Giusto per non iniziare l'anno con qualcosa di anche solo simile al classico piagnisteo migrante, vi racconto una cosuccia da niente che mi è capitata durante queste vacanze di Natale a Matera. Mi sono tagliato i capelli. Dallo stesso barbiere della mia infanzia. Non c'è una particolare morale o chissà che storia dietro. Ero poco più di un bambino, appena in grado di girare per il quartiere da solo. E andavo da quel barbiere per tagliarmi i capelli, con relativa regolarità. Il mio barbiere è un uomo gentile che mi ha visto crescere. Ha visto le mie visite diradarsi più per le mie assenze che per la concorrenza. Così, tra Natale e Capodanno, ho bussato, ho chiesto permesso. Sono stato riconosciuto, accolto. E mi sono stati tagliati i capelli con cura, tranquillità e professionalità. Con tanto di ricevuta fiscale. No, non ho parole su Memoria, ricordi di fragranze e profumi, voci e chiacchiere del passato. Il mio barbiere mi ha tagliato i capelli facendomi sentire ancora a casa mia. Lui con pochi altri. Tutto qua.
Nell'ultimo film di Gozilla (Shin Gozilla) un funzionario giapponese nota come, nel pieno della crisi causata dal mostro, nessuno cerchi di approfittare della situazione e che tutti stanno facendo ben oltre il proprio dovere, senza respiro nè riposo ed esclama: "C'è ancora speranza per questo Paese".
Ho letto il bel romanzo di Luca Rastello, il romanzo del 'volontariato professionista'.
Non ho intenzione di farne una tardiva recensione, sarei poco originale e ci sono già scritti a riguardo che rispecchiano abbastanza il mio pensiero. Mi sembra doveroso linkare anche una lettera dell'Autore in merito alle ovvie polemiche suscitate dal romanzo.
E' un mondo che conosco personalmente per trascorsi familiari pur facendo parte solo di una delle più grandi organizzazioni di volontariato 'non professionista' italiane. Non ho mai percepito uno stipendio, neppur fittizio, tanto meno in nero, per le mie attività di volontariato (che non si sono limitate, nel tempo, solo quelle di Capo Scout). Qualche giorno fa ho scritto qualche parola sui miei trent'anni di scoutismo. Alla luce della lettura di questo romanzo mi è (finalmente? Esageratamente?) chiara la sagoma dai contorni sfumati che turba fin troppo spesso le mie ore 'da buono' dedicate al Prossimo. E' il Potere. Da molti anni ho tracciato un confine netto tra il volontariato e quello che volontariato non è: il denaro. Se qualcuno percepisce un compenso, nella filiera della tua attività di volontariato c'è qualcosa che non va. Mi pare ovvio che il Volontariato così condotto abbia dei limiti strutturali non potendo andare oltre certi livelli di efficacia. E che, per fare di più, occorra una organizzazione, una struttura. E, in mezzo alla struttura, appunto, il Potere. D'istinto prima, col ragionamento, poi, ho iniziato ad avere i brividi e a provare ansia tutte le volte che mi trovo a leggere, ascoltare (e purtroppo anche a) scrivere parole come: "non dimentica di sporcarsi le mani, metterci la faccia, mettere testa, di non tirarsi indietro, senza se e senza ma, e di guardare avanti, costruire futuro, speranza, e la memoria che si fa impegno, a piccoli passi ma con molta forza, e la fatica, il cammino, il primato della persona, soprattutto la condivisione, un cammino di condivisione, condivisione da costruire, senza se e senza ma, appunto, e il morso che ti permette di lavorare senza stipendio, la frusta dell’oltre, e sì, anche il passo lento del montanaro, e i muri che parlano e restituiscono memoria, dalla sede dei Piedi e dai beni confiscati, e soprattutto la legalità, e sempre la memoria."
Ora ho un secondo confine che riguarda anche me, nel mio servizio in Agesci. Meno netto di quello del denaro, ma ancora più pericoloso: quello di far parte di una struttura che generi Potere.
Anche un Potere piccolo, magari quello dei Maestri di un tempo che ti hanno ispirato anche dei valori concreti, ma che poi pur di conservarsi il loro piccolo Potere su una piccola Assemblea magari diventano antisemiti, antivaccinisti e antispecisti, sempre anti, mai in errore. La lettura di questo romanzo mi ha ricordato il passato fatto di colloqui dietro scrivanie affollate di crocifissi per contratti fasulli, per orari fasulli e fatica vera. Mi ha ricordato la sacralità del Potere di chi poteva negarti col sorriso anche un colloquio chiarificatore: tutte cose del passato, ormai, un passato per me e i miei, un presente viscoso per troppa gente all'ombra dei buoni.
Ho promesso al mio fraterno amico Luciano di regalargli il più proverbiale pippone logorroico sui miei Trent'anni di Scoutismo.
Ho pensato a lungo, per anni, sul significato ultimo di questa esperienza.
Una esperienza che ha un valore e consistenza diversa ad ogni età, anche nelle impercettibili differenze di ogni giorno che passa da adulti. Quindi:
Ieri
Quello che ho vissuto da esploratore non è lo stesso che ho vissuto, poi, da Rover, giovane Capo, Capo Brevettato e, oggi, Padre.
Il mio primo ricordo scout risale all'infanzia.
Una visita alla sede scout di Piccianello assieme a mio Padre, anche lui Scout e Capo che quest'anno di anni di Scoutismo ne festeggia 60.
Dovevo avere non più di 4 anni perchè all'epoca abitavo in Via Istria in cui ho vissuto, appunto, fino alla fine del 1978.
Ricordo una luce calda ed una bevanda dolce in quel seminterrato pieno di cose strane ed affollato di 'grandi' vestiti tutti uguali.
Pareti ricoperte da cartelloni, lavori in legno, cordini intrecciati in maniera complicata.
Poi, il ricordo si sposta al mio ingresso in Reparto.
Il Reparto Sagittario aveva sede in un grosso garage/scantinato e le prime settimane non sono certo state idilliache: ci volle tempo per inserirmi.
Ma, una volta ingranata la quarta, non mi sono più fermato.
Molto semplicemente, lo scoutismo si incastrava perfettamente con la mia persona.
Gli anni di Reparto sono passati in un lampo. Ricordo molto, ho dimenticato di più. Quegli autobus di ritorno dai Campi, nel tramonto infuocato nel cuore della Lucania. Chi se li scorda quei momenti, ripetuti ed unici, con il Paradiso alle spalle e la realtà di fronte. Nel mio caso, va analizzato il contesto: giovanotto di buona famiglia che vive in un quartiere dormitorio di una povera città del Sud. Il Reparto è stato un porto sicuro ma non una scatola di bambagia. Le squadriglie maschili non corrispondono allo stereotipo tipo Qui Quo Qua / Giovani Marmotte. Non c'è parlar forbito nè particolare affetto fraterno, all'inizio. Anzi, visto che ci siamo, sgombriamo subito il campo da un piacevole luogo comune: gli scout non sono il paradiso terrestre e dentro gli scout non si costruiscono sempre e per forza relazioni idilliache. L'amicizia alla "Stand By Me (o Stranger Things, per usare un paragone più moderno) si esaurisce spesso con l'adolescenza. Da questo punto di vista, per me, lo scoutismo non ha rappresentato un qualcosa di completamente positivo, anzi, più alte erano le speranze e le aspettative più alte sono state, nel tempo, le delusioni e le disillusioni su un piano strettamente umano. Nonostante tutto ritengo che una esperienza scout o paragonabile sia fondamentale per l'educazione di un giovane. Non sto dicendo che sia impossibile farne di equivalenti altrove (si pensi, ad esempio, al caso Islanda in cui le attività extrascolastiche offerte a tutti i giovani hanno dato clamorosi risultati in termini di diminuzione di abuso di sostanze ed innalzamento della qualità della vita). Lo studio di uno strumento musicale, una attività tipo teatro assieme ad una seria attività sportiva possono dare ottimi risultati. Sto dicendo che una educazione grosso modo equivalente quella scout è parecchio onerosa se fatta privatamente. I miei primi Otto anni di scoutismo sono stati densi di doni. L'opportunità di riconoscere i talenti. E il tempo dei Capi. Le Persone, scoprirle tutte. Le ragazze, fin da subito ragazze e mai oggetti. Ricordo perfettamente il costante spaesamento, alle superiori, di fronte a linguaggi e a valori che non mi appartenevano. Per almeno due anni non sono riuscito a capire di cosa parlassero i miei compagni di classe. Ecco, niente di tutto questo è mai successo nel Reparto e nel Clan. Che valenza pratica ha avuto lo scoutismo nella mia educazione? Mah, difficile dare una risposta univoca. Per esempio, non sono mai riuscito ad imparare a suonare la chitarra ad orecchio: anche oggi senza accordi manco il Kamaludu... Di contro, sono un discreto cuoco, un discreto infermiere, un discreto campeggiatore e me la cavo piuttosto bene con carta topografica e bussola. Sarebbe presuntuoso definirmi un team leader, ma sono senz'altro un discreto team manager, nel senso che mi è rimasto l'imprinting di gestire le situazioni valorizzando il meglio di ognuno e questo è molto apprezzato in ambito lavorativo (E quando ho fatto la mia campagna elettorale, beh, è stata organizzata come una specie di Impresa di Squadriglia). A livello emotivo lo scoutismo ha curato molti mali, ma ha anche lasciato una indelebile traccia positivista ed utopica che non sempre mi è stata utile: l'idea di far parte di un gruppo di persone positive, costruttive, bravi ragazzi che sarebbero rimasti uniti fino a spazzar via un bel mucchio di monnezza dalle vite di chi ci stava accanto, beh, questo non lo metterei proprio col segno '+' di default. Perchè l'idealismo non mi ha proprio avvantaggiato, nella vita. La pausa universitaria ha piantato un chiodo di nostalgia nel mio cuore, tant'è che, laureato a Marzo, a Maggio ero già di nuovo sulla Pista.
Oggi
In questi anni lo scoutismo ha aumentato la sua importanza sociale. Di molto. Ma non perchè i Capi siano decuplicati o siano diventati più bravi. E' tutto il resto del tessuto sociale che è rimasto indietro. Ormai in certe periferie, troppe, ci siamo solo noi scout. Spero che siano in pochi, tra i miei lettori, ad immaginare il sollievo che fin troppi ragazzini devono provare quando varcano la soglia della Quercia, della Tana, della Sede. Lì non ci sono professori amareggiati, genitori divorziati, bulli, ansiolitici e povertà. Non ci sono cellulari da desiderare, vuoto da riempire, cose da dimostrare. C'è un sorriso, qualcuno che ascolta invece di dirti cosa fare. Non c'è giudizio, ma confronto. Non ci sono casermoni di periferia e squallide fermate di autobus vandalizzate, dentro le Sedi, ma calore e colori. Chi altro è in grado di portare questo sollievo? In tanti, è vero, non siamo presuntuosi. Ma non per così molti. L'Agesci è una associazione molto efficace nel raggiungere i suoi obiettivi. E' sempre meno efficiente (per raggiungere gli stessi risultati degli anni '80 servono, ormai, almeno il triplo delle ore/uomo). Ed è certo che esistano delle realtà di volontariato specializzate ancora più efficaci, ma qui parliamo di quasi duecentomila persone (150mila ragazzi), che non si adagiano mai sugli allori. Il mio rientro in Servizio, quindi, mi ha visto acerbo ma consapevole di altre realtà sociali, economiche e di Servizio. Ho incontrato la povertà, la violenza, la disperazione post terremoto, la solitudine e soprattutto il desiderio di ascolto. La necessità di un adulto che ascolti, che non ordini, che non si nasconda dietro un cellulare. Io sono tutt'altro che perfetto e sono piuttosto sicuro di essere parecchio incoerente, ma non è poi troppo difficile mantenersi coerenti nel Servizio, cosa che non è semplicemente utile ai ragazzi, è consolatorio, rassicurante: l'Isola che non c'è non solo esiste ma è anche abitata. Ecco perchè, tra Politica, Ambiente, Software Libero e Cicloattivismo, ad esempio, ho scelto lo Scoutismo. La mia tessera Agesci ha bollini quasi ininterrottamente dal 2004 (e il primo della tessera da 'adulto' è del 1995). Ormai, gli anni da Capo hanno superato quelli da Esploratore e Rover.
E', questo, il tempo di Comprendere, non di essere compreso. Chi legge queste pagine sa che non risparmio all'Agesci nessuna critica per ogni minima imperfezione, ma quando si tratta di tirare le somme dubito che ci siano realtà più efficaci dello scoutismo nell'obiettivo di aiutare bambini, ragazzi e giovani adulti a realizzarsi nella felicità. E, facendo polemica, ci riesce proprio perchè ci sono degli spaccamaroni a cui non piace la deriva tipo #buonascuola sul metodo, gli ossimori sulla formazione e le sforbiciate allo scouting e non si limitano a fare spallucce e fregarsene.
Come i ciclisti, anche gli scout sono malvisti dai più e per le stesse identiche ragioni.
L'ignoranza (e l'invidia?) porta a guardare con sospetto i "bambini vestiti da cretini guidati da cretini eccetera".
L'uniforme è presa a garanzie di simpatie militariste, la spiritualità (uso questo termine per includere tutti gli scout) è vista come un letale mix di ingenuità e bigotteria. Ma è innegabilmente oggettivo che, negli ultimi 40 anni, l'Agesci è stata parte delle Soluzioni.
E' una palestra di educazione civica ed ambientale, una scuola di tolleranza ed un potente vaccino collettivo contro l'arroganza da italiano medio, il fascismo (e anche l'antisemitismo) che dilaga tra la gioventù. E' un luogo di cultura e non solo di scarponi e zaini. E' davvero uno dei Pilastri della Chiesa, quella giovane, che agisce più di quanto parli. Il Cattolicesimo che vive nelle Sedi Scout non è mai di maniera: o c'è, nel sentire e nelle azioni di ragazzi e capi, o non c'è, anche quando siamo tutti schierati a parata. In Agesci si legge, si scrive, si fa musica, teatro, E anche per quanto riguarda la famigerata questione di genere, l'Agesci è una realtà in cui la parità tra i sessi è completa e consolidata.
Non esiste, appunto, una questione di genere in Agesci: una ragazza di vent'anni appena entrata in Comunità Capi sarà corresponsabile esattamente come un vecchio elefante con brevetto e anzianità. In Agesci argomentazioni tipo:
Sono più anziano;
Ho un livello di formazione superiore;
Ho un'esperienza molto maggiore alla tua
Non hanno significato, soprattutto nel rapporto tra uomini e donne. La nostra Diarchia funziona in maniera da dare un esempio concreto di collaborazione tra i sessi impostata a tutti i livelli: dal più piccolo Lupetto/Coccinella al Rover sul punto di concludere il suo percorso Scout tutti si trovano di fronte non il tradizionale paternalismo italico ma qualcosa che, forse, non c'è nemmeno in Scandinavia: la parità senza quote, la parità come collaborazione, la parità come naturalezza della complementarità tra Uomo e Donna. Ogni bambina, ragazza, giovane donna, troverà nel suo percorso solo l'assoluta parità e complementarietà tra i suoi capi: una donna ed un uomo, non l'una o l'altro, ma entrambi assieme alla guida della Comunità. Gli scout si mettono in cerchio perchè nessuno resti fuori e tutti possano guardarsi in faccia e questo modo di fare si conserva nel tempo.
Anche il mondo del Lavoro si è accorto delle potenzialità dello scoutismo e con colpevole ritardo, direi: Ma pensateci un po' due minuti: quale giovane donna/uomo di poco più di vent'anni ha come referenze la comprovata capacità di gestire la logistica di un campo scout? Parliamo di trovare alloggio ad una cinquantina di persone, calcolare i fabbisogni di acqua, spaghetti, pane, latte, uova, detersivi, sapone, disinfettante. Saper gestire latrine, sicurezza, logistica, coordinamento con le autorità, permessi e normative, programmare al minuto 7-10 giornate di una quarantina di bambini o ragazzi , oh, francamente, ho incontrato ben pochi manager aziendali dotati di una capacità gestionale anche solo paragonabile. Il mio essere Capo ha queste origini. Oggi sono a mezzo servizio: non posso partecipare ai campi e riesco a stento a star dietro agli impegni ordinari di Branca. Ma la messe è troppa e ogni chicco una Vita.
Domani
Io non so per quanto reggerò. Perchè, purtroppo, i numeri dimostrano inconfutabilmente che il ruolo di Capo in Agesci è INsostenibile, come le fonti di energia basate su combustibili fossili. A Giugno completerò il mio quarto anno come Aiuto Capo Cerchio, poi si vedrà. Ma voglio pensare seriamente al futuro del mio Servizio e a quello della mia amata Agesci. Purtroppo, dati alla mano, la permanenza media di un Capo in Co.Ca. è inferiore al tempo medio necessario per ottenere la Nomina a Capo. Questo significa, tanto per cominciare, che un sacco di unità sono condotte da Capi senza formazione completa. Il che non è poi così grave come potrebbe sembrare. Purtroppo, si va diffondendo un'idea dello scoutismo simil #buonascuola, ma ne ho già parlato abbondantemente in passato e non mi dilungherò. Prima o poi ci si stanca di un servizio emotivamente e fisicamente così impegnativo? No, secondo me ci si stanca degli extra e degli optional. Ma è una mia opinione. I numeri, anche quelli straottimistici pubblicati recentemente sulla stampa associativa Emiliana, sono catastrofici: Il Servizio medio di un Capo dura meno di 4 anni e mezzo. E ne servono 6, sempre in media, per diventare Capi Brevettati. Ripeto: non mi voglio lanciare in analisi perchè non è questo lo scopo di questa mia riflessione. Ammesso e non concesso che fosse passabile un paragone tra un Gruppo Scout ed una Scuola, bisogna schiaffarsi in testa che il ruolo del Capo non sarebbe quello dell'insegnante, ma quello del bidello o dell'autista dello scuolabus. Lo Scoutismo non va avanti per grazia dei Capi splendidi e formati, ma perchè è un metodo educativo naturale, nel senso letterale del termine. E a me piacerebbe che sempre più ragazzi avessero l'opportunità di crescervi dentro. Al momento non è possibile e in molte realtà le liste d'attesa sono una dolorosa necessità. E' vero, lasciare fuori da una Comunità Cristiana qualcuno non è bellissimo. Se ci sono bambini/ragazzi che vogliono fare scoutismo e non è possibile accoglierli perchè rischioso (fisicamente) ed irragionevole andare oltre certi numeri io credo che la soluzione sia nella sostenibilità del Servizio di Capo: l'unico modo per allargare il cerchio è rendere il Servizio Sostenibile senza impantanarsi sui singoli segmenti dei vari problemi (sì, la formazione pensata per insegnanti degli anni '80 è un problema ma non è l'unico) ma ragionando a tutto tondo sullo Scoutismo per il XXI Secolo: formazione, programmazione, attenzione ai singoli e taglio degli sprechi di risorse. Aevoglia a scrivere, su Proposta Educativa, articoli ecumenici sull'uso del tempo razionale, sulla necessità di non abusare delle energie dei capi... tanto due pagine dopo si trovano sempre nemmeno troppo velati inviti a gettare il cuore oltre l'ostacolo perchè se non ce la fai vuol dire che non ti azzecca e sei pigro e poco motivato: è colpa tua, Capo, che non ti formi e se dopo 5 anni ti sei stancato di avere al più 7 sere libere al mese vuol dire che non ami abbastanza lo scoutismo. Ecco, sarebbe anche il caso di piantarla anche perchè ne va della qualità del Servizio: un Capo che non vive la quotidianità al di fuori delle Sedi e dell'ufficio e non ha altri interessi intacca gravemente la propria Testimonianza ed efficacia. Non abbiamo bisogno di persone disposte a stare in sede ad libitum ma di gente che sa lavorare, ha piacere ad andare al Cinema, ai concerti, passare un week end con famiglia ed amici in un museo e che non sia solo il felice abitante dell'Isola che non c'è. Insomma, alla fine, trent'anni dopo, penso sempre, dopo una riunione, che forse dovrei insegnare alle bambine la furbizia e la sopraffazione e non a dire tutti quegli 'eccomi'. Ma queste bambine devono imparare a resistere: alla violenza, al neofascismo, al sessismo, allo stupro dell'ambiente, alla demolizione della Coesione Sociale e alla strumentalizzazione della Fede. Penso che gli 'Alti' Ideali che ho inseguito da giovane e che sembrano il leitmotiv associativo sono troppo alti. Il Pensare Alto non fa per me. Da Ingegnere aerospaziale vi garantisco che troppo in alto manca l'ossigeno e si pensa male a quello che resta a Terra. Sopra una certa quota volano solo i Palloni Gonfiati e nessuno di loro raggiungerà mai le Stelle. Penso che, se qegli Alti Ideali si sono dimostrati futili pretesti per la vuota autoconservazione di certa classe dirigente del BelPaese, i Valori dello Scoutismo mi sono rimasti appicciati addosso anche quando mi sarebbe stato comodo lavermeli via di dosso. Penso che se un giovane cattolico omosessuale ha speranza di accoglienza piena e completa ce l'ha tra i suoi fratelli scout e non perchè siamo migliori, ma solo dannatamente abituati chiudere quel benedetto cerchio e a non lasciare fuori nessuno. Penso che, alla fine, quello che conta è mettersi l'uniforme tutti i sabati, sorridere e cantare e concentrarsi per decifrare ogni sorriso, ascoltare ogni "Bill, lo sai che..." come se fosse la più preziosa delle rivelazioni. Penso che bisogna riflettere molto, molto, trarne conclusioni che non stonino rispetto a Scouting for Boys e lasciarsi alle spalle ansie, aziendalismo e grafici di produttività, indicatori e altre cose più adatte all'industria che alla Strada. Lo scoutismo mi ha accompagnato per gran parte della mia Vita e solo con molta razionalità astratta posso accettare che prima o poi me ne dovrò andare in pensione. E' già abbastanza difficile immaginare di dover lasciare le Coccinelle, seppur per il bellissimo Reparto o per il magico Clan. Poi, oh! Alla fine, qua si semina gioia e tanto basti.
Sono molti anni che penso a questo problema gigantesco.
La recente mossa di Trump di sicuro non è prudente, è davvero molto rischiosa ma, di certo, non rientra nel campo delle eccezioni dell'ambito del Conflitto Arabo Israeliano.
Il conflitto interno all'Islam sunnita si sovrappone al conflitto interno all'Islam tra sciiti e sunniti e fa da sfondo, cornice e compagnia alla faida tra ebrei ed arabi.
Come già detto più volte, ritengo poco costruttivo sia fare il tifo sia preoccuparsi di quello che dovrebbero/potrebbero fare gli altri.
Ecco, ancora una volta, pensiamo a quello che dovremmo fare NOI.
Io penso che la questione sarà chiusa da chi l'ha aperta.
La responsabilità è, ovviamente, maggiormente della Germania.
E, a seguire, l'Italia.
Ma sono molte altre le nazioni europee che hanno responsabilità in merito.
L'antisemitismo francese e polacco, le sciagurate promesse del governo britannico.
E cent'anni dopo eccoci qua.
Un popolo oppresso, un altro costantemente minacciato di genocidio e olocausto nucleare.
Non ci sarà Pace finchè non prevarrà una visione realistica ma anche storica del conflitto.
Non ci sarà Pace senza assunzione di Responsabilità.
L'Olocausto è stato un affaire europeo.
Siamo stati noi Europei a creare quella situazione (che i pacifinti invece attribuiscono agli americani, con un errore storico paragonabile a definire Napoleone una gentildonna di corte Scozzese)
Io ritengo che la Pace arriverà solo quando agli israeliani verrà fornita una garanzia credibile da parte dei paesi europei responsabili.
Una garanzia non condizionata ad eventi futuri, ma immediata, continuativa.
Israele non deve più essere messo in condizioni di usare la violenza per difendersi.
Perchè, se ancor prima che questo accordo di pace entri in vigore si dovrà ricostruire il sistema infrastrutturale palestinese (scuole, strade, acquedotti e ospedali), poi, ad ogni azione di violenza (inevitabile) contro gli israeliani dovrà registrare la reazione automatica di questa forza di garanzia.
Sia contro i terroristi che contro gli stati genocidi, in primis l'Iran.
Lo ripeterò fino alla risoluzione del problema. Anche se siete antisemit.. ehm, antisionisti e amate tanto i Palestinesi almeno quanto odiate i sionisti, l'Iran non farà distinzione tra grano e pula quando si verrà ai fatti: i preti sciiti odiano molto gli ebrei ma non amano nemmeno un po' quelli che considerano eretici e pure deboli: i Palestinesi.
L'atomica Iraniana risolverebbe, sì, la questione Palestinese ma non come pensate voi antisionisti.
La mossa di Trump è, probabilmente, solo altra benzina sul fuoco ma potrebbe (per caso, non per calcolo) anche capuitare di spegnere il fuoco con il fuoco.
A un certo punto si deve uscire dal pantano, magari uscirne sotto l'onda d'urto di una esplosione non è proprio intelligente e bisogna vedere se si ricadrà su terreno asciutto o nelle sabbie mobili.
Tra l'altro, Putin si è affrettato a seguire le orme del Presidente USA.
Singolare, no?
Ma è tutto un sanguinoso gioco delle parti: nè russi nè americani nè cinesi possono risolvere il problema, ma solo sfruttarlo a proprio vantaggio.
Spetta agli Europei risolverlo perchè è nel loro DNA l'origine del male.
Ecco, forse, perchè perdura da cent'anni: gli Europei non esistono e non possono fare quello che dovrebbero.
Il Papa, tre anni fa, ne aveva regalato uno a Lampedusa.
Ma, niente.
Lo stesso: scandalo e discordia.
Ecco, io non ho nulla da dire, davvero, sui e contro i contestatori, presbiteri inclusi.
E ho davvero poco da dire anche sul resto.
Matteo ci trasmette il pensiero di Gesù piuttosto chiaramente: " Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi."
Ma i nostri si sono nascosti per cento anni dietro la Linea Maginot delle discriminazioni di genere, intestarditi a combattere immaginari peccati sessuali, andando all'assalto frontale in difesa di una inesistente morale sessuale.
E adesso ci troviamo spiazzati, no? Con le truppe che non sono addestrate a combattere questo nemico, con armi inadatte a difendere il gregge da questi nuovi terrori.
E così non resta che Dunkerque: la sconfitta.
La sconfitta di un Popolo che si ritiene cristiano e che si scopre tutt'un tratto senza identià alcuna: nè di Comunità (altrimenti le cose non andrebbero tanto male a livello politico), nè di intenti. Tanto meno di Fede.
Chi credevate cristiani, nel voto, nella frequentazione dei Luoghi di Culto, beh, cristiani non vogliono più esserlo, di fronte a quel gommone.
Una volta sfondata la Linea Maginot, c'è Dunkerque, seppur non intesa come fuga.
Ma come speranza.
Se in quei gommoni c'è il Cristo, forse, la via dell'accoglienza non consiste nel facilitare lo sbarco.
Ma nel navigare tutti insieme, da Dunkerque, città della Sconfitta, come Castenaso, fino alle terre libere.
Non è che dobbiamo accogliere chi scende da quei gommoni: ci dobbiamo salire tutti.
E salvarci tutti assieme in Cristo, non in Castenaso, Bologna, Italia, Europa.
PS: sarebbe utile smetterla con la caccia alle streghe su chi sparge fluidi corporei diversi da lacrime e sangue, no?
Quando ho avuto notizia di questo progetto editoriale non ho avuto esitazioni nel decidere di acquistare il primo numero.
Durante le mie ferie d'autunno ho avuto modo di provvedere e mi sono preso tutto il tempo per poterne leggere le 82 pagine senza saltare un rigo.
Sono soddisfattisimo sia del denaro che, soprattutto, del tempo impiegato.
La pubblicazione mi pare di altissimo livello scientifico e culturale.
Uso il limitativo 'mi pare' perchè gran parte dei contenuti esulano dalla mia competenza e mi devo giocoforza fidare degli autori.
La sensazione è di un progetto solido, concreto, avulso dalle logiche openfuffarie dell'approccio vigente a #Matera2019 che hanno portato scarsissimo reddito al di fuori del segmento turistico.
Sto valutando l'abbonamento (ma, sfortunatamente, le mie esperienze con le riviste in abbonamento attraverso il servizio postale italiano sono estremamente negative), di sicuro, durante la prossima visita a Matera, comprerò il secondo numero.
L'unico mio dubbio è nel sempre minore interesse nelle questioni materane.
Ma neppure di imbastire il solito logorroico pippone.
Vediamo se mi riesce una via di mezzo.
Quest'autunno, per me, sono trent'anni di scoutismo.
Così, mentre mi accingo ad accogliere le Cocci nel cerchio dei Ciclamini, qui a Villanova, penso tante cose.
Ma qui mi limito a ricordare e testimoniare l'accoglienza.
Chi ha accolto me nel Reparto Sagittario del Matera 1, tutti i gesti di accoglienza di cui sono stato destinatario, testimone, attore.
Oggi, scoutismo per me è accoglienza.
Della Vita, dell'Altro, della Fede, dell'Umanità imperfetta.
Giovinezza
Scoutismo e Mangiare: mi viene naturale
Trenta anni di scoutismo meritano, probabilmente, qualcosa di più: magari un Punto della Strada. Pertanto, non è detto che non riesca a ritagliarmi il tempo per una riflessione adeguata.
Oggi, però, ricordo semplicemente l'accoglienza ricevuta quell'Ottobre mentre le Cocci si avvicinano al cerchio.
Il fatto che la mobilità ciclabile sia una forma di mobilità efficace ed efficiente non in base a criteri soggettivi e personali ma in base ad analisi matematiche ed economiche sfugge ai più.
In termini semplici non ci si dovrebbe spostare in città in bici perchè è bello, naturale, rilassante.
Ma perchè la collettività risparmia un mucchio di denaro e la qualità della vita aumenta (inclusa quella degli automobilisti che trovano più parcheggi e meno code). Secondo il Comune di Bologna (attualmente di certo non bike friendly), nel 2016 sul territorio comunale il costo degli incidenti stradali è stimato in oltre cento milioni di € (118, per la precisione). Vedete voi.
Ora, sui benefici di andare in bici ci sono fonti documentate serie e non un po' ovunque.
Su quanto sia pericoloso andare in bici, pure.
Ma non è così facile individuare dati affidabili sulle responsabilità degli incidenti che coinvolgono i ciclisti.
Definiamo prima di tutto un dato collaterale: le infrazioni stradali dei ciclisti e il raffronto con le infrazioni stradali degli automobilisti.
La mia impressione irrilevante è che i ciclisti facciano infrazioni più o meno allo stesso modo di quando invece che in bici vanno su un'auto.
Un dettaglio: i ciclisti urbani non possono violare i limiti di velocità, quindi direi che la possibilità di infrangere il codice della strada è minore della casistica degli automobilisti. L'eccesso di velocità è causa diretta almeno dell'11% degli incidenti automobilistici, il che vuol dire che è concausa di un'altra percentuale di certo non piccola nè lieve.
Prima di tutto, non è vero che i ciclisti non sono controllati:
sono poco controllati, esattamente come gli automobilisti.
E' vero che sono meno sanzionati? Non lo so: non ho trovato dati ma a quanto pare non è vero neppure questo.
Poi, nemmeno per gli automobilisti esistono statistiche sulle 'mancate sanzioni' nè sui 'mancati incidenti', ossia quelle situazioni di pericolo che, ad esempio, sono registrate on campo aeronautico.
Pertanto, dato che gli unici dati (difficilmente) reperibili sono sugli incidenti, non ha matematicamente senso preoccuparsi delle infrazioni dei ciclisti che non si traducono in incidenti.
Infatti, un comportamento pericoloso si traduce in un certo numero di incidenti.
Quindi, non sappiamo esattamente quanti automobilisti viaggino a 60 km/ora in città, sappiamo che il viaggiare a 60 km/ora si traduce in una maggiore incidentalità (misurabile).
Pertanto si torna alle premesse: quanti incidenti coinvolgono i ciclisti per loro colpa?
Questo dato (misurabile) ci da anche una possibile indicazione sulla loro indisciplina. Detto in matematica, se a è l'idice di responsabilità degli automobilisti in caso di incidente con un ciclista e b è lo stesso indice per i ciclisti, quindi con a+b = 100, i dati (sotto riportati) dimostrano incontrovertibilmente che a > b. Mi piacerebbe dimostrare matematicamente che il mancato rispetto delle regole del codice della strada che provocano incidenti è maggiore tra gli automobilisti pur essendo ciclisti ed automobilisti (s)corretti allo stesso modo. Di fatto, è molto probabile che ai fini della sicurezza stradale collettiva tali violazioni (non rilevate e a maggior ragione non sanzionate) siano di basso impatto.
Perchè mi spingo ad ipotizzare?
Perchè, secondo i dati che intendo raccogliere in questo post 'aperto' a contributi ed evoluzioni future, in caso di incidente tra auto e bici è quasi sempre l'automobilista il responsabile. In aggiunta, la facilità con cui in città si superano i limiti di velocità rende quasi sempre l'automobilista corresponsabile.
E il cerchio si chiude: in media, le infrazioni dei ciclisti non hanno conseguenze pratiche e non sfociano in incidenti, tutto qua.
Questo non vuol dire che non si debbano sanzionare comportamenti dei ciclisti quali girare di notte a luci spente, ad esempio. Significa che multare 100 ciclisti ha un impatto sulla sicurezza collettiva di gran lunga inferiore a usare le stesse risorse per multare 100 automobilisti. E che se l'obiettivo dei controlli non è solo il rispetto della legalità ma soprattutto la salvaguardia della Vita Umana si dovrebbero controllare (e multare) sistematicamente gli utenti della Strada che provocano rischi per la Vita Umana perché controllare e multare i ciclisti indisciplinati in maniera sistematica è matematicamente uno svantaggio per la sicurezza in quanto tali controlli sono necessariamente a scapito di quelli efficaci (ossia sui mezzi a motore). Se è possibile fare k controlli al giorno, e questi k controlli salvano v vite umane, è possibile che spostare una quota di questi k controlli al monitoraggio mirato delle infrazioni dei ciclisti porti ad una diminuzione del numero di vite umane salvate dai controlli. Del resto è quello che è successo a Bologna nel 2017 secondo i dati del Comune: raddoppiate le multe ai ciclisti, doppiati gli incidenti del 2016 già ad Agosto 2017. CVD. O quasi. Chiedo, pertanto, il soccorso di qualche matematico di passaggio che mi aiuti a dimostrarlo in maniera rigorosa.
La premessa è fin troppo lunga, quindi procediamo alla sostanza del post.
Intendo raccogliere una serie di link in primo luogo a studi scientifici e in secondo luogo a notizie di stampa riconducibili ad altri studi scientifici.
Se possibile, scaricherò e conserverò per poterli fornire a richiesta eventuali pdf di documentazione.
Intendo, quindi, fornire i dati sufficienti per rispondere velocemente alla domanda posta nel titolo.
Divido sommariamente i link per tipologia soggettiva con un breve sommario. Aggiornerò costantemente il post man mano che rintraccerò nuovi dati.
Blog e siti specializzati
L'insostituibile Benzinazero: https://benzinazero.wordpress.com "Nei social network di fronte a questo post molti osservano: “Sì ma è a Toronto…”, “Sì, ma è il 1998…” Ciononostante, l’indagine è attendibile e molto indicativa in ogni caso. 1. Si tratta di 2.572 incidenti *verbalizzati* dalla polizia, e quindi rilevati con particolare attenzione; 2. I comportamenti automobilistici sono molto standardizzati in tutto l’occidente: i codici della strada, pur differendo nei dettagli, hanno forti analogie. 3. Eventuale “maggiore disciplina” degli automobilisti in un dato paese vengono compensati da analoga maggiore disciplina dei ciclisti, e viceversa. 4. Siccome i ciclisti in genere non sono assicurati, in caso di contenzioso c’è un forte incentivo delle assicurazioni a dare loro il torto… quindi se risulta che hanno ragione, è perché hanno ragione. 5. Se i ciclisti fossero causa di sinistro in modo particolarmente elevato, le assicurazioni si darebbero da fare per un’assicurazione obbligatoria. Insomma: se a Toronto risulta che il 90% degli incidenti auto-bici sono causati da comportamenti incauti degli automobilisti, difficile che in un altro paese risulti esattamente il contrario." https://benzinazero.wordpress.com/2014/09/21/studio-90-degli-incidenti-auto-bici-sono-causati-dallauto-toronto-1998/ e https://benzinazero.wordpress.com/2017/05/01/incidenti-auto-bici-di-chi-e-la-colpa/
Siti Istituzionali Italiani:
Regione Lombardia "In Lombardia, dalle analisi sulle circostanze per le quali avvengono gli incidenti e in cui muoiono ciclisti risulta come, nella maggioranza dei casi, chi si trovava in sella alla sua bicicletta procedeva regolarmente e senza svoltare."
"While motorists often accuse cyclists of being the cause of bike-car accidents, a Toronto analysis of 2572 police collision reports (Table 1) demonstrates that this is actually not the case. The most common type of crash in this study involved a motorist entering an intersection controlled by a stop sign or red light, and either failing to stop properly, or proceeding before it was safe to do so. The second most common crash type involved a motorist overtaking unsafely. The third most common type of crash is a motorist opening a door onto an oncoming cyclist. In fact, cyclists are the cause of less than 10% of bike-car accidents in this study "
Ho letto (via Internazionale) il complesso reportage di Declan Walsh del The New York Times Magazine sul Caso Regeni.
Lo consiglio a tutti gli interessati: ritengo sia il testo più accurato e solido che abbia mai letto in merito. E se non avete voglia di leggere, vi riassumo in una sola frase quello che è di nostro maggior interesse: No, Walsh non ha scritto nulla contro il Governo Italiano che non ha commesso i grossolani errori che ci si potrebbe attendere. Parliamo, quindi, di altre cose fondamentali che nell'articolo non ci sono. Perchè il governo egiziano può serenamente ignorare l'accaduto e le richieste di Verità e Giustizia sia della Repubblica Italiana che dell'Opinione Pubblica Occidentale? Perchè la Repubblica Italiana ha ceduto e ha rinunciato a chiedere Giustizia? Ecco, di questo, nel reportage non di parla. L'affaire Regeni ha avuto ampia eco anche all'estero è non è (stata) una questione solo Italo Egiziana. Ma, quando gli interessati (fatevene una ragione: siamo molto pochi) manifestano la propria indignazione (sui social) parlano al vento. E' del tutto evidente che un funzionario del governo egiziano (non sappiamo quanto importante, potrebbe anche essere di livello medio) ha ordinato il rapimento, la tortura e l'esecuzione di un cittadino italiano che non stava facendo nemmeno niente di particolarmente pernicioso per la sicurezza della dittatura militare egiziana. E' assai probabile che costui non vedrà mai l'aula di un tribunale. Perchè? E' molto semplice: il governo Egiziano fa finta di nulla e ci prende pure per il culo perchè può farlo. Il Governo Italiano ha rimandato l'ambasciatore al Cairo perchè deve farlo.
Non voglio scrivere un trattato sulla maggior rilevanza geopolitica di una Dittatura Mediorientale che ha un peso economico del 25% della maggior Democrazia del Mediterraneo. Gli egiziani si sentono tranquilli perchè sanno bene che l'Italia ha molto più bisogno dell'Egitto che l'Egitto dell'Italia. O, almeno, pensano che sia così. La nostra intelligence, oggettivamente efficace nel proteggerci da ISIS e sodali, ha bisogno che l'Egitto (sul cui territorio ISIS et similia conducono quotidianamente una feroce azione di guerriglia e terrore) continui a collaborare. I buoni uffici egiziani sono anche richiesti in Libia per via di quella faccenduola dell'Immigrazione. E', ovviamente, anche una questione di soldi ma, anche se i 5 Miliardi di € di interscambio annuo possono sembrare una cifra enorme, il nostro guaio è la debolezza militare e strategica: L'Egitto combatte l'ISIS e voi non lo volete supportare? Apparentemente, quindi, la ragion di Stato mista alla nostra debolezza ci costringe far buon viso a cattivo gioco. Io penso che sia la nostra debolezza militare e politica a contare. Non è affatto detto che si debba noi cessare la collaborazione con l'Egitto in tema di antiterrorismo. Si possono emettere sanzioni mirate contro i nostri sospettati principali con tanto di sorriso sulle labbra. Emettere mandati di cattura internazionale. L'Egitto è un paese molto debole (che è bene non indebolire ulteriormente) ed è fondamentale lasciare ai suoi dirigenti almeno modo di salvare la faccia. Quindi un govero egiziano sufficientemente motivato da azioni precise e fredde da parte italiana potrebbe anche decidere di sacrificare i responsabili. Ma noi non siamo in grado di fare niente di tutto questo perchè ci mancano le basi culturali per decifrare le posizioni di forza. E nei palazzi dei nuovi faraoni ci si sente molto più forti di quanto si sia in realtà, può darsi, ma si è molto più forti geopoliticamente parlando che lungo le rive del Tevere.
La realtà è sconfortante e la mia desolata opinione è che non ci sarà mai giustizia per Regeni, almeno non secondo i nostri parametri che vorrebbero mandanti, esecutori materiali e complici condannati a pene detentive proporzionali alla responsabilità.
I miei pensieri vanno alla sua famiglia ed ai suoi cari che non possono certo dimenticare o smettere di soffrire per la terribile perdita che un pezzo dello Stato Egiziano ha inflitto loro. La mia raccomandazione finale per chi ha a cuore questa ed altre cause simili è meditare su un dato di fatto: se la tua nazione ha 200 carri armati e quella oggetto del contendere ne ha, magari, 3500, degnati di inserire questo piccolo squilibrio nei tuoi calcoli in merito. Magari certi fatti inesplicabili si spiegano facilmente.