Finito ieri sera.
E l'unica cosa che mi ha davvero colpito è la sofferenza di Saviano.
Il linguaggio è quello di 'Gomorra', moderno e teso.
La narrazione non è avvincente come nel suo precedente lavoro ma assolutamente neppure noiosa.
Saviano racconta fatti, li snocciola. li mette in riga, come piste parallele di coca.
Bianche di coca, rosse di sangue, le pagine scorrono senza intoppi nè velocità.
Saviano ci mette pochissimo a convincerti dell'immensità del potere del Narcotraffico di cocaina e della sua pericolosità.
E della ferocia, quella che si studia in apposite scuole, quella che si impara, che si apprende come si impara ad andare in bicicletta.
La smisurata ferocia che ruota attorno alla cocaina.
Saviano è efficiente ed efficace in questo.
Nota tecnica: mi piacerebbe che Saviano esplicitasse in maniera completa la sua idea di legalizzazione, le cinque righe cinque in cui lancia la sua idea non bastano neppure come provocazione ...
Gran parte delle parole le spende nel narrare le storie di cocaina e le storie di chi la cocaina la tratta.
Troppe parole.
Non perchè siano sprecate, ma perchè tolgono equilibrio al testo.
Ogni tanto, infatti, affiora il vero senso dell'opera.
Il Dolore di Saviano.
Soprattutto nel finale: "Ho guardato nell’abisso e sono diventato un mostro."
Ecco, quando affiora la sofferenza dell'uomo solo, strappato a se stesso, ecco che le parole accelerano, come sotto effetto della coca.
Roberto, grazie per tutte le tue parole.
Ma, il prossimo libro, scrivilo per te.
Non per noi, non contro di loro.
Scrivi del tuo dolore, della tua vita sotto scorta, della tua vita lontano da Napoli.
Della tua vita lontano dalla tua vita.
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