7 settembre 2025

Capitolo 2 Primo Volo, tarda estate 2001Marta, primi di settembre 2001

Marta davanti al collegio

 

Il viaggio fu molto faticoso, tra famiglie che tornavano dalle ferie e altri studenti che, come me, partivano per la grande avventura dell’Università.

Ci mancavano solo le mestruazioni.

Arrivata a Torino, trascinai le mie valigie fino al Collegio delle suore dell’Immacolata cambiando due autobus piuttosto affollati.

L’edificio mi dava soggezione ma l’interno non era squallido come avevo temuto.

Dalla reception uscì Suor Agata, con cui avevo già parlato al telefono qualche giorno prima.

Era una donna sulla cinquantina asciutta ed energica.


Marta e Suor Agata


A giudicare dalle foto di missione nel suo piccolo ufficio, non aveva fatto sempre la balia alle studentesse di ingegneria.

Mi accompagnò in camera a lasciare le valigie, poi mi fece fare un giro del Collegio: la sala mensa, quella informatica, le cabine telefoniche, la sala tv, la biblioteca, le sale studio e la cappella.

Il mio status di Scolta AGESCI referenziatissima mi aveva garantito l’iniziale benevolenza di Suor Agata.

Quella donna mi diede una forte impressione di coerenza, forza e assoluta mancanza di ipocrisia.

Il regolamento del Collegio aveva questo incipit: Sono ammesse ragazze che siano in grado di fornire testimonianza di sicura moralità, proseguiva con riferimenti a introdurre, ritenere, diffondere stampa giudicata pornografica e  a mantenere un comportamento ed un abbigliamento consoni e coerente all’ambiente religioso. 

Ma non mi sembrava niente di terribile rispetto a casa mia.

«A parte il regolamento ho solo un’altra cosa da dirti: se non riesci a studiare vieni da me, se hai nostalgia di casa, del fidanzato, vieni da me: non te ne stare in camera da sola».

Oltre che di conservarne la benevolenza, mi venne voglia di conoscerla.

Ringraziai e mi diedi da fare per pulire a fondo la stanza già più che decorosa e a svuotare le mie due valigie riponendo il contenuto nei miei spazi. Avevo preferito la doppia alla singola per poter risparmiare ben duecentomila lire  al mese sulla mia borsa di studio.

Mia coinquilina sarebbe stata una ragazza di un paesino vicino Cuneo. Era al secondo anno di ingegneria aerospaziale e tornava a casa sua tutti i venerdì per presentarsi a Torino il lunedì mattina.

A pranzo mi ritrovai, più che in una mensa, in una grande sala comune con un’unica gigantesca tavolata a ferro di cavallo a cui le venti studentesse ospitate dal Collegio potevano sedersi senza sgomitare.

Oltre a me c’era solo un’altra matricola, altre 2 sarebbero arrivate l'indomani.

Alessia veniva dalla Sardegna e in due facevamo tre nostalgie.

Il pranzo, cucinato da Suor Francesca, fu squisito.

Stremata dalla notte di treno, mi addormentai per un paio d’ore e mi svegliai stordita e malinconica.

Mi preparai un caffè e, prima di metterlo sul fornello elettrico, andai alla ricerca di Alessia, ma non era in camera.

Dopo il caffè mi sentii meglio. La stanza era praticamente a posto.

Mi sedetti alla piccola scrivania e aprii il libro dei temi d’esame di ammissione.

Iniziai a studiare e non smisi per anni.

Verso le sei bussarono alla porta. 

Pensavo fosse Alessia, invece era suor Agata che approvò visibilmente la scrivania coi libri aperti e gli appunti.

«Vieni a prendere il tè freddo di Suor Francesca, lo fa lei, non è comprato. E qui dentro fa così caldo».

Non me lo feci ripetere due volte.

Mentre scendevamo le scale (io ero al secondo di 4 piani) mi fece qualche domanda esplorativa iniziando dal motivo per cui avevo scelto il Politecnico.

Spiegai che avevo scoperto di avere un certo talento per la programmazione, i computer e l’informatica e che in quel momento avrei potuto solo scegliere tra Torino e Milano. Mio Padre mi aveva incoraggiato.

Ed eccomi qua.

In refettorio trovai anche Alessia e devo ammettere che le suore fecero di tutto per farci sentire accolte e tranquille fino a nominare ex convitte che, dopo la laurea in Ingegneria, erano tornate felici e contente a vivere con un buon lavoro nel paesello di provincia da cui erano state strappate.

Ricordo nitidamente quel primo Sabato sera torinese.


Marta alla sua scrivania in collegio



Sola, nella mia camera, non squallida ma di certo nemmeno accogliente, guardavo l’immenso flusso di macchine sul vicino Corso.

Faceva molto caldo.

Per fortuna c’erano le zanzariere alla finestra, altrimenti sarei stata dissanguata da quegli odiosi insetti che si affollavano alla frontiera.

A quell’epoca, chiamare (e ricevere telefonate) dai cellulari era costosissimo e mi guardai bene dal cedere alla tentazione di sentire Giulia o Marco.

Mandai un sms a Giulia, dalla cabina telefonica a scheda chiamai i miei e fu tutto.

Per risparmiare sul peso mi ero portata solo un vecchio tascabile che avevo quasi finito di leggere durante il viaggio, l’indomani sarei andata a cercare qualcosa in biblioteca.

La stanchezza mi aiutò a prendere sonno presto mentre i rumori alieni di una città sconosciuta mi ricordarono fino all’oblio che non ero più a casa.

Dopo colazione andai in cappella per la Messa ma erano anni che un sacerdote non veniva a celebrare l'Eucaristia la domenica: saremmo andate nella vicina Parrocchia di Santa Teresa.

Scortate da 4 suore, mi incamminai di buona lena con Alessia e, dopo pochi minuti, entrammo in Chiesa.

Il Cielo era nascosto dalle grandi chiome degli alberi che erano ovunque, non ero abituata a tutto quel verde.

Dopo la Messa chiamai i miei, chiesi la cortesia di far visita in biblioteca e riuscii a scovare una copia di Quo Vadis. Dopodiché,  mi asserragliai dietro i libri e studiai fino a sera.

Lunedì 3 Settembre 2001, di buon’ora entrai al Politecnico per il test di ingresso.

L’elenco dei nomi era affisso in più bacheche nel gigantesco cortile esterno del Politecnico.

Di fianco al mio c’era scritto: Aula 3. 

La cercai sulla grande mappa all’ingresso e ci misi pochi secondi ad orientarmi: quasi 12 anni di scautismo qualche frutto lo avevano pur dato.

L’Aula 3 era enorme, mi sembrava anche più grande del Cinema Duni.

Corpi e Voci  erano ovunque.

Poi le voci svanirono, anche i corpi. 

Anche il mio.

Il test iniziò e iniziò il mio futuro.

Se il buon giorno si vede dal mattino, il mio giorno tra quelle mura iniziava abbacinante.

Andai avanti domanda dopo domanda con pochi dubbi.

Finii il test con mezz’ora di anticipo e corsi a dare la lieta novella ai miei: ero sicurissima di essere passata.


つづく


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