26 aprile 2018

Un Generale Piccolo Piccolo, di Vittorio Silvestrini: educazione alla Pace

Questo è stato il mio libro di lettura della Prima Media.
Sono riuscito a recuperarne una copia e ho scoperto di ricordarmelo alla perfezione.
Il testo è breve ed è poco più di una favola per bambini, ma scritta in maniera tale da non lasciar dubbi sulla sua valenza educativa.
La trama è lineare ma originale: in un Paese evidentemente ispirato agli USA degli anni '80 un ragazzino di 10 anni diventa Capo di Stato Maggiore Generale dell'Esercito.
Si trova a gestire l'aggressivo complesso militare industriale sempre sulll'orlo di una guerra nucleare ma ben intenzionato ad arrivare alla Pace senza lasciarsi intimidire ed ingannare dai generali e dagli industriali.
L'Autore è categorico nel definire la conoscenza della realtà come primo irrinunciabile passo per un percorso di Pace efficace e duraturo.
Nelle note a piè pagina, in fatti, sono fornite spiegazioni semplici ma precise e complete sui principali armamenti citati nel testo e l'Autore ritiene opportuno anche per i bambini di dieci anni saper distinguere tra una bomba a neutroni ed una all'idrogeno, proprio perchè solo la competenza può portare ad un processo di Pace vero.
Notevoli, poi, le tracce di riflessione alla fine di ogni capitolo: l'Autore stimola ragazzini ad acquisire competenze e a porsi interrogativi che, è desolante constatare, non sono più alla portata nè di parlamentari nè di adulti laureati.
Durante la recente crisi siriana mi è capitato di ascoltare dichiarazioni di persone con importanti (e meno importanti) responsabilità letteralmente vaneggiare: di missili lanciati da sottomarini ancorati nei porti italiani o degli USA/UK/Francia dotati di un loro supposto (ma inesistente) arsenale chimico.
Invece, Silvestrini ritiene perfettamente normale chiedere a ragazzini di undici anni di informarsi su quanti generali aveva l'Italia nel 1985 e sulla proprietà dei grandi giornali nazionali...
Sbandierare una perniciosa ignoranza è sempre un fattore negativo anche per i più puri e pii desideri di armonia.
La Pace non si costruisce sul desiderio, ma su una razionale disamina dei fatti in cui alla perenne fog of war che rende difficile razionalizzare va contrapposta la maggior competenza tecnica e umanistica possibile.





Questo libro è stato, per me, fondamentale.
Mi ha spinto alla ricerca.
La ricerca degli altri punti di vista, della competenza tecnica, degli interessi nascosti.
La ricerca della complessità e dell'approccio critico e laico basato sui fatti.
Penso che questo libro dovrebbe essere aggiornato e riproposto come testo di lettura scolastica perchè l'approccio profondamente empatico verso i bambini ne fa un tramite educativo prezioso per una educazione alla Pace laica e, soprattutto, efficace.









La Pace va difesa ma l'ideologia, le credenze e l'ignoranza sono le peggiori armi per farlo.






20 aprile 2018

Guida a Materatown negli anni da Capitale Europea della Cultura

Mi è giunta voce di una furiosa lite tra stanziali riguardo alberi e rotatorie.
Come da ferrea tradizione, diventa impossibile appurare i fatti  in quanto, a Materopoli, che un albero sia morto o vivo non è un dato scientifico ma un dato partitico.
Ovviamente, io non so se gli alberi siano vivi o morti, ma ancora una volta il dibattito è se realizzare o meno una infrastruttura che aggraverà in ogni caso il problema dato che più strade = più traffico come scientificamente dimostrabile.
In termini più semplici, a XXI Secolo inoltrato si ragiona (e si agisce) come a metà XX.
Colgo l'occasione, quindi, per riproporre un mio raccontino su come si guida a Matera: ora che sono di nuovo un fuorisede e dato che il sito in cui il racconto è pubblicato è ormai defunto da tempo mi è sembrato carino riproporlo in chiave rivisitata ed aggiornata alle condizioni del traffico e delle usanze automobilistiche della vigilia del famigerato 2019.

Ecco a voi, quindi "Guida a Materatown negli anni da Capitale Europea della Cultura"





Come fuorisede prima taurinense poi bolognese, posso azzardarmi ad una descrizione ragionata del modo di guidare dei residenti, un modo di guidare peculiare nel cosmopolita universo della guida meridionale. Il modo di guidare nelle città e nelle nazioni in cui la guida è disciplinata è uguale in tutto il mondo, il modo di guidare male è peculiare per ogni città, borgo o paese. Anche se, lo ammetto, agli occhi di un integerrimo automobilista svizzero, il modo di guidare messicano, barese, napoletano o materano, deve apparire più o meno identico. Ma, per le orecchie di uno stanziale pochi insulti sono peggiori che vedersi accomunati allo stile di guida dei cugini baresi, ad esempio. Anzi, una macchina targata BA è vista come fonte di possibile pericolo da cui è meglio star lontani. Ovviamente, tanta supponenza è del tutto fuori luogo: per non tediarvi ci limiteremo all’analisi di poche circostanze.
Lascio volentieri ad altri stabilire cosa sia davvero un’automobile in Materatown. Posso affermare con ragionevole certezza, tuttavia, che cosa, un’automobile in Materatown, NON è:
NON è un mezzo di trasporto per andare nel minor tempo possibile in sicurezza dal punto A al punto B. L’automobile viene spesso usata per fare “un giro”. Ossia, due o più persone, in auto, parlano tra loro come se stessero passeggiando assieme. Solo che, appunto, lo fanno in auto. Ovviamente, quando fai “un giro”, possibilmente senza meta alcuna, l’attenzione dell’autista è concentrata sulle chiacchiere con gli amici piuttosto che sulla guida. Con tutte le conseguenze immaginabili. Inoltre, mentre fai ” un giro “, è considerato lecito e sacrosanto, da tutti gli occupanti dell’auto, un po’ meno da chi la segue, procedere a non più di 15 Km orari al centro della strada.
Mentre a Bologna l'eccesso di velocità è una piaga mortale, a Matera, in cui comunque non mancano automobilisti che pensano di essere in autodromo percorrendo certe vie cittadine a cent'all'ora, è molto diffuso l'intralcio alla circolazione, intralcio dettato dalla prudenza: se vuoi fare una conversazione telefonica al cellulare mentre guidi ti metterai mai a correre? Ingrani la prima, non superi i 15km l'ora e prosegui nel percorso del Giusto. E dietro di te il mondo in paziente coda.
Altra peculiarità di Materatown è la possibilità, sicuramente altrove sconosciuta, di condurre conversazioni con altri automobilisti. Lo so bene che, in altitalia, gli automobilisti comunicano con altri via cellulare possibilmente mediante auricolare. Ma io intendo la pratica comune di parlare con altri automobilisti direttamente. Lo so, in moltissime città gli automobilisti parlano con altri automobilisti direttamente, ma esclusivamente per scambiarsi considerazioni sulla moralità delle rispettive madri, sorelle o sulle proprie ed altrui tendenze omoerotiche ed altre piacevolezze. A Materatown è prassi comune incrociare un conoscente, fermarsi in mezzo alla strada e chiacchierarci amabilmente tra un finestrino e l’altro. E' considerato reato punibile con le percosse dai conversatori clacsonare  per chiedere di spostare la conversazione in salotto.
Ma non si deve essere troppo pessimisti: dopotutto la guida a Materatown è abbastanza tranquilla e sicura: i semafori sono rispettati e le strisce pedonali pure. Anzi, mentre a Bologna se ti fai investire sulle strisce pedonali l'assessore al traffico dichiarerà pubblicamente che è colpa tua, se questo succede a Matera l'assessore al traffico è anche capace di sguinzagliare i vigili in borghese per fare multe a chi non si ferma prima delle strisce pedonali Tuttavia, la precedenza viene violata sistematicamente e per fini oggettivamente irrazionali. Infatti, per lo più, il violatore del segnale di stop si piazzerà al centro della strada evitando accuratamente di ingranare marce superiori alla seconda. La scena si svolge tipicamente così: siete in ritardo ma la via è libera nella vostra corsia e procedete speditamente senza esagerare. Da una via laterale, con tanto di stop, un altro stanziale giunge in auto, rallenta, si ferma, vi vede sopraggiungere di gran carriera, fa finta che non esistiate, si butta, vi fa inchiodare, dopodichè resta in prima marcia dalla Madonnina fino al passaggio a livello.
Anche il parcheggio, complice il flusso di turisti, è diventato problematico.
Tuttavia a Materatown imperversa tutt'oggi un peculiarissimo e mai visto altrove modo di parcheggiare male: doppia e tripla fila? Marciapiede? Passaggio Pedonale? Aiuola? Ciclabile?
'Nzè, dilettanti: a Materatown si parcheggia anche così come nel resto d'Italia ma in nessun'altra parte del mondo si parcheggia in doppia fila con posti auto disponibili  lì a fianco. Mi è personalmente capitato più volte di assistere a questo modo di parcheggiare: il parcheggio libero ci sarebbe pure, ma lo stanziale preferisce bloccare in doppia fila un'altra auto parcheggiata che prendersi la briga di parcheggiare correttamente. Il mio personale record è quando sono stato bloccato in doppia fila in un parcheggio a spina di pesce da una signora che... aveva anche bloccato l'accesso al parcheggio vuoto.
L'ultima peculiarità  con cui saluto gli automobilisti stanziali è la brevità dei percorsi per cui si giudica indispensabile adoperare l'automobile. Senza tema di smentite, ho misurato (per miei familiari, eh) anche  percorsi inferiori ai cinquecento metri di pianura. Se la media nazionale degli spostamenti in auto inutili è del 30% è probabile che a Materatown si batta questo bel record.
E come non citare i pedoni di Materatown in questa piccola esposizione?
Come si attraversa la strada a Materatown (fuori dagli attraversamenti pedonali)?
Facile: si voltano le spalle alle automobili incipienti,  non si guarda se arrivano auto e si attraversa rigorosamente in diagonale in modo da massimizzare matematicamente il tempo di attraversamento ed ingombrare il più possibile la sede stradale.
Pare che sia diffusa una leggenda secondo cui guardare prima di attraversare porti sfortuna…
Altra peculiarità dei pedoni di Materatown è nel camminare sulla sede stradale snobbando costantemente il marciapiede. E’ vero, i marciapiedi di Materatown ospitano cacche di cane, piante infestanti, cassonetti dell'immondizia, automobili, tavolini dei bar e buche di ogni profondità ed ampiezza: ma, cari pedoni, non è che le strade siano molto diverse…



Ed ecco qui, per gli archeologi della cattiva scrittura, la versione originale, vincitrice del prestigioso premio letterario "Materatown":


“Da stanziale ma ex fuorisede taurinense, posso azzardarmi ad una descrizione ragionata del modo di guidare dei residenti, un modo di guidare peculiare nel cosmopolita universo della guida meridionale. Il modo di guidare nelle città e nelle nazioni in cui la guida è disciplinata è uguale in tutto il mondo, il modo di guidare male è peculiare per ogni città, borgo o paese. Anche se, lo ammetto, agli occhi di un integerrimo automobilista svizzero, il modo di guidare messicano, barese, napoletano o materano, deve apparire più o meno identico. Ma, per le orecchie di uno stanziale pochi insulti sono peggiori che vedersi accomunati allo stile di guida dei cugini baresi, ad esempio. Anzi, una macchina targata BA è vista come fonte di possibile pericolo da cui è meglio star lontani. Ovviamente, tanta supponenza è del tutto fuori luogo: per non tediarvi ci limiteremo all’analisi di poche circostanze.
Lascio volentieri ad altri stabilire cosa sia davvero un’automobile in Materatown. Posso affermare con ragionevole certezza, tuttavia, che cosa, un’automobile in Materatown, NON è:
NON è un mezzo di trasporto per andare nel minor tempo possibile in sicurezza dal punto A al punto B. L’automobile viene spesso usata per fare “un giro”. Ossia, due o più persone, in auto, parlano tra loro come se stessero passeggiando assieme. Solo che, appunto, lo fanno in auto. Ovviamente, quando si fa “un giro”, possibilmente senza meta alcuna, l’attenzione dell’autista è concentrata sulle chiacchiere con gli amici piuttosto che sulla guida. Con tutte le conseguenze immaginabili. Inoltre, mentre si fa ” un giro “, è considerato lecito e sacrosanto, da tutti gli occupanti dell’auto, un po’ meno da chi la segue, procedere a non più di 15 Km orari al centro della strada.
Altra peculiarità di Materatown è la possibilità, sicuramente altrove sconosciuta, di condurre conversazioni con altri automobilisti. Lo so bene che, in altitalia, gli automobilisti comunicano con altri via cellulare possibilmente mediante auricolare. Ma io intendo la pratica comune di parlare con altri automobilisti direttamente. Lo so, in moltissime città gli automobilisti parlano con altri automobilisti direttamente, ma esclusivamente per scambiarsi considerazioni sulla moralità delle rispettive madri, sorelle o sulle proprie ed altrui tendenze omoerotiche ed altre piacevolezze. A Materatown è prassi comune incrociare un conoscente, fermarsi in mezzo alla strada e chiacchierarci amabilmente tra un finestrino e l’altro. Peccato che gli altri automobilisti in coda dietro i due conversatori nelle rispettive corsie non possano unirsi al simposio.
Ma non si deve essere troppo pessimisti: dopotutto la guida a Materatown è abbastanza tranquilla e sicura: i semafori sono rispettati e le strisce pedonali pure. Tuttavia, la precedenza viene violata sistematicamente e per fini oggettivamente irrazionali. Infatti, per lo più, il violatore del segnale di stop si piazzerà al centro della strada evitando accuratamente di ingranare marce superiori alla seconda. La scena si svolge tipicamente così: siete in ritardo ma la via è libera nella vostra corsia e procedete speditamente senza esagerare. Da una via laterale, con tanto di stop, un altro stanziale giunge in auto, rallenta, si ferma, vi vede sopraggiungere di gran carriera, fa finta che non esistiate, si butta, vi fa inchiodare, dopodichè resta in prima marcia dalla Madonnina fino al passaggio a livello.
E come non citare i pedoni di Materatown in questa piccola esposizione?
Come si attraversa la strada a Materatown?
Facile: si voltano le spalle alle automobili incipienti e si attraversa rigorosamente in diagonale in modo da massimizzare matematicamente il tempo di attraversamento ed ingombrare il più possibile la sede stradale.
Pare che sia diffusa una leggenda secondo cui guardare prima di attraversare porti sfortuna…
Altra peculiarità dei pedoni di Materatown è nel camminare sulla sede stradale snobbando costantemente il marciapiede. E’ vero, i marciapiedi di Materatown ospitano cacche di cane, piante infestanti e buche di ogni profondità ed ampiezza: ma, cari pedoni, non è che le strade siano molto diverse…”

15 aprile 2018

Il Declino della Violenza, di Steven Pinker

Ho appena completato la lettura di questa monumentale e fondamentale opera che, oltre ad avermi 'convinto', mi ha anche spinto a verificare quello che mi veniva semplicemente raccontato.
Le tesi di Pinker, quindi, hanno assunto più un valore di verità scientifica che di ipotesi.
Del resto, Pinker  collega i lavori scientifici di centinaia di fonti.
Nonostante le evidenze raccolte, tuttavia, la realtà descritta da Pinker resta negletta.
L'Italia del2018 è percepita come un posto povero e pericoloso mentre i numeri dimostrano che rispetto al resto del mondo extra UE (Figuriamoci rispetto a 200 anni fa) è un posto straordinariamente ricco, pacifico e sicuro.
Ma anche solo ricordarlo è praticamente tabù:
gli strumenti della modernità sono accettati solo in parte e in maniera parziale.
Abbiamo tutti un terminale di rete ma in pochissimi ne accettano le implicazioni matematiche, fisiche, insomma, scientifiche.
L'utente di una macchina complessa che funziona solo al rigoroso uso delle conoscenze può serenamente convincersi che tali conoscenze scientifiche siano false.
Da cui sentimenti (e azioni) anti Unione Europea, vaccini, immigrazione, diritti umani.
Il Libro è anche una gigantesca operazione di smascheramento bufale.
La modernità, infatti, ha moltissimi fieri e fanatici nemici, Laudator temporis acti, nostalgici di un' immaginaria età dell'oro che non è mai esistita.
I nativi americani avevano un tasso di omicidio di un ordine di grandezza superiore al tasso di morte degli europei durante le due guerre mondiali.
Gli eschimesi hanno un tasso di omicidio di 100  ogni 100 mila abitanti, lì dove in EU è di 1 e nel decennio più violento della storia contemporanea degli USA era di 10.
Avete capito bene: immaginatevi un posto dove il tasso di omicidi è dieci volte quello di film tipo 'le brigate della morte' o 'Bronx' o 'i guerrieri della notte'.
La 'tranquilla vita di campagna' in armonia con la natura era una lotta per la sopravvivenza in cui anche l'esigua minoranza dei sopravvissuti all'infanzia viveva letteralmente sui propri escrementi lavorando dall'alba al tramonto per tutta la vita, eccetto i 2-3 giorni  precedenti la propria morte.
Ovviamente puzzando come bestie ed infestati da parassiti.
E senza nessun accesso alla bellezza di alcun tipo.
Ma l'approccio scientifico e statistico smaschera rapidamente questo genere di favole.
L'autore non ha dubbi e meno ne lascia nel lettore anche diffidente:
il luogo più prospero e pacifico della Storia dell'Umanità è l'Unione Europea degli inizi XXI Secolo.
E, tra alti e bassi, in molte parti del mondo standard di diritti e qualità della vita si stanno alzando fino ai nostri.
Un mix di progresso tecnologico e diffusione tra larghi strati della popolazione di conoscenze di base neppure troppo avanzate ha innescato una spirale di azioni positive che hanno portato in poche centinaia di anni alla scomparsa di schiavitù, cultura dello stupro, aberrazione dell'Onore.
E' probabile che si sia superata la soglia critica oltre la quale la continua diffusione di conoscenza e razionalità porti ad un continuo miglioramento delle condizioni di vita dell'Umanita, ma il processo, tuttavia, non è irreversibile.
Per quanto riguarda il testo posso muovere solo una lieve critica al ruolo del Cristianesimo:
le critiche che Pinker avanza al Cristianesimo in particolare e alle religioni in generale sono tutte condivisibili. E' senz'altro oggettivo che il piatto della bilancia penda nel settore della violenza religiosa piuttosto che in quello delle buone azioni.
Tuttavia, Pinker liquida troppo rapidamente l'irrilevanza del Cristianesimo nella generazione della rivoluzione dei diritti e della Lunga Pace.
I Diritti dell'Uomo non nascono nel Giappone Shintoista, nè nella Cina Confuciana o nell'India Buddista.
E nemmeno nell'Islam.
Nascono nel Cristianesimo e l'irrilevanza di questo fattore va dimostrata, non semplicemente enunciata.
Dopo aver dimostrato come le 'società extraeuropee' siano state tra i luoghi più violenti della Storia l'Autore spiega in maniera non troppo convincente l'irrilevanza della correlazione tra Rivoluzione dei Diritti e Cristianesimo.
Tuttavia,  sia di stimolo ai lettori interessati, Pinker stabilisce almeno una circostanza in cui la Chiesa è stata di fondamentale importanza per la drammatica riduzione della violenza:
gli anni '80 e '90 del XX secolo negli USA quando le Chiese locali si impegnarono combattendo sul campo povertà e violenza contribuendo sensibilmente alla diminuzione del tasso di criminalità.
Un risultato banale, se ci pensate: se i preti fanno i preti e non i mantenuti i dividendi per la Comunità arrivano puntualmente...
Credo che questo testo dovrebbe essere di lettura obbligatoria almeno dal livello di istruzione universitaria in poi.
E, che, quando si parla di immigrazione, violenza, diritti, criminalità, guerra e pace ci si debba attenere strettamente a criteri scientifici abbandonando pregiudizi e preconcetti.
Vale davvero la pena investire energie nella lettura di questo libro: si va a dormire sereni.


14 aprile 2018

Il NoVax dell'Anima: il PACIFINTO

Dalla Treccani:

pacifinto s. m. e f. e agg. Chi si proclama pacifista, senza operare realmente per il conseguimento di soluzioni pacifiche;

Ad esempio, colui che ha assistito impassibile a Putin che ha mandato questi




a fare questo 



in Siria senza preoccuparsi minimamente di protestare o anche solo accorgersene consciamente.

E' colui che ha assistito a questo, almeno TRE volte, 






risolvendo il suo problema cambiando canale e scrollando le spalle tipo "Ah, ma a Gaza è peggio" senza manco mettere uno straccio di arcobaleno alla finestra.

Eppure si straccia le vesti quando le persone che si sono prestate ad obbedire agli ordini di spargere il gas vengono colpite dagli americani (al momento senza perdite tra i civili).

(Per tacere de Curdi macellati dai Siriani).

Se questo è un uomo.

250mila morti in silenzio e oggi ve ne venite con Gianni Rodari e fake news grandi quanto l'Oceano Pacifico?

Ma non vi vergognate?

13 aprile 2018

IT, di Stephen King

"Bill, lo sai chi è il mostro più mostro di tutti?"
"No, Silvia, dimmi, chi è?"
"It".
"Hai letto IT?"
"Sì, mi ha fatto veramente paura!"
E te credo...
"L'ho appena letto pure io, sai?"
"E hai avuto paura?"
"Sì, anche se non ho avuto paura di IT."
"Ma come? E' il mostro! Non hai avuto paura del mostro? Allora devi essere coraggiosissimo!"
"Ma no, non sono così coraggioso, solo non ho avuto paura di IT perchè IT non esiste, ma lo stesso ho avuto paura, te l'ho detto."
"Ah, non hai avuto paura del mostro ma hai avuto paura lo stesso? E di chi hai avuto paura?"
"Silvia, pensaci: IT esiste?"
"Mhmm, Bill, se ci penso ora no, ma se leggo da sola prima di addormentarmi allora mi viene il dubbio..."
"Però se ci pensi, ma davvero ci pensi, IT non esiste, giusto?"
"No, IT non esiste, è vero."
"Quindi non si può avere paura di qualcosa che si sa non esistere."
"No, è vero. Però tu hai avuto paura lo stesso, no?"
"Sì, ho avuto paura, ma di cose che, purtroppo, esistono. Hai presente i bulli? O i genitori che maltrattano i figli? O i razzisti che danno fuoco al locale dei soldati neri?"
"Sì, Bill."
"Ecco, di loro ho avuto paura. Perchè sono cose che non dovrebbero esistere ma invece esistono eccome."
"Ma è solo un libro, Bill".
"E' il contraio".
"Non ho capito, cosa intendi?"
Eh, non sei la prima nè l'ultima.
"Facciamo un esempio. Immagina di star seduta su una panchina e assistere ad una brutta cosa, ad esempio uno scippo o a un atto di bullismo o a un adulto che maltratta un bambino: sono tutte cose cattive, vero?"
"Sì Bill."
"E tu hai visto il male. Magari piccolo, ma sempre male."
"Sì, è vero."
"Secondo te quel male dove va a finire?"

"Beh, nella persona che lo ha fatto."
"Sei sicura? E chi il male lo ha subìto? E in te che hai assistito?"
"Non lo so, dici che posso diventare cattiva se vedo succedere qualcosa di brutto?"
"No, ma se ti spaventi o se la cosa ti turba vuol dire che un po' male ti senti anche tu, che ne pensi?"
"Penso di sì."
"E se invece non te ne importa nulla?"
"Ah, beh... Forse se vedo una cosa brutta e non me ne importa nulla penso che allora davvero mi sono abituata al male".
"Che è bene o è male?"
"E' male, Bill."
"Io penso che il male commesso da una persona cattiva contro un innocente non si esaurisca lì, ma resti come nell'aria ed entri in tutte le persone che sono in qualche modo coinvolte."
"Allora siamo tutti in pericolo Bill! Come possiamo fare?"
"Beh, esercitarsi a combattere il male non è difficile ma è molto faticoso: ti ricordi della Buona Azione? E' un buon punto di partenza, poi, quando sarai più grande ci pensiamo."
Sì, campa cavallo...
"Comunque, torniamo all'esempio. Se le persone cattive spargono il male e ne spargono abbastanza questo male non svanisce, ma si appiccica un po' ovunque e soprattutto sulle persone lì attorno. Ed esistono delle persone, gli scrittori, che sono capaci di prendere tutto il male sparso per il mondo dalle persone e di descriverlo. Per esempio, immaginati IT senza IT. Sarebbe una storia senza male senza IT?"
Silvia ci pensa e poi stila il suo elenco:
"No, ci sono i bulli, c'è il papà cattivo, anzi, ce ne sono due. Poi ci sono tutte quelle persone a cui non importa niente. E ci sono quelli che hanno buttato nel fiume quel poverino e quel ragazzo che ha fatto quella cosa brutta al fratellino e la mamma che fa mangiare troppo il figlio e l'altra mamma che lo fa ammalare e.."
"Già. Ecco, mi hanno fatto paura loro, tanta paura."
"Eh, Bill, mi sa che sono molto più spaventosi di IT."
"Però per battere IT si deve essere fortissimi, super. Forse per battere quegli altri basta fare le formiche e portar via il male un granello alla volta."
"Quindi una B.A. al giorno leva IT di torno?"
"Sì, Silvia, penso proprio di sì. Leva di torno lui, la paura e tante cose brutte.

Arcanda ha chiamato: andiamo?"




PS: ero sotto la doccia mentre pensavo alla conclusione di questa recensione, esco e la tenda della finestra decide, da sola, di srotolarsi di botto. Immaginatevi le conseguenze...

25 febbraio 2018

Ragazzi Fuori: perchè non possiamo (vogliamo?) accogliere tutti, i risultati del Sondaggio

Ho perso tempo e ne ho fatto perdere ai miei lettori.
Ecco qui i dati:



Come vedete per la maggior parte gli ex capi sono... Capi Brevettati, cosa grave ma in linea con le statistiche. Anche la mia esperienza (non statistica) lo conferma ed io stesso ho smesso con l'impegno full time Branca+Campi+Regione+IVA dopo aver ricevuto il Gilwell.


Il mondo lavorativo la fa la padrona come causa di maggiore incompatibilità e, a seguire, la Famiglia e gli altri impegni personali.
Questo 17% di eretici mi piace: pretendono di essere uomini e donne normali e non missionari.
Una nota di speranza: più del 60% degli intervistati tornerebbe a fare servizio una volta eliminata l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Goccia non ben identificata.
Probabilmente il test non è stato ben formulato, perchè alla fine l'ultima goccia non ci è dato sapere esattamente quale sia. Io pure, per problemi lavorativi e familiari, sono a poco più che mezzo servizio (salto quasi tutto il TD, quest'anno pure la Caccia Atmosfera e solo per il 2019 c'è qualche ragionevole speranza di tornare a fare tutto, campi inclusi). Ma il problema di eliminare le liste d'attesa, mi spiace, ha comunque un'unica soluzione: più capi. Come evitare la moria di capi, però, questo test non ce lo ha indicato in maniera sufficientemente chiara.
Ecco, quindi, l'estrapolazione sulle cause di abbandono:








Nel contorno al sondaggio segnalo una discussione su Facebook (di cui sono stato testimone e non attore) piena di amarezza sulle problematiche di Co.Ca.
Non credo che ci sia molto da fare in merito. Puoi avere fortuna o sfortuna, dipende da dove ti trovi e dalle persone che incontri e noi siamo fortunati. L'Agesci non è un monolite e gran parte di quello di cui si discute a Roma resta lettera morta, nel bene e nel male.
Alla fine, quindi, l'utilità di sfoghi e conversazioni e discussioni sul Metodo è trascurabile.
No, dico, sono poco utili le deliberazioni del CG, spesso nebulose e dall'origine ignota (si pensi all'abolizione delle strisce di Capo Sestiglia motivata con un 'è emersa la necessità'), si devono subire cose come la Formazione Capi che sembra inventata da Maria Antonietta subito dopo aver pronunciato il celebre aforisma "non hanno pane perchè allora non mangiano brioches?" e varrebbe la pena lamentarsi su Facebook delle liti in Co.Ca., dello scadere del Metodo o di altre amenità?
Credo che sia tutto tempo perso.
Eccetto il paio di casi di Capi che hanno abbandonato in quanto allontanati in base al loro Orientamento Sessuale.
Su questo ci sarebbe da discutere a lungo e mi riservo di farlo in futuro.
Le esperienze amare sono numerose nello Scoutismo, ma credo che il miglior antidoto sia cercare persone compatibili e rimettersi all'opera.
Io penso che, al netto del bene o del male per i ragazzi, in coscienza di Capo, si possa tranquillamente inserire tutto quello che è di extra rispetto alle attività di Branca in un minimo di rumore di fondo inevitabile. La discriminante? Quello che fanno i ragazzi. Perchè lo scoutismo è fatto da loro. Se in una data situazione i ragazzi hanno un ruolo minoritario o assente allora stiamo sereni: è roba da adulti e pertanto trascurabile.
Certo, sarebbe utilissimo iniziare a scrivere Pane al Pane e Vino al Vino su questioni di metodo sulla Stampa Associativa e sui manuali, ma nemmeno questo, poi, è indispensabile.
Sarebbe davvero bello riuscire a raddoppiare l'età media di Servizio dei Capi, ma dopo questo piccolo lavoretto di ricerca non ho un'idea migliore di come fare.
E dopo questa digressione nello Scoutismo da Tastiera prepariamoci ad una Primavera di Voli e lasciamo perdere il resto.

Dopotutto, riformare l'Agesci non è difficile: è inutile.

23 febbraio 2018

Ragazzi Fuori: perchè non possiamo (vogliamo?) accogliere tutti (Con SONDAGGIO)

Perchè si smette di fare servizio?
"Ehi! Ma non dovevi parlare di ragazzi che non si riescono ad accogliere nei gruppi scout?"
Ah, ma è prorio così.
I gruppi scout sono un numero limitato, con un numero limitato, seppur molto flessibile, di posti disponibili.
In Italia, in genere, per entrare negli scout ci si deve iscrivere per tempo e rassegnarsi alla permanenza in liste di attesa.
Questo non è vero sempre, so che ci sono molti gruppi, a macchia di leopardo, che hanno difficoltà a restare aperti per mancanza di ragazzi.
Ma, in genere, è il contrario: siamo sommersi dalle richieste di ingresso.
Capita, quindi, che le nostre unità siano perennemente in sovrannumero.
Anche se nei test su facebook riguardo la conoscenza spicciola del Metodo il mio risultato è immancabilmente 'sei la reincarnazione di BP' ci sono ben troppi lettori che hanno avuto la sventura di avermi come Capo e che conoscono bene il numero di cappelle disseminate durante la mia carriera.
E, se BP in persona riteneva di non poter seguire un numero di ragazzi maggiore di 30, è chiaro che la mia efficacia come Capo tende ulteriormente a ridursi quando superiamo del 30% il limite stabilito dal nostro fondatore.
Quindi, ci sono vari punti di vista che, secondo me, concorrono a formulare la domanda iniziale, ed ecco, secondo me, il perchè:


  • Ci sarà sempre un 'caso' in più. Quindi, anche se le unità scoppiano, ci sarà sempre una Persona che ha bisogno del nostro aiuto: è matematico. Quindi, accogliere una Persona in più non risolve il problema dell'accoglienza, aggiunge quello dell'equità rispetto al prossimo 'caso' che busserà alla porta 5 minuti dopo il precedente e contribuisce ad aggravarne un altro:
  • Il metodo prevede dei limiti nel rapporto Capo Ragazzo su cui si fonda. E' farmacologia: 1000 mg di paracetamolo ti fanno abbassare la febbre, 500 no (provato sulla mia pelle con l'influenza di quest'anno e certificato dal medico che mi ha detto che prenderne troppo poco è come non prenderne affatto). Lo Scoutismo funziona secondo elastiche ma, comunque, definite condizioni al contorno; Se ci sono 10 ragazzi di troppo ci sono 40 ragazzi che fanno uno scoutismo meno efficace. E, poi, magari, abbandonano col duplice danno di aver occupato un posto, esaurito risorse e non aver trovato il Fratello Maggiore ma solo una figura indistinta con cui relazionarsi da lontano...
  • Quella dei bambini non accolti, quindi è una questione di demografia: come da wikipedia, L'AGESCI è in Fase stazionaria elevata, con quozienti di natalità e di mortalità elevati, popolazione variabile ma con scarso incremento a lungo termine; entrano (o vogliono entrare) tantissimi bambini, ne escono comunque tanti (2/3 fino al Clan) e, in più, la mortalità dei capi è elevata, si parla di una durata media in Servizio 4,43 anni  (dati del triennio 2008/2010) da confrontarsi con i 6 anni necessari in media per ottenere la Nomina a Capo effettiva.

In termini semplici, se si vogliono accogliere più ragazzi servono più Capi che possano mantenere attive più Unità con organico adeguato a mantenere efficace il Metodo.
Poi, se proprio volete un pippone logorroico io ve lo regalo pure.
Cedo che questo sia un caso in cui i freddi numeri siano molto più umani dei buoni sentimenti.
Esiste un numero di unità che saturano il territorio, cosa che resta sostenibile: non è vero il contrario, ossia non è pensabile risolvere il problema saturando le unità e lasciando comunque il territorio in deficit.
E' inutile lambiccarsi il cervello su come infIlare tipo sardine altre persone in unità già sovraffollate.
Sarebbe molto utile, invece, scervellarsi per innalzare la vita media dei Capi fin oltre il punto di gemmazione. 
Ossia fino a quando è possibile sdoppiare le unità e accogliere, conseguentemente, molti più ragazzi in perfetta sicurezza.


Tanto per avere un'idea delle motivazioni che spingono un Capo ad abbandonare il Servizio e con poche finalità scientifiche (e vi assicuro, nessuna polemica) ecco qui un sondaggino di cui pubblicherò i risultati se riesco a raggiungere almeno 50 risposte (auspicabilmente almeno 100):

Quindi, cliccate QUA e buon proseguimento.

EDIT: il sondaggio è chiuso con 127 partecipanti, ecco QUI i risultati grezzi in .csv, se posso aggregarli un po' meglio aggiungerò un link



PS: 
se volete una storia edificante, ve la fornisco tranquillamente.
Qui:


la foto di un libro che mi fu regalato quando avevo 7 anni.
Come potete vedere è parecchio consumato, no?
Ho letto e riletto quel libro per anni in attesa di poter entrare negli Scout.
Poi, ci sono entrato.


18 febbraio 2018

Energia ed Equità: elogio della bicicletta, di Ivan Ilich

Questo breve saggio (qui una versione online abbastanza completa) è stato scritto nel 1973 da Ivan Ilich, filosofo (e molto altro, tra cui Sacerdote) austriaco.
Erano i tempi dello shock petrolifero, quando l'Effetto Serra era molto in basso rispetto all'Inverno Nucleare nella lista delle paure collettive.
Erano i tempi in cui in Italia c'erano più famiglie che macchine.
Eppure, queste parole sono pensate per il futuro.
Per oggi.
Devo premettere che so molto poco di Ivan Ilich e che queste pagine hanno molto solleticato la curiosità verso il suo pensiero.
Iniziamo, tuttavia, dai numeri.
Vi alzate, vi fate un caffè, vi lavate, vi vestite ed uscite di casa.
10 morti.
Passate la giornata in ufficio.
80 morti.
Sono numeri reali, tristissimi, scandalosi.
Ogni ora, in Italia, 10 persone muoiono prematuramente a causa dell'inquinamento atmosferico.
Ivan Ilich ha previsto questa catastrofe in tempi non sospetti.
Ma il titolo italiano è fuorviante.
Infatti, parla ben poco della bicicletta e assolutamente non ne parla da un punto di vista della 'bellezza'.
Il titolo originale del testo, infatti, è "Energia ed Equità".
Ilich parla della bicicletta solo verso la fine, come esempio di strumento di mobilità equo ancor prima che sostenibile.
Infatti, se le preoccupazioni per la mortalità da traffico sono ben presenti nel suo Pensiero, Ilich ci ricorda che 
"Anche ammettendo che una potenza non inquinante sia ottenibile e in abbondanza, resta il fatto che l'impiego di energia su scala di massa agisce sulla società al pari di una droga fisicamente innocua ma assoggettante per la psiche"

Di fatto, Ilich da per scontata ed acquisita la letale attitudine dell'automobile ad uccidere sia per via meccanica che per inquinamento e si spinge a dimostrare, invece, l'esistenza di un rapporto ben preciso tra livelli di energia adoperati da una società ed il suo livello di equità.
La bicicletta, in pratica, viene citata solo perchè è uno dei pochi strumenti che consentono un risparmio di energia rispetto al semplice gesto di camminare.
Infatti, "non appena la velocità di certi veicoli ha superato la barriera dei 25 chilometri orari, ha cominciato ad aggravarsi la penuria di tempo legata al traffico"
E, guarda caso, 25 km orari è la velocità di crociera massima di una bicicletta in pianura.
Il calcolo è semplice:
"Per trasportare un grammo del proprio peso per un chilometro in dieci minuti, consuma 0,75 calorie... L'uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell'energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie"
Ilich neppure calcola il bilancio energetico dello stesso spostamento per una automobile, in quanto operazione irrazionale ed iniqua.
"Inoltre la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un'auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un'unica vettura. Per portare 40.000 persone al di là di un ponte in un'ora, ci vogliono tre corsie di una determinata larghezza se si usano treni automatizzati, quattro se ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle automobili, e solo due corsie se le 40.000 persone vanno da un capo all'altro pedalando in bicicletta".
E' necessario, tuttavia, leggere in proprio il testo per assorbirne la determinazione e la profondità.
Mi permetto, tuttavia, un'ultima citazione:
"L'alta velocità capitalizza il tempo di poche persone a un tasso spropositato, ma paradossalmente lo fa deprezzando il tempo di tutti gli altri...
La spesa complessiva di tempo assorbita dal trasporto in una società cresce assai più in fretta del risparmio di tempo conseguito da un'esigua minoranza nelle sue veloci escursioni. Il traffico aumenta all'infinito quando diventano disponibili mezzi di trasporto ad alta velocità. Al di là d'una soglia critica, l'output del complesso industriale costituitosi per spostare la
gente costa alla società più tempo di quello che fa risparmiare. L'utilità marginale dell'aumento di velocità d'un piccolo numero di persone ha come prezzo la crescente disutilità marginale di questa accelerazione per la grande maggioranza."

Se dovessi riassumere ancor più brevemente:

"Oltre una velocità critica, nessuno può risparmiare tem­po senza costringere altri a perderlo."

45 anni dopo la pubblicazione di questi pensieri  le più fosche previsioni di Ilich sono realtà: morte, per incidenti ed inquinamento. Ore ed ore di immobilità nel traffico. Una trasversale, profonda e violenta distorsione della realtà a tutti i livelli e responsabilità della Società.
Infine, disuguaglianza, nella più pazzesca percezione di equità tra i milioni legati come schiavi alle cinture di sicurezza, in fila, che invece di portare i massi per costruire la piramide dell'imperatore dio, languono tra le lamiere spendendo tempo e reddito in sacrificio perenne all'automobile e al modo omicida con cui è usata oggi.
Perchè, mentre avete letto queste righe, qualcuno, di intossicazione da auto, probabilmente è morto.



11 gennaio 2018

9 gennaio 2018

Una bottega di Barbiere

Giusto per non iniziare l'anno con qualcosa di anche solo simile al classico piagnisteo migrante, vi racconto una cosuccia da niente che mi è capitata durante queste vacanze di Natale a Matera.
Mi sono tagliato i capelli.
Dallo stesso barbiere della mia infanzia.
Non c'è una particolare morale o chissà che storia dietro.
Ero poco più di un bambino, appena in grado di girare per il quartiere da solo.
E andavo da quel barbiere per tagliarmi i capelli, con relativa regolarità.
Il mio barbiere è un uomo gentile che mi ha visto crescere.
Ha visto le mie visite diradarsi più per le mie assenze che per la concorrenza.
Così, tra Natale e Capodanno, ho bussato, ho chiesto permesso.
Sono stato riconosciuto, accolto.
E mi sono stati tagliati i capelli con cura, tranquillità e professionalità.
Con tanto di ricevuta fiscale.
No, non ho parole su Memoria, ricordi di fragranze e profumi, voci e chiacchiere del passato.
Il mio barbiere mi ha tagliato i capelli facendomi sentire ancora a casa mia.
Lui con pochi altri. 
Tutto qua.