Giulia
Giulia si svegliò di soprassalto, probabilmente a causa di uno scossone del treno più forte degli altri.
Si era assopita subito dopo la partenza da Bari, stremata dalla stanchezza.
Erano quasi arrivati a Matera.
Marta stava fissando il vuoto con la testa sulle sue ginocchia e i piedi che arrivano sul finestrino dell’altro lato del corridoio.
Si trattenne dall’accarezzarle i capelli.
Giulia avrebbe ricordato nitidamente la sua mano destra che si muoveva verso quella folta chioma ribelle per poi rinunciare.
Marta le faceva sempre tenerezza ma, quel giorno, guardarla le faceva pensare ossessivamente a: ’Tra una settimana va via e io come farò?’
Più cercava di non pensarci, più ci pensava.
Conosceva Marta sin dalla prima infanzia.
Non ricordava nemmeno un primo giorno di scuola affrontato senza di lei.
I marciapiedi scassati di periferia erano ostacoli da saltare assieme, le strade non asfaltate e infangate fiumi da guadare delle loro immaginarie giungle da bambine.
Mano nella mano, tutti i giorni.
Poi, in due sul suo motorino.
E le riunioni di Branco, quelle di Squadriglia, di Reparto.
Poi l’Alta Squadriglia, il Noviziato, il Clan.
Se solo quella maniaca della madre…
E ora?
Sapeva che all’università si sarebbero per forza separate: al liceo, Giulia passava le materie scientifiche solo grazie all’aiuto del bernoccolo della Matematica di Marta che le stava dietro dietro tutti i giorni.
Ma non credeva che sarebbe arrivato davvero questo tempo.
Fino all’ultimo aveva sperato che si iscrivesse al Politecnico di Bari, invece, dall’inizio dell’anno, aveva fatto di tutto per riuscire ad arrivare a quello di Torino.
E ci era riuscita.
Capiva bene che soffocava a casa, a Matera.
E sapeva quanto aveva sofferto e stesse ancora soffrendo per il suo aspetto fisico e le relative implicazioni.
E ora sarebbe andata via e Giulia avrebbe perso la sua amica, la sua unica sorella di fatto.
«Uè, Tetto’, a che pensi?»
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