Sono anni che, saltuariamente, scrivo raccontini scout.
Da oggi, per festeggiare i cinquantamila visitatori sul mio blog, inizio un nuovo esperimento.
Sto scrivendo una serie di storielle scout, magari collegate tra di loro, ma le pubblicherò non in ordine 'logico', ma in ordine cronologico di scrittura, con label "L'assalto alla cambusa".
Divertitevi e criticatemi.
In tanti anni la cosa che per me è rimasta sempre uguale è il pomeriggio prima della partenza per il Campo Scout.
E la notte.
E il mattino.
Lo so, ogni zaino è diverso: Branca EG e Branca RS richiedono approcci differenti.
Contenuti differenti.
Ma il tempo per fare lo zaino è lo stesso.
I pensieri dello zaino gli stessi.
Ho avuto tre zaini, vediamo, in quanti?
25 anni di scoutismo?
Sì.
Tre zaini.
Un vecchio zaino della fanteria, comprato usato da Michele La Stoppa, senza spallacci imbottiti e senza intelaiatura, per i primi anni di Reparto.
Quando si bagnava (e capitava spesso) puzzava terribilmente.
Non so che fine abbia fatto, probabilmente si è disintegrato ed è stato gettato via.
Poi, uno zaino Ferrino, di nylon verde, con telaio di alluminio.
Mi ha abbandonato alla fine dell’Hyke del CFM.
Diciamo che ho rotto il telaio di alluminio per fatica …
Ma non era da gettar via: è stato conveniente riciclato per qualche ragazzino del Reparto.
Poi, un altro Ferrino, con telaio interno.
Il mio zaino.
Conosco il mio zaino.
So dove vanno a finire le cose.
“Vorrai dire: dove sono conservate le cose?”
No, intendo esattamente dove vanno a finire.
Metto il sacco a pelo in fondo ed al suo fianco la sacca notte, poi la giacca a vento a contatto con la schiena ed il resto del vestiario al centro.
In cima cibo e spiritiera, cassetta del pronto soccorso ed impermeabile.
In genere, l’impermeabile è l’unico che resta in cima, alla sosta per il pranzo.
La spiritiera è regolarmente abbracciata al sacco a pelo: ma si sa, per me, mangiare e dormire ...
Ci metto un sacco a fare lo zaino perchè perdo tempo.
Perdo tempo perchè penso anche ad altro.
Francamente, penso al “Chi me lo fa fare”.
Ci penso sempre.
Ci penso mentre metto in atto i trucchi del mestiere: le batterie della macchina fotografica nella tasca della cintura dello zaino.
I Fiammiferi e l’accendino in piccole tasche separate.
Le spille da balia, come da manuale.
Ago e filo. L’ago è magnetico, perchè una bussola di riserva può far comodo.
Il filo, non tanto per ricucire bottoni, ma per sgonfiare le bolle ai piedi durante la notte...
E non vi dico come: certi vecchi trucchi si tramandano solo da Capo a Ragazzo...
Rivedo la cassetta del pronto soccorso: per certe cose mi sento tranquillo solo se controllo due volte.
Consumerò una quantità industriale di repellente antinsetti, lo so, come so che esaurirò la pomata per le contusioni e l’acqua ossigenata.
Se posso, un po’ di borotalco.
A portata di mano, sempre nella cintura, metto le caramelle.
Quelle del commercio equo e solidale.
L’ideale per un boost zuccherino quando le forze svaniscono di fronte all’ennesima salita a sorpresa.
Arrotolo l’isolante e mentre lo assicuro col cordino (di canapa, non bariamo!) allo zaino mi viene in mente che non ho ancora sistemato il mio rotolo di corda di riserva.
Va nella stessa tasca del coltello, un banale opinel da cinque euro con cui, però, faccio di tutto. Ci taglio il pane, il cordino (quando ci vuole ci vuole), la carne, la frutta e il formaggio. E, no: non l’ho mai usato come bisturi... beh, quasi mai.
La luce elettrica, la doccia, il letto ed il frigorifero, niente di questo mi mancherà.
Non c’è posto nello zaino per molte cose.
L’ansia è troppo ingombrante, non ci entra.
Nemmeno la viltà spicciola, quella che ti fa voltare dall’altro lato in autobus quando un cretino fa un commento razzista su un poveraccio col suo ingombrante borsone di speranze e merce contraffatta.
Però lo zaino non è ancora chiuso.
Nel frattempo, l’ansia ha ancora campo libero.
Inizio a ricoprire la cartina del percorso col nastro adesivo.
La mappa IGM è stampata su un normale foglio A5.
La impermeabilizzo col nastro adesivo, un gesto meccanico, perfetto per far evaporare l’ansia.
Quando finisco di ricoprire la carta col nastro adesivo avvolgo la mappa attorno alla bussola. Anche questa resta a portata di mano in una tasca della cintura dello zaino.
Quando si marcia, sotto la pioggia, lo sguardo alla mappa in basso ed alle cime in alto è pura consolazione: sapere, una volta ogni tanto, nella vita, dove si è e dove si sta andando.
Mi concentro per evitare che la paura si infiltri tra cinghie e chiusure lampo nel mio zaino.
La paura che tutto quello che accadrà, portando lo zaino, sia una inutile o, peggio ancora, dannosa menzogna.
Che tutto lo Scoutismo infonda una perniciosa idealità laddove dovrebbe inculcare solo tecnica e che strappi via da corpi ed anime i sani anticorpi dell’egoismo e della amoralità così necessari alla quotdianità contemporanea.
Provo gli spallacci, ma so che è un gesto inutile: l’assestarsi del peso sulle spalle è mutevole, variabile, continuo.
Rimetto a terra lo zaino, in verticale.
Inizio a chiuderlo, verifico le cerniere, tiro al massimo le cinghie sotto cui ho incastrato l’isolante.
E spero di lasciar fuori l’ultima paura.
Che quello sia il mio ultimo zaino del mio ultimo campo Scout.