesima volta.
Roberts gli era stato subito simpatico.
Da novellino, aveva ascoltato con umilità, non era stato arrognate con gli ‘uomini’, dei ragazzini di vent’anni terrorizzati dal frastuono dei propri stessi carri armati e prima di andare al circolo ufficiali aveva sempre cura che tutti i suoi soldati fossero ben sistemati.
Cosa ancor più notevole, era riuscito a non far ammazzare nessuno dei suoi nell’assalto frontale alle posizioni dell’Asse, poco prima, nel corso del suo primo vero combattimento.
Quindi, il Sergente fu ben lieto di aiutare il suo superiore a rimettersi in piedi.
“Signore”
Il Tenente tremava come una foglia
“Signore, si faccia forza, tra cinque minuti dobbiamo essere di nuovo in moto.”
“Gli altri?”
“Non lo so, noi ci siamo tutti ma …”
“Ma?”
“Il Capitano non risponde e sulla destra ci sono troppi carri in fiamme per essere solo dei dago!
Il Tenente Mitchell grida nella radio dall’inizio di questo casino e...”
“Va bene, grazie, ora va meglio”.
Roberts si alzò, si appoggiò al carro, come per ricevere energia dal motore da 340 HP.
Gli avevano detto che gli italiani sarebbero scappati al primo colpo, invece il reggimento si era schiantato contro una resistenza durissima.
Dall’ M14 italiano in fiamme arrivò assieme, col vento del deserto, una zaffata nauseabonda di carne bruciata e grida animalesche.
Roberts vomitò di nuovo e Petersen fece fatica a non imitarlo.
Ma, questa volta, Roberts non si sedette, si pulì la faccia con i guanti e si avviò a passo svelto verso le urla seguito da Petersen.
L’M14 bruciava con una figura umana indistinta che ardeva mezzo fuori dal portellone anteriore.
La torretta, che l’esplosione delle munizioni aveva scagliato lontano non bruciava quasi più.
A pochi metri di distanza la scena che bloccò per un istante il correre dell’ufficiale.
Un uomo, coperto di sangue agonizzava nella polvere mentre un altro, si agitava urlando al suo fianco. Tentava, in ginocchio, di farsi ridare da un fante inglese una borraccia, mentre un altro fante si divertiva a prenderlo a calci.
Roberts non conosceva i soldati di fanteria lì attorno, ma si precipitò, di corsa, urlando: “Fermi, Cristo, fermi, cosa cazzo state facendo, fermii!”
Petersen di rimando, cominciò anche lui ad urlare.
Va bene strapazzare un po’ i mangiaspaghetti, ma così no, e poi il Tenente aveva parlato.
“Brutti figli di puttanta, fermi lì”.
Ma i due uomini arrivarono praticamente prima delle proprie urla.
Roberts scippò la borraccia al primo soldato mentre Petersen dovette trattenersi dal placcare il secondo.
L’italiano disteso per terra era un ufficiale con le gambe bruciate ed il dorso coperto di ferite.
Petersen ne aveva visti tanti ridotti così: le corazze dei carri armati italiani non erano saldate, ma imbullonate. Quindi, spesso capitava che i proiettili inglesi non ne perforassero la corazza ma che l’urto del colpo comunque spezzsse i bulloni che si trasformavano in una grandine mortale per l’equipaggio all’interno.
Ma non perse neppure dieci secondi a guardare il moribondo, perchè già urlava contro i due fanti: “Pezzi di merda che non siete altro, vi faccio arrivare a Tripoli a calci in culo! Io vi..”
E voltò le spalle al suo Tenente.
Roberts, con la borraccia in mano, si chinò verso l’italiano che piangeva.
Era scuro, sporco di fuliggine e, ad un’occhiata più attenta, abbastanza bruciacchiato pure lui. Gli porse la borraccia. Ma non aveva nessuna intenzione di mettersi a guardare l’altro, che si dissanguava sulla sabbia, non aveva nessuna intenzione di guardare in faccia l’uomo che aveva ammazzato.
L’italiano, invece di bere, si gettò subito di fianco al commilitone morente cercando versargli l’acqua tra le labbra bruciate.
Roberts non capiva una parola della lingua di Dante, ma comprese che erano parole di vero affetto e disperazione.
Gli cadde l’occhio sul corpo del ferito ed un conanto di vomito lo soffocò.
Il puzzo di bruciato, gomma e carne, del resto, erano lì lì per farlo vomitare comunque e pensò che fosse arrivato il momento di risalire sul proprio tank.
Fu un piccolo scintillio a cambiare tutto.
Su quel corpo straziato, bruciato, rosso solo di sangue, un luccicare dorato a forma di giglio.
“Non può essere” Pensò Roberts.
Si costrinse a guardare.
Si inginocchiò di fianco all’uomo agonizzante.
La nausea era scomparsa, sostituita da un’angoscia violenta.
Sulla divisa bruciata e sporca di sangue brillava, inconfondibile, il giglio scout.
ASCI, c’era scritto sotto.
Roberts iniziò a frugarsi freneticamente nella giubba, finchè trovò quel che cercava.
L’altro italiano pareva non essersi accorto di nulla, come il ferito.
Il Sergente Petersen, invece, non riusciva proprio a capire cosa stesse facendo il suo capo.
Va bene impedire di maltrattare i prigionieri, ma mettersi a curare moribondi non è proprio il caso.
Nelle mani del Tenente comparve una specie di spilla dorata.
Petersen si avvicinò, per capire meglio cosa stesse succedendo.
Roberts sapeva che l’uomo morente non poteva capirlo, ma almeno sperava che potesse ancora sentirlo.
Gli agitò davanti al viso il giglio scout e l’ufficiale italiano se ne accorse.
Per un breve attimo cambiò espressione e disse qualcosa, qualcosa che Petersen non capì.
Poi, con un gorgoglio soffocato, spirò.
E restò solo il pianto dell’altro uomo.
Roberts deglutì e prese con se il giglio italiano dal corpo immobile.
Petersen gli era alle spalle.
Sconcertato, decise di non intervenire e di attendere.
Roberts pensava, ma pensava anche che non c’era nulla da pensare.
Doveva alzarsi, badare ai suoi uomini e nient’altro.
Anni dopo avrebbe ricostruito meglio i pensieri di quei pochi secondi, ma una cosa gli rimase per sempre nel cervello.
L’espressione del viso del suo Sergente quando gli fornì in quattro parole l’unica spiegazione di cui disponeva:
“He was my brother”
EDIT: Immagine proveniente da QUI, dove ho rintracciato anche il testo originale del racconto scout che ha ispirato la mia rivisitazione. Me lo aveva fatto leggere il mio Capo Reparto quasi 30 anni fa e ho potuto ritrovare il testo originale grazie ad un commento qui sotto.
EDIT: Immagine proveniente da QUI, dove ho rintracciato anche il testo originale del racconto scout che ha ispirato la mia rivisitazione. Me lo aveva fatto leggere il mio Capo Reparto quasi 30 anni fa e ho potuto ritrovare il testo originale grazie ad un commento qui sotto.
Questa non è del tutto farina del mio sacco. Infatti, purtroppo, è un racconto che si basa su una storia vera.
RispondiEliminaNe ho letto anni fa su un libro che è andato perduto. Non ricordo i particolari, ma il narratore riferiva, appunto, di un incontro tra due scout, uno inglese, morente, ed uno italiano, in Egitto, durante la seconda guerra mondiale. La testimonianza terminava con le parole che uno dei commilitoni dell'italiano pronunciava dopo aver ricevuto la spiegazione dello 'strano' comportamento del suo compagno d'armi: siamo entrambi scout. E queste parole, lo ricordo bene, erano: "Se è così è bello".
il racconto è di Don Annunzio Gandolfihttp://www.zio-zeb.it/fibbia.html
RispondiEliminaGrazie, grazie di cuore, erano anni che tentavo di rintracciare il testo originale, spero che la mia "reinterpretazione" basata sulla mia memoria di giovanissimo Esploratore ti sia piaciuta.
RispondiEliminaGrazie ancora.
si si mi è piaciuto! ciao francesco
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